Alcuni ridurranno il personale,
altri rivoluzioneranno l'arredamento. I più fortunati resisteranno qualche mese
ancora, non pochi ipotizzano la chiusura definitiva: «Se il quadro è questo, meglio non riaprire». Si
avvicinano maggio e il riavvio delle attività, ma per i baristi di Cagliari la situazione non è chiara. Più spazio tra i tavoli, meno clienti,
obbligo di sanificare il locale varie volte al giorno, guanti e mascherine
sempre indosso. Ci saranno «problemi immensi» secondo Davide Bullegas del
“Reload” di via Puccini. «Così siamo
destinati a chiudere» conferma Nicola Tortora dello “Specchio” in via Santa
Gilla.
La
rivoluzione. Il coronavirus ha falciato vite, modificato
rapporti sociali, bloccato spostamenti
e massacrato le attività commerciali. Nessun incasso a fronte di tasse e affitti da pagare. Denise Pirani degli omonimi bar-pasticceria
parla di «disastro sociale. Plexiglass per evitare i contatti e ingressi
contingentati: non so se si potrà riaprire. Quanti clienti verranno? Quanto
personale servirà? I dispositivi di protezione saranno a spese nostre, dovremo
sanificare i tavoli di continuo. Abbiamo
costi elevati e i presunti aiuti statali sono finanziamenti.
Altri debiti. Certo, la salute viene prima di tutto». Insomma, «aspettiamo i
decreti ma si può anche decidere di chiudere».
Concorda
Tortora, secondo il quale «nei nostri 40 metri quadrati i tavolini sono molto
vicini e per coprire le spese abbiamo bisogno di un certo numero di clienti. Non posso pagare le tasse
senza incassare. Tra l'altro è una zona frequentata
da impiegati: oggi negli uffici chi va?» La soluzione,
provvisoria, sarebbe «sistemare alcuni posti all'esterno. Pagando il
suolo pubblico».
Come
Massimiliano Abis del “Caffè Punto Cagliari” in piazza Del Carmine, locale
«piccolo» che ha «sei tavolini e 15 posti. Ne taglierò la metà. Sarà un lavoro
da banco». Però «sono l'unico ad avere uno spazio nella piazza, magari riuscirò a sfruttarlo. La sanificazione? Utilizzo tre volte al giorno varechina e ammoniaca. Certo l'obbligo di guanti e mascherine avrà conseguenze: pochi li cercheranno solo per un caffè».
Orario
lungo e incertezze L'assenza di certezze lascia tutti in «un limbo», sottolinea Giorgio Borrelli del Caffè Valentina in via Pessina, «nessuno ci ha illustrato le regole. Il plexiglass tra barista e cliente è la
morte sociale e gli ingressi contingentati sarebbero problematici. Stiamo
comprando guanti, sanificatori, mascherine. Costano, magari potrebbe fornirli
il Comune. Per ora stiamo in piedi, coi nostri fondi andremo avanti un paio di mesi. Una soluzione? Lavorare sette giorni su sette e in orari più ampi».
Anche
perché «la perdita economica è totale», assicura Bullegas, che dovrà
rivoluzionare il locale: «Far entrare 20 clienti in un ambiente che può
ospitarne 100 tenendo gli stessi dipendenti e pagando le stesse tasse è assurdo». Via divani e metà «dei 16 tavolini». Per la sanificazione «dovrò chiamare aziende apposite o capire se possiamo provvedere noi. Con ulteriori costi».
C'è chi nello stesso locale ha anche
la tabaccheria (aperta). «Ora la sanificazione non è prevista, al riavvio del bar sarà obbligatoria. Un controsenso» riflette
Willy Sulis del Bloody Mary in via San Michele, «ho già avuto un calo di affari
del 70 per cento». Figurarsi un'attività «piccolissima» come il Florio di via
San Domenico: «Potrò ospitare 4 o 5 persone, sarà quasi inagibile» sostiene
Andrea Setzu, «non si capisce niente».
Numeri
dimezzati C'è chi non ha debiti, però gli affari sono a zero «e il servizio a domicilio
copre solo il 40 per cento dell'affitto» sottolinea Federico Anelli del bar
Nicolino in via Is Maglias: «È inutile aprire se poi non si coprono le spese. Abbiamo due locali in città: eravamo a pieno regime e ora dovremo ridurre i posti della metà. Le tasse però arrivano lo stesso e sono da pagare. I sistemi
di protezione? I clienti dovrebbero arrivare già forniti o non potrebbero accomodarsi».
E poi «è
da vedere come reagiranno», rileva Massimo Molinari del Nuovo Cafè Garibaldi
nell'omonima piazza. Il locale ha 60 posti totali ma saranno «dimezzati. La parte
esterna garantirà distanze più sicure. Siamo sopravvissuti al
rifacimento della piazza, ci mancava il Covid. Meglio cancellare il 2020».
Andrea
Manunza
Articolo Unione Sarda del 21
Aprile 2020
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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