(26 Aprile 1986) Esplode la centrale nucleare della città di
Cernobyl, nell'allora Unione Sovietica. A causa di alcuni errori del personale e leggerezza di
alcuni dirigenti, durante un azzardato test di sicurezza, si
fonde il nocciolo del reattore numero 4, che esplode disperdendo nell’aria materiale radioattivo.
Nonostante la città di Cernobyl venga subito evacuata, le conseguenze per la
popolazione, oltre ai 65 morti accertati, sono molto pesanti e dureranno per
molti anni. Dall’esplosione si leva una nube tossica che sorvola gran parte
dell’Europa.
Le prime reazioni delle
fonti ufficiali tesero a minimizzare il possibile impatto delle radiazioni sul
territorio italiano. Durante una conferenza stampa ai primi di maggio la
rivista "La Nuova Ecologia" e la "Lega per l'Ambiente" resero invece noti dati che documentavano la presenza
preoccupante di radionuclidi su molte aree del Paese. Nei giorni successivi le autorità
vietarono perciò il consumo degli alimenti più a rischio come latte ed
insalata. Il 10 maggio a Roma una grande manifestazione popolare a cui
parteciparono più di 200.000 persone segnò il primo passo verso il referendum
che l'anno successivo portò all'abbandono dell'energia nucleare in Italia.
L'incidente e soprattutto i ritardi da parte delle autorità italiane
nel dare l'allarme in una situazione che vedeva già dalla metà degli anni
settanta una crescente mobilitazione contro il nucleare rappresentarono un punto di svolta
nella storia dell'ambientalismo italiano: per il referendum del
1987 furono raccolte in
breve oltre un milione di firme, l'associazione Legambiente e il WWF
raddoppiarono i soci, mentre alle elezioni politiche del 1987 i Verdi ottennero
quasi un milione di voti. Ancora oggi sono riscontrabili
nell'ambiente e nei sedimenti dei fiumi alcune tracce, innocue per la salute e
per l'ambiente, degli elementi radioattivi depositati dalla nube.
Dopo oltre vent’anni dalla catastrofe di Chernobyl non sono venute
alla luce anomalie negli impianti. Quasi mezzo secolo di funzionamento di centrali nucleari in
tutto il mondo (circa 450) hanno messo in evidenza che la sicurezza dipende da
un’opportuna combinazione di accorgimenti a carattere preventivo – sia di
hardware (come sistemi automatici di arresto rapido, interblocchi, strumenti di
supervisione) sia di software (procedure, prescrizioni) – con diversificati e
tempestivi sistemi di emergenza.
Questi dispositivi, inseriti in una “strategia di difesa in
profondità” delle centrali nucleari ad acqua, assicurano la salvaguardia della
popolazione e dell’ambiente circostanti gli impianti. Disastri come quello di Chernobyl,
dunque, sono da escludere per le centrali esistenti e quelle in progettazione
nel mondo occidentale. Il principale effetto nei paesi europei e negli USA che
non hanno peraltro sofferto alcuna conseguenza della catastrofe, è stato,
dunque, un maggiore impegno per l’affidabilità e la sicurezza degli impianti
al fine di continuare a utilizzarne i vantaggi.
La ragione principale per cui il nucleare ha avuto uno sviluppo
maggiore rispetto alle fonti rinnovabili – in particolare di più recente
applicazione (eolico, fotovoltaico) – dipende dal fatto che queste ultime, anche se molto attraenti, non
riescono a superare una disponibilità di funzionamento annuo del 20%, mentre le
centrali nucleari hanno raggiunto valori del 90%. Con
produzioni di energia elettrica almeno quattro volte superiori, a parità di
potenza istallata, le centrali nucleari nei loro 50-60 anni di vita
rappresentano quindi un investimento più vantaggioso nel medio-lungo termine.
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