Nasce a Bonorva il 12
gennaio 1882 da una famiglia benestante. Frequenta il liceo a Sassari e
Giurisprudenza all’Università di Torino e poi a Roma, Napoli e Padova. Decisivo,
ai fini della sua formazione politica l’incontro con Antonio Labriola a Napoli,
in cui maturerà la scelta politica di militante socialista “particolare”, che guarda più che alla classe
operaia – come avveniva prevalentemente con il Socialismo di allora – alle
masse contadine del Meridione e della Sardegna. Non è un caso che, rientrato in
Sardegna, organizza i contadini per l’occupazione delle terre, è promotore di
cooperative e difensore, anche come avvocato, delle masse sfruttate e dei
soggetti più deboli.
Con il Partito socialista – lui che insieme a Cavallera è uno dei
primi socialisti in Sardegna – si candida alle elezioni politiche del 1913 e
del 1919, ma con scarso successo. La candidatura del 1919 è ricordata da Antonio Gramsci in
un articolo sull’Avanti del 16-aprile 1919, I dolori della Sardegna con queste
parole: ”perché è proibito ricordare che nel collegio di Alghero il compagno
Gio. Antioco Mura di Bonorva ebbe 1800 voti di contadini e di artigiani sardi
socialisti”?
“Durante il fascismo – scrive Paolo Pisu autore del libro Partito comunista di Sardegna
- Storia di un sogno interrotto – permanentemente vigilato, subisce una diffida
il 26 novembre 1927 dalla Questura di Sassari, ed è in elenco tra i sovversivi della provincia di Sassari nel marzo
1931. I rapporti della Prefettura di Sassari inviati trimestralmente al
Casellario politico centrale sono sempre dello stesso tenore: “L’avv. Mura è
permanentemente vigilato; mantiene fede ai propri principi; frequenta la
compagnia di elementi antifascisti; non dà segni di ravvedimento; continua a
mantenersi indifferente verso il regime; si mantiene sempre lontano dagli
ambienti fascisti”. Nel gennaio 1941, viene denunciato “perché persiste ad
incollare le marche da bollo con l’effigie del re rovesciata”.
Alla caduta del fascismo, nell’ottobre 1944, Mura con un gruppo di comunisti
della provincia di Sassari (tra cui Antonio Cassitta e Francesco Anfossi) in un
panificio sassarese, getta le basi per costruire il Partito Comunista di Sardegna (PCS),
che propugna un programma federalista, con al centro la costruzione di una
repubblica socialista sarda.
L´ambizioso progetto è stroncato nel 1945, dall´attacco profondo e
brutale del PCI e dei suoi massimi dirigenti, impregnati di un centralismo unitarista duro a morire,
soprattutto in Velio Spano. Con la promessa e l’impegno di accogliere e far
proprie le istanze autonomistiche, specie con Renzo Laconi, la gran parte degli
esponenti del PCS rientreranno nei ranghi, ad iniziare da Cassitta. Ma Antioco
Mura non aderirà. Anzi. A Fulvio Sanna – già suo braccio destro – che cercherà di
convincerlo a rientrare, – reagirà in malo modo, cacciandolo dalla sua casa e
non salutandolo mai più.
Personaggio sanguigno, schietto e bizzarro (anche nel modo di vestire: a
Sassari passeggia e frequenta i bar con una mantella e un cappello a falde
larghe), continuerà ad essere un socialista libertario ma sostanzialmente si
disimpegnerà politicamente, dedicandosi ad attività culturali e scrivendo
svariate opere fra cui: Anima de Saldigna
(1952); Cristo non è morto sulla croce (1952); Giuda Iscariote (1952);
L’internazionale è la guerra (1952); S’Incunza (1952); Sardegna irredenta
(1953); Boghes de Logudoro (1953); La marcia della fame: romanzo (1954). Morirà
a Sassari nel 1972.
A mio parere il suo scritto migliore è l’opera teatrale S’incunza – Commedia in tre atti in dialetto
Sardo logudorese (1952).
La commedia è scritta in un sardo-logudorese elegante e musicale (ricordiamo
per inciso che Bonorva è una delle “capitali” del logudorese, in quanto patria
di valenti poeti, come Pauliccu Mossa e di cantadores come Barore Testone e
Giuseppe Sotgiu).
Ma il mal vezzo, purtroppo presente in molti scrittori sardi, porta
Giovanni Antioco Mura a confondere fonetica con scrittura per cui volendo riprodurre
esattamente nella grafia le parole così come vengono pronunciate, (imitando
pedissequamente quanto sostenuto dal vecchio Quintiliano: scrivere le parole
quo modo sonant), il risultato è una vera e propria storpiatura di moltissimo lessico.
Ne risulta infatti una scrittura paradossale per cui troviamo pigad e ch’ad al
posto di pigat e ch’at, di sulda al posto di surda, di giocatolo al al posto di
giocatolos e così via storpiando.
Di Francesco Casula
Saggista, storico della letteratura sarda
autore del libro, tra gli altri, de “Carlo
Felice e i tiranni sabaudi”
*L’articolo è tratto dal sito “truncare.myblog.it”
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