FRANCESCO
GEMELLI (1736-1806) nacque a Orta, nel Novarese, nel 1736. Gesuita, studioso di
storia e di agronomia, nel 1768 ebbe l’incarico di professore di eloquenza
latina all’Università di Sassari dove rimase fino al 1771. L’opera che gli ha dato maggiore rinomanza è Rifiorimento
della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura, stampato a
Torino con l’editore G. Briolo e ristampato a cura di Luigi Bulferetti per
l’editore Fossataro di Cagliari.
L’opera è
composta di due volumi di complessive 758 pagine: opera scritta interamente in
Sardegna e a pro della Sardegna primariamente indirizzata, come l’Autore stesso
scrisse rivolgendosi al leggitor cortese. Morì a Novara mentre era canonico
della Chiesa cattedrale di quella città, nel 1806. La
redazione del trattato fu piuttosto avventurosa – si scrive in La grande
enciclopedia della Sardegna, a cura di Francesco Floris, La Nuova Sardegna
editore, Sassari, 2007, vol. IV, pag. 433 – infatti proprio quando si recò a
Torino per pubblicarlo, il suo protettore Bogino, dopo la morte di Carlo
Emanuele III, era caduto in disgrazia ed era stato rimosso.
Poco dopo
fu sciolto l’ordine dei Gesuiti e il Gemelli non volle rientrare in Sardegna;
finalmente nel 1776 riuscì a pubblicare la sua opera, che oltretutto era
diventata un poderoso trattato, piuttosto che l’agile libretto con forte
tendenza didascalica e divulgativa che il Bogino aveva pensato di poter
diffondere fra i coltivatori sardi. Secondo il Gemelli
la diagnosi dell’arretratezza della Sardegna e, in specie della sua agricoltura,
è molto netta ed esplicita: nasce tutto il disordine dalla comunanza o quasi
comunanza delle terre.
Altrettanto
esplicita è la terapia: Distruggasi quindi questa comunanza o quasi
comunanza delle terre in Sardegna, concedendole in perfetta e libera proprietà
alle persone particolari; e otterrassi di certo il disiato rifiorimento
dell’agricoltura ne’ seminati, ne’ pascoli, nelle piante, e in ogni parte della
rustica economia. La gestione sostanzialmente “comunitaria” delle terre
ordinariamente aperte, senza siepe, senza muriccia, senza chusura… (come scrive
nel testo che si riporta nella Lattura) rappresentava dunque – secondo il
Gemelli – un ostacolo oggettivo all’affermazione di un sistema produttivo
efficiente.
Era infatti
– secondo l’autore – il modo di organizzazione del processo produttivo a creare
arretratezza: al contadino – non avendo nessuna certezza di permanere nel fondo
– veniva meno ogni stimolo alle trasformazioni e alle migliorie, le stesse
tecniche agrarie subivano un ristagno e la produzione inevitabilmente languiva.
Questo tipo di struttura produttiva si accompagnava
alla comunanza dei pascoli che – sempre secondo il Gemelli – obbligava i
pastori alla ricerca affannosa di sempre nuovi pascoli, poiché nessun
miglioramento era possibile introdurre in terreni nei quali l’uso era sempre
incerto.
Il
permanere inoltre di ordinamenti giuridici antiquati e vessatori – come erano
quelli del regime feudale – uniti al persistere di un regime terriero e di una
organizzazione della produzione altrettanto arcaica, determinavano nelle
campagne una situazione di povertà e di arretratezza: di qui la proposta del
Gemelli della chiusura delle terre aperte e, in particolare, di quelle
destinate alla coltivazione comunitaria e la loro assegnazione
a proprietari privati come presupposto non solo del rifiorimento
dell’agricoltura, ma dello stesso sviluppo complessivo dell’Isola, con
la formazione e costituzione di una borghesia agraria.
L’opera del
Gemelli – scrive lo storico Girolamo Sotgiu in Storia della Sardegna sabauda,
1720-1847, Ed. Laterza, Roma-Bari, 1984, pag.126-127 – rifletteva sia le
esperienze che si erano venute facendo in vari Stati europei, dall’Inghilterra
al reame di Napoli, sulla via della privatizzazione della terra, sia le nuove
teorizzazioni sul valore e il significato della proprietà perfetta in relazione
allo sviluppo agricolo e alla formazione di una nuova classe di proprietari
borghesi.
Ma –
precisa Sotgiu – Passare dall’uso comune della terra alla proprietà perfetta,
consentire anzi favorire, la chiusura delle proprietà non significava soltanto
adottare una nuova linea di politica agraria: significava in realtà mettere in discussione l’intero sistema feudale, che
aveva il suo fondamento nell’ordinamento agrario del feudo e significava di
conseguenza passare a un nuovo regime politico di incerta configurazione.
La
contraddizione maggiore presente nel trattato del Gemelli è proprio questa: da
una parte propone un nuovo ordinamento agrario, dall’altro non prevede
l’abolizione del feudo.
E’ la stessa contraddizione presente nel governo sabaudo che procede ad
interventi di razionalizzazione che non potranno in alcun modo impedire i moti
rivoluzionari antifeudali e angioiani degli anni 1793-1796 e tanto meno avviare
percorsi di sviluppo e di prosperità per la Sardegna.
Le linee
sostenute dal Gemelli – ma anche da quella parte della proprietà terriera e da
quelli studiosi che erano favorevoli alla abolizione dell’uso comune della
terra – saranno recepite prima e parzialmente da un regio
decreto del 3 Dicembre del 1806, – con cui fu
concessa la facoltà di chiudere i terreni aperti per impiantare oliveti –
e dopo e in toto dal Regio Editto sopra le chiudende,
sopra i terreni comuni e della corona e sopra i tabacchi del regno di Sardegna
del 6 Ottobre del 1920 ma pubblicato nell’aprile del 1823.
Con
esso si creò la proprietà perfetta, eliminando o riducendo al massimo il regime
di comunione dei terreni.
Ma al posto de il Rifiorimento della Sardegna – scrive Eliseo Spiga in un suo
brillante saggio, La sardità come utopia, Note di un cospiratore – fiorirono
spine. Tiria burda, ginestra feroce, mura de arrù, rovo, funi ‘e Cristi, spina
cristo. La storia dell’Ottocento isolano infatti è una boscaglia di aculei che
inflisse sofferenze inenarrabili ai nostri nonni, bisnonni e trisnonni… E così
per tutto il XIX secolo percorriamo un buon tratto di quel dannato rifiorimento
lasciando su ogni arbusto un brandello. Vengono imposti
alla Sardegna l’espianto degli ordinamenti comunitari, l’accentramento
politico, il divieto dei codici e dei costumi della più collaudata tradizione,
il saccheggio delle ricchezze.
Francesco Casula
Saggista, storico della letteratura
sarda
autore
del libro, tra gli altri, de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”