mercoledì 29 aprile 2020

Una società fondata sullo scontro. La politica non unisce, soprattutto non da fiducia. Di Lucia Chessa.



Mi disorienta più di sempre questa Italia che ribolle. Offesa dalla pandemia e lacerata da uno scontro interno che si fa sempre più aspro. Questo è l’inizio della prima grande crisi del terzo millennio e neanche noi, che la vediamo montare sotto i nostri occhi, sappiamo quando e come e con quali esiti finirà. Un’Italia incastrata tra la crisi sanitaria e la crisi economica, con l’urgenza di salvare il lavoro di milioni di persone e la necessità di evitare lo sfilacciamento sociale che incombe dietro i fallimenti, la perdita di lavoro, la povertà diffusa più di prima.

Non è vero che ha retto il nostro sistema sanitario. Gli ospedali e le residenze sanitarie sono diventati focolai di contagio, troppi medici e operatori sanitari sono morti attendendo inutilmente tamponi e protezioni adeguate, tutta l’assistenza per altre patologie ha collassato. Tutto ciò che non è urgente è stato rinviato ma chi lo stabilisce che non è urgente se non ti vede un medico? Leggo che diminuiscono i ricoveri per infarto ma che aumentano i morti per infarto e faccio due più due. Si muore anche così, la gente un ospedale non ci va.


Ora la fase due accentua lo scontro. Interviene stanchezza, monta scontento e ribellione con gli immancabili sciacalli politici che soffiano sul fuoco, senza aggiungere nulla alla soluzione dei problemi anzi, agitando ancora le acque e intorbidendole di lamentele senza proposte, bene attenti a cavalcare scontenti legittimi e a fare e disfare, emettendo provvedimenti senza filo logico. Solinas è un esempio di questa pratica.


Una settimana fa chiudeva anche le spiagge e, per marcare la differenza con il governo centrale, non riapriva librerie e negozi di abbigliamento per bambini, ma oggi lamenta che il governo non ha aperto abbastanza. C’è una linea comune nell'azione del centro destra. Una linea che ha una regia e ciò che la guida, solo marginalmente è la protezione sanitaria delle persone.


Il presidente degli ordini dei medici italiani esprime una valutazione positiva sulla linea di prudenza che si profila nella fase 2. Altri insistono sulle aperture, sulla ripresa delle scuola, sul significato letterale e allegorico della parola “congiunto”, sulla necessità della corsetta dei sedentari e nel frattempo si approfondiscono solchi e si fanno sempre più larghi: tra dipendenti e autonomi, tra scientisti e complottisti, tra presunti inconsapevoli ubbidienti e presunti abistos che non si fanno fregare, tra disperati che intravvedono il fallimento economico e quelli che stanno seduti al caldo del loro reddito sicuro, tra giovani e vecchi, anche tra città e campagna.

E piano piano scompare e si annulla la fiducia, già per altro abbondantemente compromessa in partenza, tra lo stato e il cittadino. Lo stato che ti controlla, ti segrega in casa, ti rende destinatario di disposizioni di cui non cogli il senso ma allo stesso tempo non ti cura, non ti fa il tampone, non ti isola se sei malato ma ti lascia a casa a contagiare la tua famiglia.

Sarebbe necessaria, già da subito, una ricostruzione economica, sociale, culturale, di coesione, di equità, di giustizia, di solidarietà. Una ricostruzione della stessa forza e intensità di quella che ci fu nel secondo dopo guerra. Ma poi ti guardi attorno e vedi che non ci sono quegli uomini nati dalla devastazione di una guerra e dagli orrori dei totalitarismi comunisti, nazisti e fascisti. Ci sono questi. Nati da clientele, fedeltà lecchinante ai capibranco, posizionamenti di spartizione, occupazione di istituzioni, gente di basso profilo portatori di pensieri deboli rovesciati su masse di cittadini altrettanto deboli. Non so voi, io ho zero certezze.


Lucia Chessa

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