domenica 19 aprile 2020

Il rapporto tra cittadini e politica deve essere basato sulla trasparenza. Questo in Sardegna non accade. Di Lucia Chessa.



Io partirei da un principio. Quando in nome di un'emergenza, chiedi a qualcuno di ubbidire senza stare troppo a sindacare, quando quell’ ubbidire è pesante perchè espropria libertà, altera percorsi di garanzia, toglie possibilità di lavorare e di provvedere a sé stessi ed alla propria famiglia, compromette il tuo futuro e ti sommerge di insicurezze; ecco allora la tua richiesta deve essere limpida, chiarissima, pulita, di assoluta e specchiata trasparenza. Deve avere con sé, ad ogni passo, l’evidenza della sua adeguatezza e della sua ragionevolezza. Deve essere proporzionata e deve inserirsi in una cornice in cui, chiunque guardi, veda coerenza degli interventi e delle decisioni. Questa è la precondizione per far si che, nella eccezionalità, prevalga il senso civico e si collabori, accettando limitazioni pesanti ora e pesantissime nelle loro future conseguenze.

Al contrario, se la percezione di adeguatezza, coerenza e ragionevolezza vengono a mancare si apre un problema. Se si ha la sensazione che l’informazione istituzionale sia vaga, carente e talvolta persino reticente è difficile far tornare i conti. E questo vale per le restrizioni così come vale, a maggior ragione, per le riaperture. Non fa bene per esempio, almeno secondo me, il ventaglio di posizioni circa la riapertura che va dal liberi tutti adesso e subito di Zaia, al pronti alla ripartenza al 4 maggio di Fontana, alla linea graduale di Conte. (Qui solinas non è pervenuto, attende indicazioni).

Mi mette un po’ di diffidenza se proprio ora che si parla di riaperture si interrompe l’informazione quotidiana della protezione civile nazionale ed improvvisamente, dopo 40 giorni di martellamento quotidiano sui nuovi contagi, il dato passa in secondo piano, ma vai a vedere e non è diminuito. E in Sardegna non va meglio. Viceversa! Io credo che Solinas si sia distinto per un’ assoluta insufficienza dell’informazione, resa oltretutto piuttosto irritante da quella singolare geometria a triangolo del giornalista, addetto stampa, presidente.

Io mi ricordo bene le imperdonabili gaffes tipo il famoso “ci può stare” dell’assessore a commento dell’anomala percentuale di contagi tra il personale sanitario. Ricordo le mascherine in arrivo che non arrivavano impegnate in lunghi viaggi senza fine forse in compagnia di tamponi e reagenti. Ho ben presente assenza di dati (richiesti) sulla diffusione del virus nei comuni sardi e l’impossibilità di sapere quale sia l’effettiva percentuale dei sardi che abbiano effettuato il tampone, posto che per ogni malato ne occorrono almeno due e tre. E ancora, l' impossibilità a spiegare le ragioni di quel fiume di altri soldi riversati dentro in Mater Olbia, per reparti covid ancora da predisporre quando se ne avevano a disposizione già pronti in ospedali pubblici come quello di Alghero.

Impossibilità a capire i costi del “vuoto per pieno” proposti dal privato e immediatamente accolti dal pubblico distributore dei nostri soldi. E poi ricordo di quando in regione si parlava di alberghi prossimi alla requisizione per le quarantene obbligatorie, (?) e ancora come dimenticare quel serafico “siamo pronti ad affrontare 40.000 contagi” detto dall’assessore poco più di un mese fa quando oggi la realtà è che siamo a mille malati e la sanità, tranne qualche raro esempio, è paralizzata con visite rinviate, difficoltà nelle prenotazioni, impossibilità ad accedere in sicurezza ad un pronto soccorso per qualunque problema...

Mamma mia, se uno ripensa al disarmante fiume di chiacchiere istutuzionali che hanno impastato in nostro isolamento c’è da piangere. E infine, a proposito di adeguatezza e proporzione. Qual è il senso di aver chiuso le spiagge ad epidemia inoltrata e quando già, con più o meno saggezza, si parla di riaperture? Le restrizioni vanno motivate, vanno dosate. Pensava al Poeto il presidente? Ok ma saprà che la Sardegna ha altri 2000 km di spiagge deserte per 11 mesi all’anno. O ancora, visto che sono una donna rurale e vivo al centro della Sardegna. Era proprio necessario trattare alla stregua di un parco urbano, sottoponendolo alle stesse restrizioni, i 2000 ettari di comunale nel quale io avevo la fortuna di andare a passeggiare senza incontrare nessuno per km e km? E’ normale che non si colga la differenza tra il Parco della Musica davanti a T Hotel e il comunale di Austis ad esempio? Per fare di queste distinzioni doveva servire la regione autonoma della Sardegna, non per chiudere i negozi di abbigliamento per neonati…

Di Lucia Chessa

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