mercoledì 31 marzo 2021

Francesco Gemelli, teorico dell'Editto delle Chiudende.


 

FRANCESCO GEMELLI (1736-1806) nacque a Orta, nel Novarese, nel 1736. Gesuita, studioso di storia e di agronomia, nel 1768 ebbe l’incarico di professore di eloquenza latina all’Università di Sassari dove rimase fino al 1771. L’opera che gli ha dato maggiore rinomanza è Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura, stampato a Torino con l’editore G. Briolo e ristampato a cura di Luigi Bulferetti per l’editore Fossataro di Cagliari.

 

L’opera è composta di due volumi di complessive 758 pagine: opera scritta interamente in Sardegna e a pro della Sardegna primariamente indirizzata, come l’Autore stesso scrisse rivolgendosi al leggitor cortese. Morì a Novara mentre era canonico della Chiesa cattedrale di quella città, nel 1806. La redazione del trattato fu piuttosto avventurosa – si scrive in La grande enciclopedia della Sardegna, a cura di Francesco Floris, La Nuova Sardegna editore, Sassari, 2007, vol. IV, pag. 433 – infatti proprio quando si recò a Torino per pubblicarlo, il suo protettore Bogino, dopo la morte di Carlo Emanuele III, era caduto in disgrazia ed era stato rimosso.

 

Poco dopo fu sciolto l’ordine dei Gesuiti e il Gemelli non volle rientrare in Sardegna; finalmente nel 1776 riuscì a pubblicare la sua opera, che oltretutto era diventata un poderoso trattato, piuttosto che l’agile libretto con forte tendenza didascalica e divulgativa che il Bogino aveva pensato di poter diffondere fra i coltivatori sardi. Secondo il Gemelli la diagnosi dell’arretratezza della Sardegna e, in specie della sua agricoltura, è molto netta ed esplicita: nasce tutto il disordine dalla comunanza o quasi comunanza delle terre.

 

Altrettanto esplicita è la terapia: Distruggasi quindi questa comunanza o quasi comunanza delle terre in Sardegna, concedendole in perfetta e libera proprietà alle persone particolari; e otterrassi di certo il disiato rifiorimento dell’agricoltura ne’ seminati, ne’ pascoli, nelle piante, e in ogni parte della rustica economia. La gestione sostanzialmente “comunitaria” delle terre ordinariamente aperte, senza siepe, senza muriccia, senza chusura… (come scrive nel testo che si riporta nella Lattura) rappresentava dunque – secondo il Gemelli – un ostacolo oggettivo all’affermazione di un sistema produttivo efficiente.

 

Era infatti – secondo l’autore – il modo di organizzazione del processo produttivo a creare arretratezza: al contadino – non avendo nessuna certezza di permanere nel fondo – veniva meno ogni stimolo alle trasformazioni e alle migliorie, le stesse tecniche agrarie subivano un ristagno e la produzione inevitabilmente languiva. Questo tipo di struttura produttiva si accompagnava alla comunanza dei pascoli che – sempre secondo il Gemelli – obbligava i pastori alla ricerca affannosa di sempre nuovi pascoli, poiché nessun miglioramento era possibile introdurre in terreni nei quali l’uso era sempre incerto.

 

Il permanere inoltre di ordinamenti giuridici antiquati e vessatori – come erano quelli del regime feudale – uniti al persistere di un regime terriero e di una organizzazione della produzione altrettanto arcaica, determinavano nelle campagne una situazione di povertà e di arretratezza: di qui la proposta del Gemelli della chiusura delle terre aperte e, in particolare, di quelle destinate alla coltivazione comunitaria e la loro assegnazione a proprietari privati come presupposto non solo del rifiorimento dell’agricoltura, ma dello stesso sviluppo complessivo dell’Isola, con la formazione e costituzione di una borghesia agraria.

 

 

L’opera del Gemelli – scrive lo storico Girolamo Sotgiu in Storia della Sardegna sabauda, 1720-1847, Ed. Laterza, Roma-Bari, 1984, pag.126-127 – rifletteva sia le esperienze che si erano venute facendo in vari Stati europei, dall’Inghilterra al reame di Napoli, sulla via della privatizzazione della terra, sia le nuove teorizzazioni sul valore e il significato della proprietà perfetta in relazione allo sviluppo agricolo e alla formazione di una nuova classe di proprietari borghesi.

 

Ma – precisa Sotgiu – Passare dall’uso comune della terra alla proprietà perfetta, consentire anzi favorire, la chiusura delle proprietà non significava soltanto adottare una nuova linea di politica agraria: significava in realtà mettere in discussione l’intero sistema feudale, che aveva il suo fondamento nell’ordinamento agrario del feudo e significava di conseguenza passare a un nuovo regime politico di incerta configurazione.

 

La contraddizione maggiore presente nel trattato del Gemelli è proprio questa: da una parte propone un nuovo ordinamento agrario, dall’altro non prevede l’abolizione del feudo. E’ la stessa contraddizione presente nel governo sabaudo che procede ad interventi di razionalizzazione che non potranno in alcun modo impedire i moti rivoluzionari antifeudali e angioiani degli anni 1793-1796 e tanto meno avviare percorsi di sviluppo e di prosperità per la Sardegna.

 

Le linee sostenute dal Gemelli – ma anche da quella parte della proprietà terriera e da quelli studiosi che erano favorevoli alla abolizione dell’uso comune della terra – saranno recepite prima e parzialmente da un regio decreto del 3 Dicembre del 1806, – con cui fu concessa la facoltà di chiudere i terreni aperti per impiantare oliveti e dopo e in toto dal Regio Editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della corona e sopra i tabacchi del regno di Sardegna del 6 Ottobre del 1920 ma pubblicato nell’aprile del 1823.

 

Con esso si creò la proprietà perfetta, eliminando o riducendo al massimo il regime di comunione dei terreni. Ma al posto de il Rifiorimento della Sardegna – scrive Eliseo Spiga in un suo brillante saggio, La sardità come utopia, Note di un cospiratore – fiorirono spine. Tiria burda, ginestra feroce, mura de arrù, rovo, funi ‘e Cristi, spina cristo. La storia dell’Ottocento isolano infatti è una boscaglia di aculei che inflisse sofferenze inenarrabili ai nostri nonni, bisnonni e trisnonni… E così per tutto il XIX secolo percorriamo un buon tratto di quel dannato rifiorimento lasciando su ogni arbusto un brandello. Vengono imposti alla Sardegna l’espianto degli ordinamenti comunitari, l’accentramento politico, il divieto dei codici e dei costumi della più collaudata tradizione, il saccheggio delle ricchezze.

 

Francesco Casula

Saggista, storico della letteratura sarda

 autore del libro, tra gli altri, de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”

 

Per quanto tempo ancora la Sardegna sarà una colonia


 

La previsione di nuove restrizioni conferma la totale indifferenza dell'Italia nei confronti della Sardegna. Più che indifferenza direi accanimento. Perché solo così si può definire l'ossessione di avere strette violentemente repressive nei confronti dei Sardi, mentre in Italia da un anno si susseguono situazioni allucinanti lasciate correre senza clamori.

 

E non parlo solo delle differenze abissali di trattamento tra l'incursione militare all'Ardia di Sedilo e le allegre trasferte di migliaia di tifosi in Italia, non parlo solo dei pesi e misure diverse tra il Redentore e le discoteche dei padroni coloniali, tra Sant'Efisio blindato e la grande festa in piazza per la vittoria della coppa Italia a Napoli, tra le nostre pericolosissime bancarelle di torrone e le incoraggiatissime ammucchiate per vedere le fecce tricolori.

 

Parlo del fatto che anche quando Solinas, con tutti i suoi difetti e la sua disarmante inadeguatezza, ne azzecca qualcuna almeno per caso, nemmeno lì la Sardegna ha diritto di passare. La Sardegna deve sempre pagare di più, deve sempre essere la colonia su cui scagliare il pugno di ferro, in cui la violenza della legge deve manifestarsi il più possibile con la legge della violenza.

 

E mentre decine di migliaia di famiglie aspettano una soluzione, con la proverbiale e anche controproducente pazienza dei Sardi, dall'Italia le uniche disposizioni sono quelle dell'indifferenza, della rigidità, dell'adeguamento alle emergenze che altri hanno, così pagando le misure degli altri imparate se siamo una sola e indivisibile.

 

Per noi vale sempre e solo il color carogna rinforzata. Quando vai bene ti infettiamo, quando sei infetta ti evitiamo, quando stai per farcela ti blocchiamo.

Una situazione che non sarà possibile reggere troppo a lungo, e anche le persone più tolleranti iniziano a chiedersi se sia possibile vivere in un simile rapporto di sudditanza, con misure restrittive imposte dall'alto e pesate con pesi e misure diverse tra Italia e Sardegna.

 

Questa signori è la gestione sanitaria nel rapporto Sardegna/Italia.

Forse l'unica cosa buona di questa situazione è stata che tanti Sardi stanno iniziando a capire che non è possibile vivere sotto il tallone di decisioni prese al di fuori della Sardegna, da persone che non conoscono la Sardegna, da persone che non hanno a cuore le sorti della Sardegna.

 

Cosa ti fa credere che per tutti gli altri aspetti della nostra vita questo rapporto sia diverso?

 

#indipendentzia

#Liberu

 

Nuraghe sa Domu e s’Orcu – Sarroch. Tomba dei Giganti, Sarroch II. Natalia Guiso @NatyGuì Nuraviganne


 

Quest'anno credo sia particolare per tutti, ma penso che per gli appassionati come me, che da anni e anni, non fanno altro che aspettare la domenica per poter svagare e distaccarsi dalla routine della vita quotidiana fatta di una miriade di impegni e da altre mille cose, sia davvero pesante, e soffocante. Mi sento come un uccellino in gabbia, che può vedere il sole ma a cui non arrivano i raggi a riscaldargli la pelle.

 

Perciò dopo l'ennesima chiusura (giusta o non giusta che sia, non discuto) viaggerò con la mente, ricordando luoghi magici, che i nostri laboriosi avi ci hanno lascito, e che ogni volta mi stupiscono e fanno amare sempre di più la storia. Oggi vi porterò insieme a Nuraviganne ad ammirare il bellissimo nuraghe Sa Domu 'e s' Orcu a Sarroch. Il nuraghe è del tipo a tancato, fu costruito in diversi tempi.

 

Alla camera più antica attraverso un cortile fu aggiunta in un secondo momento la seconda camere, la particolarità sta nel fatto che ha tante nicchie e vani scale sopraelevati ed una nicchia absidata davanti all'ingresso. Il nuraghe sorge su una collina, chiamata sa Punta da cui si può ammirare il mare. La sera stessa visitammo anche quel che rimane della tomba dei giganti di Tombe dei Giganti Sarroch II.

 

Questo viaggio fu fatto ai primi d'ottobre. Sento ancora l'odore del mare e delle pietre e della terra, perché si, non ricorderò tutti i nomi dei siti che ho visitato, fortunatamente tantissimi, ma ricordo ogni singolo odore, ogni singola emozione che provo...

.

.

.

Nuraviganne#nellisola#dei#misteri.🍀❤️🍀❤️🍀

#exploration #exploration #Sarroch #tombadeigiganti #nuraghe #history #Sardegna #mistero #photography #unionesarda #lanuovasardegna

#archeologia #culture #nature #territory #memory #architecture #travel

#Sardaigne #Sardinia #Sardinien #Sardaigne

Instagram Nuraviganne - Facebook Naty GuìNuraviganne - YouTube Naty Guì.

Ph:NG - FC.











martedì 30 marzo 2021

Pietro Ingrao, l'irriducibile comunista


 

"Io sento penosamente la sofferenza altrui: dei più deboli, o più esattamente dei più offesi. Ma la sento perché pesa a me: per così dire, mi dà fastidio, mi fa star male. Quindi, in un certo senso, non è un agire per gli altri: è un agire per me. Perché alcune sofferenze degli altri mi sono insopportabili." (Pietro Ingrao)

 

(30 Marzo 1915) Nasce a Lenola Pietro Ingrao: partigiano, giornalista e politico italiano. Storico esponente dell'ala sinistra del Partito Comunista Italiano (cui aderì già dal 1940, partecipando attivamente alla Resistenza), fu direttore dell'Unità dal 1947 al 1957 e Presidente della Camera dei deputati dal 1976 al 1979.

 

Nato in una famiglia borghese, per un ragazzo della sua condizione sociale, scegliere di aderire alle lotte operaie non fu scontata. Durante il ventennio brilla ai Littoriali, manifestazioni sportive e culturali riservate agli universitari fascisti, dove vince competizioni sportive e letterarie. Il mito del comunismo è ancora lontano, Ingrao si iscrive a giurisprudenza e al centro sperimentale di cinematografia, dove resiste poco più di un anno. Lo abbandona, insieme agli studi, a causa della guerra di Spagna.

 

«Il 17 luglio 1936», racconterà, «è un giorno chiave: esplode la rivolta franchista. Non tornai più al centro sperimentale. Da allora, la lotta di classe diventò il punto centrale nella mia vita, il primo dovere, la prima speranza». Questo è il giovane Ingrao. Prenderà la laurea, ma al primo posto nella sua esistenza resterà per sempre l’impegno ai valori del comunismo, a cui riserva una dedizione totale.

 

Lavora clandestinamente per il Partito negli anni del fascismo. Caduta la dittatura, è eletto in Parlamento, dunque entra nella segreteria del Pci. Che, a partire dal 1947 e per dieci anni, gli affida la direzione de “L’Unità”. Nel Pci Ingrao si afferma come uno dei massimi dirigenti, dopo Togliatti tra i più amati. Ha peso, anche se relegato al ruolo dell’eterno oppositore.

 

Fra il 1989 e il 1991 fu tra i più autorevoli oppositori alla "svolta della Bolognina", che determinò lo scioglimento del PCI. Posto dinanzi al fatto compiuto Ingrao aderì comunque al Partito Democratico della Sinistra, per cercare di spostarne la politica a sinistra. Con questi obiettivi coordinò l'area dei Comunisti Democratici fino al 15 maggio 1993, quando annunciò l'addio al PDS per avvicinarsi al Partito della Rifondazione Comunista.

 

Paolo Franchi ne diede una bellissima descrizione: «Sul perché del fascino esercitato da Pietro Ingrao, in stagioni diverse, su tanta parte della sinistra italiana, si sono interrogati in parecchi, anche molto lontani dalla sua parte. Gli estimatori hanno posto l’accento soprattutto sulla passione politica, sulla tensione intellettuale, sulla fibra morale: tutte qualità incontestabili dell’uomo. Gli avversari, sulla fumosità dell’analisi, della proposta e, conseguentemente, del linguaggio; sull’astrattezza, sulla vocazione alla sconfitta: tutti vizi ben radicati nella sinistra.

 

Ingrao, forse, non apprezzerà questa descrizione. Ma forse la spiegazione più verosimile è quella che diede Indro Montanelli, quando il vecchio Pietro si oppose alla “svolta” di Achille Occhetto a cui diede battaglia. Scriveva Montanelli: “Ha un volto rincagnito e parla con un plumbeo accento ciociaro. Eppure non si può guardare senza provare per lui un profondo rispetto. Ciò che dice può essere sbagliato, ma il suo è un dramma autentico, senza nulla di recitato, anzi contenuto nei toni più sommessi: il dramma di un uomo che, messo alla scelta tra una carriera e una bandiera, sta con la bandiera, pur ridotta a un brandello. Il comunismo cui Ingrao non intende proprio rinunciare è, né più né meno, lo “stare dalla parte degli sfruttati”.


Sposato con Laura Lombardo Radice (1913-2003), aveva cinque figli: Chiara, Renata, Bruna, Celeste e Guido. Muore a Roma il 27 settembre 2015, sei mesi dopo aver compiuto 100 anni. È sepolto presso il cimitero comunale di Lenola.

Sabato 10 Aprile 2021 Petra: città perduta


 


Evento online

Evento di Virtual Event StudioEventi letterari italiani

Sabato 10 aprile 2021 dalle ore 20:00 alle ore 23:00

Prezzo: gratis · durata: 3 h

Pubblico Chiunque

Petra: città perduta (Online)
Saturday, April 10, 2021 at 8 PM UTC+02
Tour Virtuale da casa in PowerPoint
Piattaforma utilizzata per la lezione: Zoom

Petra, la grande città del regno dei Nabatei, fu costruita lungo il percorso delle rotte carovaniere che collegavano Oriente e Occidente. Al centro di una rete di traffico di profumi, incenso e altri beni di lusso, si arricchì tanto da divenire una delle città più prospere e cosmopolite del mondo antico. Le sue magnifiche tombe scolpite nella roccia, intagliate in un’arenaria locale capace di regalare giochi di luce stupefacenti, sono la dimostrazione più evidente dello status raggiunto dai suoi abitanti. Scopriremo in un viaggio da remoto monumenti e fatti storici salienti per capire un popolo che, come diceva Diodoro Siculo, amava la libertà più di ogni altra cosa

Immunità, protetti dopo il contagio


 


Gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario di chi ha già incontrato il virus Sars Cov-2 hanno una durata di almeno nove, dieci mesi. E ancora, chi a distanza di mesi dal primo contagio è entrato in contatto con persone infette, magari familiari conviventi, pur riportando un'infezione asintomatica non si è però ammalato. Sono i risultati dello studio condotto a Vo' Euganeo, in Veneto, dal microbiologo dell'Università di Padova Andrea Crisanti incollaborazione con i colleghi dell'Imperial College di Londra. Un lavoro, adesso in fase di revisione da parte del comitato scientifico della rivista Nature, che dovrebbe essere pubblicato tra qualche settimana.

 

La durata della protezione. Dati neanche tanto sorprendenti, per la verità, confermati dall'esperienza quotidiana dei tanti operatori in trincea contro il virus. «Non c'è niente di nuovo: sono dati che abbiamo visto noi e altri», dice Ferdinando Coghe, responsabile del laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologia dell'Aou di Cagliari. «Gli anticorpi naturali hanno una durata abbastanza lunga, probabilmente anche più di nove, dieci mesi».

 

Mai visto, dunque, «persone che si sono ammalate due volte, abbiamo invece riscontrato qualche caso di reinfezione senza sintomi, e questo impone un'ulteriore precauzione: che si sia avuta la malattia, o ci si sia vaccinati, è importante continuare a utilizzare la mascherina e a praticare il distanziamento perché, anche se non ci ammaliamo una seconda volta, potremmo comunque reinfettarci e diventare noi veicolo del virus».

 

La tombola delle IgG. Attenzione, però: non tutti coloro che si contagiano producono anticorpi neutralizzanti, cioè le IgG, immunoglobuline che – a differenza delle IgM, prodotte durante l'infezione - circolano nel sangue anche tempo dopo, rispondendo nel caso di una nuova esposizione al virus. «È proprio così - conferma Coghe -: è possibile che, in alcuni di noi, l'infezione induca la comparsa di anticorpi ma questi non siano capaci di neutralizzare il virus, siano quindi meno efficaci o per niente efficaci nel caso di un successivo contatto. Ora, Sars Cov-2 lo conosciamo da appena un anno e stiamo imparando ogni giorno qualcosa di nuovo.

 

La conseguenza è che dobbiamo agire con cautela, nell'ambito delle ipotesi, quindi anche se siamo immunizzati è sempre possibile che i nostri anticorpi non siano efficaci per proteggerci dal virus, quindi è necessario continuare a usare tutte le precauzioni».

 

L'incognita varianti. Soprattutto adesso che circolano le varianti: l'ondata di reinfezioni in Brasile insegna qualcosa. «Al momento solo la variante brasiliana è capace di aggirare gli anticorpi. Ma da tutto ciò dobbiamo trarre una lezione: il virus muta, può farlo in senso favorevole a noi, ma anche sfavorevole. Per cui abbiamo necessità di raggiungere, come popolazione mondiale, un livello di immunizzazione abbastanza ampio per far sì che l'epidemia si spenga. In caso contrario, se siamo convinti di poterci vaccinare noi e non vaccinare quelli che non possono accedere alla profilassi, parlo dell'Africa, di alcuni Paesi del Sudest asiatico e altri meno fortunati di noi, rischieremo di trovarci a dover combattere contro le varianti che potrebbero travolgerci e farci ricominciare il calvario».

 

E i vaccini? Lo studio sulla durata dell'immunità naturale può valere anche per gli anticorpi prodotti grazie al vaccino? «No», dice Gabriele Mereu, responsabile della profilassi della Asl di Cagliari. «Non c'è ancora uno studio sulla durata dell'efficacia del vaccino e non sappiamo quanto dura l'immunità. Oltretutto, entrano in gioco non solo gli anticorpi circolanti ma anche una serie di altri fattori, come l'immunità immediata e l'immunità di memoria, e quindi anche con una bassa quantità di anticorpi dopo il vaccino non significa che uno non sia protetto».

 

In ogni caso, «l'immunità da malattia è soltanto temporanea, dai 6 ai 9 mesi. La vera capacità di produrre anticorpi neutralizzanti si ha solo con la vaccinazione. Per questo, se adesso chi ha avuto il Covid farà solo una dose, bisognerà vedere più avanti se questa sarà sufficiente o se invece è necessario il richiamo».

 

Una questione genetica. Perché ci sono persone che non sviluppano anticorpi neutralizzanti? Da cosa dipende? «Dipende dal sistema immunitario di ciascuno, è una questione genetica - sottolinea il dottor Mereu -. Per la media dei vaccini la risposta immunitaria è del 95%, per altri è dell'80 o del 70%. Molto risulta dalla tipologia dell'efficacia del vaccino, ma riguardo al Pfizer, per esempio, sappiamo che 5 persone su 100 non sviluppano anticorpi, per Moderna sono 20 su 100. Altro esempio: il 30% delle persone non sviluppano anticorpi per certi sierotipi di influenza».

 

La simil-reinfezione. Neanche in ospedale si sono visti casi di reinfezioni «vere e proprie», dice Goffredo Angioni, responsabile di Malattie infettive del Santissima Trinità di Cagliari, primo ospedale Covid in Sardegna. «Da noi sono arrivati pazienti, pochissimi peraltro, che magari hanno pure ripresentato i sintomi ma probabilmente si trattava sempre della prima infezione, mai veramente superata nonostante l'apparente guarigione. Erano persone che facevano una terapia con immunosoppressori, perché affetti ad esempio da artrite reumatoide; pazienti per i quali», sottolinea l'infettivologo, «abbiamo utilizzato il plasma proprio perché non erano in grado di produrre gli anticorpi».

 

Piera Serusi

 

Articolo “Unione Sarda” del 30.03.2021

-----------------

Federico Marini

marini.federico70@gmail.com

skype: federico1970ca