sabato 4 aprile 2020

A Sassari positiva una ragazzina di 16 anni, allarme in due reparti






Le maglie della sanità sono ancora troppo larghe e le porte d'accesso degli ospedali non riescono a tenere fuori il virus. Finché ogni nuovo ingresso non sarà trattato come un potenziale positivo, la blindatura non sarà mai completamente efficace e il focolaio avrà di che alimentarsi. Il numero crescente dei contagiati, i sanitari infetti, e i reparti ospedalieri chiusi a singhiozzo per sanificazione, sono il sintomo evidente che le difese immunitarie della sanità sono ancora basse, e le strutture sono facilmente aggredibili dal covid-19.

Ciò che è successo due giorni fa al Santissima Annunziata di Sassari è emblematico per evidenziare le falle del sistema. È solo un episodio, ma in queste settimane, di casi simili, ne sono capitati diversi. Una ragazzina di sedici anni si è presentata al pronto soccorso con dei forti dolori addominali. I medici l'hanno visitata e hanno capito che il quadro clinico poteva essere serio. La paziente viene mandata nel reparto di Ginecologia per ulteriori accertamenti. Lo staff approfondisce la diagnosi e decide di chiedere una consulenza alla Radiologia. Viene prescritta una ecografia e successivamente una tac.

La ragazza viene riaccompagnata in reparto in attesa degli esiti. Mentre gli specialisti compilano le cartelle, si accende la lampadina. Gli occhi del medico si posano sulla provenienza della minorenne: una comunità alloggio. Si tratta di un luogo da circoletto rosso in questi frangenti, come le case di cura per anziani, dove i focolai del
coronavirus si innescano con frequenza. Quindi, nonostante la ragazza fosse apparentemente asintomatica, i ginecologi decidono di sottoporla comunque a tampone.

Viene anche mandata nel reparto di Pneumologia per una visita toracica, e le lastre confermano una sofferenza polmonare. L'esito del tampone, così come temevano i medici, alla fine sarà positivo. Il problema è che le contromisure scattano nel momento in cui il virus si è già insinuato all'interno del sistema. Ed è tardi, perché il sistema non è certo invulnerabile al contagio. Ginecologia attiva il protocollo, comunica ai vertici il caso positivo, e a catena si ricostruiscono tutti i contatti del paziente.

Tampone per i medici che l'hanno visitata, allarme in Ginecologia e Radiologia, test per gli altri malati e per i loro familiari, screening immediato anche nella comunità alloggio dove risiede la ragazza, e allerta anche per gli infermieri che l'hanno scortata tra un reparto e l'altro e tampone prenotato anche per l'equipe del 118 che ha preso in carico la paziente durante il trasporto in ambulanza.

Quanto all'esecuzione dell'esame e all'esito, se ne parla tra almeno un giorno. Nel frattempo la stessa cosa è successa nell'unità di Psichiatria, chiusa per sanificazione a causa di un paziente scoperto positivo proprio in fase di dimissioni. Emergenze simili, in queste settimane, vissute sulla pelle di altri reparti e di altro personale sanitario, che sente di operare all'interno di una struttura che fa acqua da troppe parti. La dotazione dei presìdi è migliorata, ma i percorsi protetti per i covid-19, le regole di ingaggio, e soprattutto i filtri all'ingresso dell'ospedale, sono ancora da mettere a punto.

Luigi Soriga

Articolo tratto da “La Nuova Sardegna” del 04 Aprile 2020

-----------------
Federico Marini
skype: federico1970ca



Nessun commento:

Posta un commento