venerdì 30 luglio 2021

«L'Isola colpita dalla quarta ondata»


 

Ogni giorno che passa il numero cresce. Sembra una corsa inarrestabile verso una vetta che in realtà non si capisce bene quando verrà raggiunta. Due giorni fa 403 nuovi casi, ieri 413. Indice di positività che va oltre l'11% e purtroppo il numero dei morti da inizio pandemia raggiunge i 1.500. La Sardegna «è di fatto entrata nella quarta ondata, come tutta l'Italia», certifica la Fondazione Gimbe. La variante Delta sta prendendo il sopravvento, «complice il fatto che è molto più contagiosa», specifica l'epidemiologo Giovanni Sotgiu.

Per fortuna restano sotto la soglia d'allarme le ospedalizzazioni anche se, a causa di questo aumento di contagi, nella mappa Europa la Sardegna in 15 giorni passa dalla zona verde a quella rossa. Rosso in Europa Prima regione italiana a diventare verde, prima a colorarsi di nuovo gialla e dopo una sola settimana la Sardegna entra nella zona rossa d'Europa insieme alla Sicilia. Ieri l'Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha aggiornato le cartine delle regioni degli Stati membri registrando un aumento dei casi in mezza Europa.

La maggior parte dell'Italia vira in giallo, restano verdi solo Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata al Sud, e Valle d'Aosta e Piemonte al Nord. Per la Sardegna quindi la presa d'atto che negli ultimi 14 giorni ci sono stati dai 75 ai 200 casi ogni centomila abitanti con un indice di positività medio del 4%. Tradotto: alto rischio di contagio e quindi tra le zone "sconsigliate" come mete turistiche. Sono 32 i centri nell'Isola, piccoli e grandi - tra cui Cagliari e Quartu Sant'Elena - che registrano poco oltre i 250 casi. La maggior parte dei nuovi positivi si trova nella Provincia del Sud Sardegna o a Cagliari, ma non mancano i contagi sopra soglia in alcune comunità dell'Oristanese, del Nuorese e del Sassarese.

 

Ma ci sono anche buone notizie: su 377 Comuni sono 218 quelli che non registrano contagi negli ultimi sette giorni. I dati di ieri Salgono a 61.413 i casi di positività in Sardegna dall'inizio dell'emergenza con i 413 registrati nell'ultimo aggiornamento dell'Unità di crisi regionale. Due le vittime: una novantenne residente a Cagliari e un 84enne del Sud Sardegna. In calo i ricoveri in area medica, 61 (-8 rispetto al report precedente), ma si registrano due nuovi ingressi in terapia intensiva (11 in totale). Attualmente sono 4.320 le persone in isolamento domiciliare e 55.516 i guariti.

L'epicentro resta sempre Cagliari, anche ieri oltre la metà dei casi regionali sono stati registrati nel capoluogo sardo, ma è allarme anche nel Sud Sardegna. «Il giallo è lontano» «Un'alta percentuale di contagi si registra nell'area metropolitana di Cagliari e Sud Sardegna. Ma non confondiamo il positivo con il malato. L'ingresso in zona gialla per adesso è lontano se noi riusciamo a mantenere un impatto negli ospedali sotto soglia. Ma dobbiamo vaccinarci e adottare sempre i soliti comportamenti: mascherina, distanziamento e igienizzare le mani», sottolinea l'assessore regionale alla Sanità Mario Nieddu. «Il 97% non vaccinati». E dagli ospedali di Cagliari, il direttore sanitario Sergio Marracini fa sapere che «su tutti i ricoverati all'ospedale Binaghi i non vaccinati rappresentano il 97% con un'età media che si sta leggermente sollevando».

«L'Isola sta peggiorando». E ieri la Fondazione Gimbe ha scattato una fotografia dell'Isola allarmante, anche se l'ospedalizzazione resta sotto soglia. Nella settimana 21-27 luglio, infatti, si registra una performance in peggioramento per i casi positivi per 100.000 abitanti (231) e si evidenzia un aumento dei nuovi positivi (79,1%) rispetto alla settimana precedente, quando la crescita aveva superato il 200%. A preoccupare sono soprattutto tre Province che presentano oltre 50 nuovi casi per 100.000 abitanti nell'ultima settimana: la Città Metropolitana di Cagliari, Oristano e il Sud Sardegna. «Nessuna pressione, per ora, sui posti letto in area medica e terapia intensiva occupati da pazienti Covid-19, entrambe al 4%, ma peggio in Italia fa solo la Sicilia e la Calabria», sottolinea il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta.

 

Michele Masal

 

Articolo “Unione Sarda” del 27.07.2021

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Federico Marini

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martedì 27 luglio 2021

Al lavoro il nucleo di polizia ambientale. L'incendio rallenta, paesi al sicuro. Caccia alle responsabilità, la forestale apre le indagini.


 


Dopo la grande paura arrivano le prime informazioni dal fronte delle indagini sull'origine del rogo, o dei roghi, che hanno devastato il Montiferru. Il nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale del Corpo forestale ha iniziato i rilievi nelle aree attraversate dal fuoco, andando a caccia di eventuali indizi riconducibili alla genesi del maxi incendio. I risultati saranno trasmessi alla Procura della Repubblica di Oristano che dovrà valutare eventuali responsabilità dolose o colpose nella genesi dell'incendio. Le indagini sono partite dalla zona di Bonarcado, dove venerdì scorso un piccolo rogo si era insinuato in un canalone naturale che, per motivi in via di accertamento, non era stato spento o era stato spento parzialmente e che quindi potrebbe essere una delle cause dell'immane distruzione dei giorni scorsi.

 

La giornata. Intanto, nei paesi raggiunti delle fiamme è ancora impossibile parlare di tranquillità ma il fronte degli incendi sembra essere finalmente sotto controllo, per quanto alcune zone siano sotto stretta osservazione per via di focolai ancora accesi. Ieri i canadair e gli elicotteri, supportati dalle squadre a terra, hanno lavorato sin dalle prime ore del mattino per combattere le fiamme accese ormai da tre giorni. Il cammino del fuoco verso il Marghine è stato frenato nella zona di Sagama mentre le fiamme che hanno terrorizzato gli abitanti di Porto Alabe e Tresnuraghes sembrano estinte dopo l'ennesimo intervento dei canadair. Nel pomeriggio di ieri le situazioni più preoccupanti erano nel territorio di Suni e nel Comune di Santu Lussurgiu, dove i focolai che sembravano neutralizzati hanno ripreso forza ieri mattina. In entrambi i casi è stato necessario l'intervento di elicotteri e canadair.

 

Lo scenario. Un intero territorio ha cambiato aspetto nel corso del fine settimana. Per fortuna, qualche area è stata risparmiata dalle fiamme ma il grosso dei boschi, delle aree verdi e delle coltivazioni sono ormai un ricordo coperto dalla fuliggine. Le ultime stime parlano ancora di 20mila ettari di territorio, ma la sensazione è che la cifra sia destinata ad aumentare una volta che sarà possibile completare una valutazione approfondita. Anche perché si parla di un incendio che ha "camminato" per oltre 70 chilometri e che sembra essere uno dei più estesi della storia recente dell'isola. Al punto che dopo aver superato le tragiche ore dell'emergenza, è arrivato il momento di comprendere cosa sia andato storto nel sistema di prevenzione e di intervento.

 

Sistema fallato. Ora la parola d'ordine è "prevenzione", un vocabolo comparso nel dibattito politico dopo l'incendio, dopo il terrore, dopo la devastazione. Eppure, gli indizi disponibili non erano pochi. Alcuni erano stati profeticamente riassunti in una lettera redatta dal "Comitato spontaneo del Montiferru" e indirizzata al sindaco, all'assessore all'Ambiente di Cuglieri, al comandante della stazione locale del Corpo forestale e al comandante della caserma dei vigili del fuoco. Un documento che porta la data del 7 giugno e che, riletto oggi, ha il sapore amarissimo della profezia inascoltata.

 

Il comitato, sin dalle prime righe, descrive una montagna (quella di Cuglieri) come se fosse una bomba ad orologeria. Diverse le località citate, la più conosciuta è quella della Madonnina, ma tutte accomunate da uno stato di abbandono denunciato quasi due mesi prima del disastro. Si parla di strade sterrate impraticabili per via del fondo dissestato e invase dalla vegetazione, dell'assenza delle politiche di forestazione e dei tagli controllati e di una vegetazione che, in alcuni tratti, era talmente fitta da non essere penetrabile, con il comitato che definiva l'intera area come un "pericoloso deposito di combustibile alla mercé degli incendiari" che facilmente avrebbero potuto innescare un rogo "che non avrebbe lasciato alcuna possibilità di essere spento". Che poi, è quello che è successo. Anche se per il momento non ci sono certezze sull'origine dell'incendio.

 

Quel che è certo è che il comitato ha vestito il ruolo della mitologica Cassandra, la sacerdotessa veggente che annunciava le catastrofi e che puntualmente non veniva presa in considerazione. Ma ci sono altri aspetti che dovranno essere chiariti, dai ritardi nella regolarizzazione degli operai di Forestas completata poco tempo fa all'effettiva capacità del sistema antincendio della Sardegna dopo la rivoluzione all'interno della Forestale, con numerosi dirigenti senza delega dopo la scadenza del contratto biennale che li legava al Corpo e che già aveva denunciato la carenza del personale necessario per affrontare la stagione degli incendi. Gli interrogativi, insomma, sono tanti e potrebbero aumentare. Le risposte, invece, sono poche.

 

di Claudio Zoccheddu

 

Articolo “La Nuova Sardegna” del 27.07.2021

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Federico Marini

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lunedì 26 luglio 2021

(26 Luglio 1952) muore Evita Peron, moglie di Giovanni Piras di Mamoiada (secondo alcuni...)


 

(26 Luglio 1952) Muore a Buenos Aires, una delle donne più influenti del Novecento: Evita Peron. Moglie del presidente argentino Juan Domingo Peron, la coppia diventa subito molto popolare in tutta l’Argentina: lei bellissima, ex attrice radiofonica, lui, un astro nascente della politica, già ministro della guerra. Una volta eletto presidente, il 4 gennaio del 1946, Evita assume l’incarico di ministro del lavoro.

Insieme elaborano e portano a termine numerose riforme economiche. Ma al culmine del suo successo personale, Evita si ammala di cancro, di cui muore nel 1952. Per gli argentini è un dolore immenso. Il giorno dei funerali a Buenos Aires non è più possibile trovare un solo fiore, sono tutti deposti davanti al suo feretro. Nel 1955, un golpe militare costringe Peron a rifugiarsi in Spagna.

Il marito, Juan Domingo Peron, fu educato nelle scuole militari e percorse la carriera nell'esercito. Secondo una teoria pseudo storica argomentata da alcuni studiosi sardi (Peppino Canneddu, Gabriele Casula, Giovanni Maria Bellu), Perón sarebbe stato un emigrato sardo, tale Giovanni Piras di Mamoiada, inventatosi natali argentini per sfuggire alla coscrizione durante la prima guerra mondiale. La notizia del Perón sardo appare per la prima volta nel marzo del 1951.

Il cognome Peròn risulta essere comune soprattutto nella regione francese della Bretagna, mentre Peron è diffuso in Italia, ma in Veneto e non in Sardegna, soprattutto nelle province di Padova e Vicenza. Secondo un giardiniere della Casa Rosada, anche lui di origine sarda, Perón avrebbe, invece, confidato di avere un nonno proveniente dal Regno di Sardegna (che all'epoca comprendeva anche Piemonte e Liguria).

Al di là di presunte o reali vicende, Peron fu tra i capi di quel Grupo de Oficiales Unidos che provocò nel giugno 1943 la caduta del presidente R. Castillo, e quindi sostituì il generale Rawson con il generale Ramírez e questo con Farrell. Membro del governo di E. J. Farrell come ministro della Guerra, poi del Lavoro, in questa veste ottenne larghissimo appoggio dai sindacati operai, da lui favoriti con una vasta politica di concessioni. Questi lo sostennero allorché dovette per breve tempo ritirarsi a vita privata, nell'ottobre 1945 (sposò allora la popolare attrice Eva Duarte); e contribuirono poderosamente alla sua elezione a presidente della Repubblica. Eletto il 24 febbraio 1946, fu confermato l'11 novembre 1951.

Sostenuto dall'esercito e soprattutto dai lavoratori organizzati nella Confederación general del trabajo, e coadiuvato dalla moglie Evita, Peron svolse una politica «giustizialista», «a metà strada fra comunismo e capitalismo». In campo internazionale, questa ebbe forme di nazionalismo, specie contro gli USA e la Gran Bretagna, mentre Peron tentava di estendere la sua influenza nei paesi vicini; in campo interno comprese elementi di corporativismo, di produttivismo e d'autarchia, in cui al tentativo di violenta trasformazione dello stato da agricolo a industriale si univa una serie di misure sociali.

Tale politica provocò una grave svalutazione della moneta, che perse più dei 4/5 del suo valore, mentre i tratti autoritari del regime accrescevano il malcontento delle classi abbienti. Il peggioramento della situazione economica, i contrasti con gli USA e l'ostilità della chiesa cattolica contribuirono a indebolire Peron, che nel settembre del 1955 fu rovesciato da un colpo di stato militare. Rifugiatosi in Spagna, ritornò in Argentina nell'estate 1973, in seguito alla vittoria elettorale dei peronisti, assunse quindi la presidenza della Repubblica. Alla sua morte, l'anno dopo, gli successe la terza moglie, già vicepresidente, M. E. Martínez de Perón.

Fuoco e paura nel cuore dell'Isola: «Un disastro, i mezzi non bastano»


 

Mezza Sardegna brucia. Dal Montiferru alla Planargia, al Marghine è un immenso braciere. Ventimila ettari di vegetazione inceneriti, case evacuate e distrutte, bestiame arso vivo e persone in fuga. Dopo una notte di angoscia, è stata una domenica di fuoco e puro terrore. Fiamme, fumo, frastuono dei motori dei Canadair e dei rotori degli elicotteri: sul Montiferru sembra ci sia un'apocalisse di fiamme: focolai accesi su più punti, squadre antincendi a terra e mezzi aerei impegnati dall'alba al tramonto, cercando di domare le fiamme. Persone evacuate a San Leonardo e nei quartieri periferici di Scano Montiferro.

«Un'altra giornata molto impegnativa» commenta il direttore generale della Protezione Civile della Sardegna, Antonio Belloi, che coordina gli interventi con la sala operativa regionale e in stretto contatto con il capo Dipartimento della Protezione Civile nazionale. «Abbiamo tutti gli 11 mezzi aerei in volo sull'Oristanese, gli elicotteri dei Vigili del fuoco e dell'esercito e sette Canadair che stanno cercando di spegnere le fiamme che, secondo una prima stima sommaria tra Santu Lussurgiu e Cuglieri hanno divorato circa 10mila ettari di territorio».

Il terrore. Una guerra contro il mostro di fuoco. Dopo la notte di paura a Cuglieri e Sennariolo, quando le fiamme sono arrivate fin dentro il paese, ieri il fuoco alimentato dallo scirocco e dalle temperature torride ha invaso nuovamente i monti e le colline circostanti Santu Lussurgiu. Focolai mai spenti del tutto e attivi dalla notte di sabato fino all'alba di domenica, e si consuma un'altra giornata infernale. Il fuoco è stato riattizzato dal vento di scirocco su più fronti bruciando i boschi attorno al paese e minacciando le case dei quartieri di S'Ena ‘e s'alinu e sa Niera. Il polmone verde della borgata di San Leonardo, località montana famosa per le sue preziose fonti, è stata minacciata dalle fiamme che si sono avvicinate pericolosamente, ma è rimasta salva. La frazione montana è stata evacuata per precauzione, il bosco in direzione di Macomer e Scano Montiferro è rimasto per fortuna intatto. Furia devastante A Bau‘e mela, il villaggio ecosolidale è stato spazzato via dal fuoco in un baleno, si è salvata solo la casa di Alessio e Clara, due soci della cooperativa che gestisce quel polmone verde di lecci e splendidi orti.

Le enormi fiamme sospinta dal vento sono arrivate da Sennariolo a Scano Montiferro lambendo le abitazioni alla periferia del paese. A quel punto il sindaco Antoni Flore non ha esitato un attimo e, dopo aver dichiarato lo stato di emergenza, ha disposto l'evacuazione della casa di riposo e dei quartieri di Sa Serra, Laddararzos, San Giorgio, Sa Rochita e su Furraghe. Le persone sfollate sono state accolte e soccorse nella scuola e presso il Centro Giovani. Le fiamme hanno avvolto e incenerito tutta la zona vicino al campo sportivo, le forze aeree e le squadre a terra comunque sono riuscite a salvare la pineta.

La vallata s'Adde ricca di lecci, querce e oliveti è rimasta quasi intatta. Danni incalcolabili I danni in tutto il Montiferru invece sono incalcolabili, la lunga lingua di fuoco propagatasi su tanti fronti ha bruciato migliaia di ettari di boschi di lecci, castagni e macchia mediterranea, uccidendo animali e greggi di ovini, bovini, cavalli, capre, cervi. Angelo Onni di Santu Lussurgiu che ha perso tutto si scaglia contro le istituzioni: «Sono da 40 anni che combatto contro gli incendi. Ma in questo lasso di tempo nessuna prevenzione è stata fatta, nessuna programmazione da parte degli enti preposti».

Un patrimonio ambientale di boschi e prati, aree coltivate sono diventati cenere in un battibaleno, mettendo in ginocchio le economie agropastorali di Santu Lussurgiu e Scano. Un disastro ambientale, sociale, economico: «Ci vorranno generazioni per recuperare tutto ciò che è stato perduto - il commento di un volontario -. Pensavamo di non dover più rivivere le brutte immagini del 1994 e invece anche stavolta siamo costretti a questo scempio». I soccorsi Stremati dall'intenso impegno le forze antincendio dei Vigili del Fuoco del comando di Oristano, che sono stati sostenuti dai Barracelli e dagli uomoni della Protezione Civile di Scano e Santu Lussurgiu. Ma tante le squadre da Oristano, Sorgono, Gadoni, Borore e Paulilatino sono intervenute per dare un aiuto: trasportare acqua per approvvigionare le autobotti e le cisterne a terra per gli elicotteri del servizio antincendio regionale.

Tre Canadair hanno fatto spola tra il lago Omodeo e le guglie del Montiferru gettando migliaia di litri d'acqua. Un disastro di fronte al quale il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha annunciato rinforzi: «I Canadair italiani non bastano più – ha detto -, abbiamo attivato il meccanismo di protezione civile europea, stanno arrivando 2 Canadair francesi». Per ora i vigili del Fuoco sono rimasti a presidiare i due comuni del Montiferru, le comunità stremate sperano che questo inferno di fuoco termini presto. C'è un'altra notte di paura alle porte. Joseph Pintus

 

Articolo “L’Unione Sarda” del 26.07.2021

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Federico Marini

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domenica 25 luglio 2021

Il 23 luglio del 2011 muore la cantante Amy Jade Winehouse


 

Il 23 luglio del 2011 viene ritrovato il corpo senza vita della cantante londinese Amy Jade Winehouse. È stata una cantautrice, stilista e produttrice discografica britannica. Nata il 14 settembre 1983 a Enfield (Middlesex), in Inghilterra. Cresce a Southgate, quartiere a nord di Londra, dove la sua famiglia (di origine ebreo-russe) è formata dal padre farmacista e dalla madre infermiera. Tuttavia la piccola Amy preferisce la musica allo studio: a soli dieci anni, fonda un piccolo gruppo rap amatoriale: "Sweet'n'Sour".

In breve tempo la ragazza, grazie al suo enorme talento, entra a far parte del professionismo vocale: viene scoperta da Simon Fuller, noto e astuto ideatore di "Pop Idol": Amy firma un contratto con l’agenzia di management "19 Entertainment", che a sua volta riesce a trovare un accordo discografico con la Island Records. Il singolo "Stronger than me", composto dalla stessa Amy Winehouse insieme al produttore Salaam Remi, le fa vincere numerosi premi: è in questo periodo che Amy comincia a dare le prime manifestazioni del suo carattere ribelle e inquieto.

Il suo nuovo lavoro è datato 2006. Il un nuovo disco s’intitola "Back to black" e s’ispira a Phil Spector, nonchè alla musica degli anni '50 e '60. Il singolo estratto dall'album è "Rehab" (che parla dei temi di cui Amy è stata vittima, la traduzione , infatti, è "riabilitazione") che proietta subito il disco nella top ten inglese, facendole vedere la vetta all'inizio del 2007.

Nel frattempo l'Independent pubblica un articolo sulla depressione, in cui Amy Winehouse viene citata come clinicamente affetta da psicosi maniaco-depressiva che rifiuta le cure. Lei tuttavia ammetterà solo di aver sofferto di disordini alimentari (anoressia e bulimia). I problemi legati a droga e alcol sembrano comunque non avere una fine.

 

Fidanzata con Blake Fielder-Civil, si sposano nel mese di maggio del 2007, ma la nuova situazione non la porta verso una condotta di vita più sana e tranquilla: nel 2007 dopo alla manifestazione celebrativa "MTV Europe Music Awards" sale per due volte sul palco in apparente stato confusionale.

Ai Grammy Awards 2008 (gli Oscar della musica) di Los Angeles trionfa vincendo quattro premi; tuttavia non avendo ricevuto il visto per entrare negli USA, partecipa alla serata cantando da Londra. Nonostante i vari tentativi di riabilitazione, gli eccessi della sua vita hanno il sopravvento sul suo fisico: Amy Winehouse viene trovata morta a Londra il 23 luglio 2011. Aveva 27 anni (come Jim Morrison, Jimmy Hendrix, Janis Joplin). Inizialmente la sua morte fu motivata con un suicidio, tuttavia, in relazione agli esami medici, emerse che la cantante fu vittima di un eccesso di alcol, in un periodo di totale disintossicazione.

La richiesta di Liberu per contrastare gli incendi. Di Pier Franco Devias


 

Ancora una volta la Sardegna sotto attacco dei criminali incendiari. Ma no, tutto ciò non accade per sfortuna, o per caso. Accade perché chi ha il potere di prendere delle contromisure adeguate forse non fa le mosse giuste. Anni fa noi di Liberu lanciammo la Campagna Firma su Fogu. Raccogliemmo migliaia e migliaia di firme, tutte rigorosamente autenticate, e le portammo in Regione, nelle mani dell’allora assessora all’Ambiente.

Chiedevamo sostanzialmente tre cose:

La prima, una forte e costante campagna di sensibilizzazione ed educazione in tutte le scuole, affinché tutti i bambini e ragazzi imparassero i pericoli del fuoco e il rispetto dell’ambiente.

La seconda, la dotazione da parte della Regione di un nuovo parco mezzi antincendio e di elicotteri e aerei di proprietà regionale, per scongiurare alla radice anche ogni lontana ipotesi di business degli incendi legati al costoso affitto dei mezzi.

La terza, che la Regione si facesse portavoce nei confronti del governo italiano di una proposta per l'inasprimento delle pene per gli incendiari, equiparando questo crimine a una tentata strage.

Nessuna delle nostre proposte venne accolta. Né dalla vecchia giunta, né da questa, per quanto è probabile che quelle richieste supportate dalle firme di migliaia di cittadini sardi siano ancora negli stessi cassetti.

Mi chiedo se sia possibile fermare il fenomeno degli incendi senza una adeguata coscienza diffusa, senza mezzi adeguati e sempre a disposizione, senza pene adeguate per chi attenta alla salute del nostro ambiente e della nostra gente.

Me lo chiedo davvero se sia possibile. Ma la risposta è tutta nella foto.

#FirmaSuFogu

Pier Franco devias

venerdì 23 luglio 2021

Come ci vedono gli "Altri" (40) Viaggiatori italiani in Sardegna FRANCO CAGNETTA (1926-1999) Di Francesco Casula.


 

Franco Cagnetta nasce il 13 aprile 1926 a Bari e muore a Roma il 7 aprile 1999. Antropologo, etnologo e iconologo è legato alla Sardegna fin dal 1950, quando inizia a condurre in Orgosolo, a varie riprese, fino al 1954, un insieme di indagini che si concreteranno in alcuni scritti: nel 1953 su «Società» pubblicherà La disamistade di Orgosolo e nel 1954 su «Nuovi Argomenti» Inchiesta su Orgosolo.

 Cagnetta stesso nell’introduzione alla prima edizione italiana in volume, in una collana diretta da Luigi M. Lombardi Sartriani per la casa editrice Guaraldi, ci fornisce alcuni dati relativi alla “fortuna” della sua opera ma anche alle polemiche che essa suscitò. Nel 1954 – scrive Cagnetta – “Il nome di quello sperduto villaggio sardo era quasi sconosciuto alla maggioranza degli italiani. E quasi altrettanto sconosciuti erano in Italia quei metodi di ricerca che si sono poi venuti delineando sotto il nome di antropologia culturale”.

Nella sua opera infatti lo studioso barese – che si era laureato a ventuno anni in Filosofia all’Università di Messina, dove quattro anni dopo era divenuto incaricato dell’insegnamento di Filosofia della Storia – offre un primo significativo contributo a un movimento culturale che elevava le tradizionali ricerche folcloristiche al livello di interpretazione antropologica ed etnologica. Non senza difficoltà e persino opposizioni da parte del potere economico, politico e amministrativo che, a causa delle sue ricerche “scomode”, si sentiva evidentemente minacciato o comunque messo seriamente in discussione.

Scrive infatti Cagnetta nell’Introduzione: ”Voglio qui ricordare (soltanto per caratterizzare la singolare condizione in cui si trovava la ricerca antropologica) che nel corso di quelle ultime indagini certi proprietari locali giunsero a intimarmi il silenzio sugli avvenimenti con minacce di morte, di cui naturalmente non tenni alcun conto. Non posso certo dire però di aver beneficiato dell’aiuto delle autorità amministrative e delle forze di polizia locali, che, invece di proteggere la ricerca, cercarono di impedirmela con interrogatori, pedinamenti ecc.”.

Ma c’è di più: a pochi giorni dalla pubblicazione dell’Inchiesta su Orgosolo, il 9 novembre 1954, l'allora ministro dell'Interno, il democristiano Mario Scelba, denunciò all'autorità giudiziaria sia Franco Cagnetta che i direttori della rivista, Alberto Moravia e Alberto Carocci, ma anche tutti i responsabili dei giornali che ne riportavano brani, per i reati di di vilipendio delle forze armate e pubblicazione di notizie atte a turbare l'ordine pubblico. Lo stesso Scelba chiese – ottenendolo – il sequestro della rivista.

Non posso non ricordare – scrive ancora Cagnetta – l’ironica sorpresa che suscitarono in me accuse tanto preoccupanti rivolte alla nascente antropologia culturale. La questione fu discussa persino in Parlamento, dove il socialista Pietro Nenni la definì la più terrificante inchiesta che sia comparsa negli ultimi sessant'anni. Dovettero passare quasi due anni prima che il Tribunale di Roma, con sentenza del 4 Aprile 1955 dichiarasse non doversi promuoversi l’azione penale e ordinasse la trasmissione degli atti in archivio perché nell’Inchiesta non ricorrevano gli estremi di reato di vilipendio delle forze armate e perché le notizie pubblicate non erano tali da turbare l’ordine pubblico, come il Ministero dell’Interno, con rapporto della Questura di Nuoro, aveva denunciato.

Anche se per la scarsità della tiratura e per gli effetti del sequestro l'Inchiesta divenne immediatamente introvabile, il lavoro di Cagnetta sollevò un'eco immediato sulla stampa italiana (dal Il Corriere della Sera a Il Contemporaneo, dall’Avanti, a Paese Sera, La Stampa ed altri) e su quella straniera (dal The Times a Le Figaro) dove vennero pubblicati numerosi estratti. Tale eco fu rinnovato nel 1961 quando, alla Biennale di Venezia, fu assegnato il Premio opera prima al film di Vittorio De Seta Banditi a Orgosolo, che all’Inchiesta si ispirava. Alla sua Inchiesta Cagnetta, orgogliosamente, – e, a nostro parere, giustamente – attribuisce un certo peso nel promuovere l’abolizione successiva del «confino di polizia» e l’inchiesta del senato, i cui testi sono noti attraverso i due volumi della « Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della criminalità in Sardegna».

Sia come sia, la ricerca di Cagnetta fu pubblicato integralmente solo nel 1963 in Francia per le Edizioni Buchet/Chastel di Parigi (Bandits d'Orgosolo), con prefazione di Alberto Moravia e fotografie di Pablo Volta e Sheldon M. Machlin. Questa edizione viene poi tradotta e pubblicata in Germania nel 1964 dalle Edizioni Econ-Verlag (Dusseldorf-Wien) con il titolo Die banditen von Orgosolo). Bisognerà aspettare fino al 1975 per la prima pubblicazione in Italia con il titolo Banditi a Orgosolo, con l’editore Guaraldi , con un'introduzione di Luigi Lombardi Satriani e una nota dell'Autore, che si aggiungono alla prefazione di Alberto Moravia già apparsa nell'edizione francese.

Ma ecco come Cagnetta presenta, nell’Introduzione, la sua ricerca: ”Nell’ inchiesta su Orgosolo del 1954 mi ero posto una questione per me assillante: come è possibile studiare una popolazione e una civiltà di «primitivi» senza tener presente la realtà dei rapporti che essa ha con la civiltà moderna in cui è in contatto? Lo studio di una popolazione e di una civiltà di «primitivi» non è niente altro che lo studio di una particolare situazione del nostro mondo moderno. Più che nello studio isolato del «relitto» il compito dell'etnologo sta nello studio dei rapporti tra struttura antica e moderna, per indicare, poi, i mezzi che consentano di evitare uno scontro drammatico di distruzione (che è sempre sopraffazione della struttura antica) e cercare un incontro che permetta di conservare la civiltà dell’antico immettendola nel mondo moderno, che ne sarà arricchito.

È studiando il caso di Orgosolo che mi ero reso conto che, se un «relitto» arcaico esisteva, esisteva in una tensione distruttiva non ancora risolta. La sua permanenza derivava soltanto dalla impotenza della struttura moderna – gli Stati succedutisi dai Romani ad oggi – che ne avevano tentato la conquista soltanto con la forza militare. Rinunciandovi per situazioni assai particolari (difficoltà di territorio, tradizione millenaria di guerriglia, scarso profitto economico) avevano trovato il loro interesse – nel cingerlo in un perpetuo assedio poliziesco – perpetuandone così l'esistenza arcaica, abbandonata a sé stessa.

Era una situazione ben nota nelle conquiste coloniali in Africa, in Asia, nelle Americhe, eppure Orgosolo era un paese nel territorio italiano, abitato da cittadini italiani. Venivo a toccare uno dei problemi più gravi e pia dolorosi del processo di unificazione nazionale. Mi era impossibile – se non accettando di essere un quadro culturale «colonialista» (e l'etnologo «accademico» mi si rivelava così essere niente altro che l'etnologo «colonialista») – evitare di denunciare lo scandalo che costituiva la situazione di Orgosolo.

Il problema aveva assunto maggior rilievo per le gravi repressioni che in quell’anno 1954 furono condotte contro il paese. Lo scandalo mi sembrava esemplare per far comprendere l'azione della «struttura» moderna dello Stato diretto dalla borghesia. Denunciando apertamente le condizioni di Orgosolo mi ero limitato a dire soprattutto quali erano i metodi che non dovevano essere usati: quelli unilaterali della conquista militare, della repressione poliziesca. È una lezione appresa in Orgosolo venti anni fa e, dopo tanti anni, non ho che nuovi motivi per sottoscriverla integralmente.

 

Ritrovo in questa mia convinzione di uomo e antropologo una ragione per ripubblicare in Italia questa inchiesta. La ripubblico quale fu scritta, senza aggiornamenti, poiché la situazione del paese, che pure ha subito profonde modifiche esterne (come risulta dalle testimonianze degli amici pastori che lavorarono a quelle mie ricerche, dalle cronache criminali dei giornali e dai nuovi studi su Orgosolo) non sembra modificata per l’essenziale. Malgrado un notevole affievolimento e la scomparsa di molte tracce, la struttura culturale arcaica del paese non è del tutto scomparsa”.

Sul problema del colonialismo esercitato dallo Stato Italiano nei confronti della Sardegna, di cui il caso “Orgosolo” è emblematico, ritorna nella prefazione Luigi M. Lombardi Sartriani il quale chiedendosi perché il libro di Cagnetta abbia suscito tanto scandalo risponde: ”Sinteticamente, siamo negli anni Cinquanta, la società italiana è in fase di espansione capitalistica; la ricchezza che viene prodotta (ma a vantaggio di chi?) tende a occultare le zone di sottosviluppo, il cui mantenimento è funzionale allo stesso sviluppo capitalistico e che costituiscono il prodotto della stessa logica… in un quadro di costante sfruttamento”.

Di sfruttamento, repressione e nel contempo di espropriazione culturale, segnatamente nei confronti dell’area barbaricina. “La distruzione del diverso, (prassi effettiva) – scrive ancora Sartriani – smentiva il rispetto e la garanzia della libertà (dichiarazione ideologica): la Barbagia veniva indicata come luogo (uno dei luoghi) della violenza distruttrice delle classi dominanti, dell’espropriazione culturale ed esistenziale…”

Sullo stesso versante si muove Alberto Moravia nella Introduzione al libro di Cagnetta: anch’egli denuncia il colonialismo e la repressione da parte dello Stato italiano considerato dai Sardi “lontano e avverso quando non addirittura straniero”. E continua: ”Io stesso con i miei occhi ho veduto nelle meravigliose solitudini alpestri della Sardegna posti di guardia di carabinieri dotati di armi modernissime e di comunicazioni radio, proprio come soldati in una colonia in rivolta contro un regime colonialista”.

Di Francesco Casula.

Saggista, storico della Letteratura sarda