Mi disorienta più di
sempre questa Italia che ribolle. Offesa dalla pandemia e lacerata da uno
scontro interno che si fa sempre più aspro. Questo è l’inizio della
prima grande crisi del terzo millennio e neanche noi, che la vediamo montare
sotto i nostri occhi, sappiamo quando e come e con quali esiti finirà. Un’Italia incastrata tra la crisi sanitaria
e la crisi economica, con l’urgenza di salvare il lavoro di milioni di persone
e la necessità di evitare lo sfilacciamento sociale che incombe dietro i
fallimenti, la perdita di lavoro, la povertà diffusa più di prima.
Non è vero che ha retto il nostro sistema sanitario. Gli ospedali e
le residenze sanitarie sono diventati focolai di contagio, troppi medici e
operatori sanitari sono morti attendendo inutilmente tamponi e protezioni
adeguate, tutta l’assistenza per altre patologie ha collassato. Tutto ciò che non è urgente è stato
rinviato ma chi lo stabilisce che non è urgente se non ti vede un medico? Leggo
che diminuiscono i ricoveri per infarto ma che aumentano i morti per infarto e
faccio due più due. Si muore anche così, la gente un ospedale non ci va.
Ora la fase due accentua lo scontro. Interviene stanchezza, monta scontento e
ribellione con gli immancabili sciacalli politici che soffiano sul fuoco, senza
aggiungere nulla alla soluzione dei problemi anzi, agitando ancora le acque e
intorbidendole di lamentele senza proposte, bene attenti a cavalcare scontenti
legittimi e a fare e disfare, emettendo provvedimenti senza filo logico.
Solinas è un esempio di questa pratica.
Una settimana fa chiudeva anche le spiagge e, per marcare la
differenza con il governo centrale, non riapriva librerie e negozi di
abbigliamento per bambini, ma oggi lamenta che il governo non ha aperto
abbastanza. C’è una linea comune
nell'azione del centro destra. Una linea che ha una regia e ciò che la guida,
solo marginalmente è la protezione sanitaria delle persone.
Il presidente degli ordini dei medici italiani esprime una
valutazione positiva sulla linea di prudenza che si profila nella fase 2. Altri insistono sulle aperture,
sulla ripresa delle scuola, sul significato letterale e allegorico della parola
“congiunto”, sulla necessità della corsetta dei sedentari e nel frattempo si
approfondiscono solchi e si fanno sempre più larghi: tra dipendenti e autonomi,
tra scientisti e complottisti, tra presunti inconsapevoli ubbidienti e presunti
abistos che non si fanno fregare, tra disperati che intravvedono il fallimento
economico e quelli che stanno seduti al caldo del loro reddito sicuro, tra
giovani e vecchi, anche tra città e campagna.
E piano piano scompare e si annulla la fiducia, già per altro
abbondantemente compromessa in partenza, tra lo stato e il cittadino. Lo stato che ti controlla, ti
segrega in casa, ti rende destinatario di disposizioni di cui non cogli il
senso ma allo stesso tempo non ti cura, non ti fa il tampone, non ti isola se
sei malato ma ti lascia a casa a contagiare la tua famiglia.
Sarebbe necessaria, già da subito, una ricostruzione economica, sociale,
culturale, di coesione, di equità, di giustizia, di solidarietà. Una
ricostruzione della stessa forza e intensità di quella che ci fu nel secondo
dopo guerra. Ma poi ti guardi attorno e vedi che non ci sono quegli uomini nati
dalla devastazione di una guerra e dagli orrori dei totalitarismi comunisti,
nazisti e fascisti. Ci sono questi. Nati
da clientele, fedeltà lecchinante ai capibranco, posizionamenti di spartizione,
occupazione di istituzioni, gente di basso profilo portatori di pensieri deboli
rovesciati su masse di cittadini altrettanto deboli. Non so voi, io ho zero
certezze.
Lucia Chessa
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