giovedì 16 aprile 2020

Il laboratorio Sardegna post lockdown



La Sardegna come un immenso laboratorio, in cui sperimentare un modello per contrastare il coronavirus e far ripartire l'economia.  L'idea arriva da un gruppo di 150 accademici italiani, che hanno scritto una lettera-appello in cui propongono una strada per uscire dalla pandemia. Basta leggere con attenzione il documento per capire che il protocollo necessita di una fase di sperimentazione: l'area ideale per avviarla è una regione in cui i numeri del contagio sono contenuti.

E l'ideatore dell'iniziativa, Giuseppe Valditara, già capo dipartimento alta formazione e ricerca del Ministero dell'istruzione, sembra avere pensato alla Sardegna, mentre buttava giù le linee guida di questo protocollo.

L'idea. L'idea è ambiziosa, far diventare la Sardegna la prima regione covid free del Mediterraneo. «Si parla da qualche giorno della fase 2 – spiega Valditara - e di come attuarla. La Sardegna potrebbe essere il luogo ideale da cui partire. Perché per avviare la fase 2 serve una regione che abbia un numero di contagi basso e dunque sia più facile da controllare. Si potrebbe ripartire da qua. E si potrebbe ripartire da un modello che prenda come base quello applicato con successo nella Corea del Sud, declinato però in base alle esigenze di un'area differente come l'Italia».

Ma serve velocità. «Non si può attendere. La fase 2 deve essere avviata rapidamente per evitare che il sistema produttivo ne esca fortemente danneggiato, con la perdita di milioni di posti di lavoro e l'impoverimento di ampie fasce di popolazione. La riapertura deve essere graduale, accompagnata da misure che mettano in sicurezza i cittadini. La vera sfida, infatti, è coniugare economia e salute. Noi abbiamo proposto un modello che si basa su quattro misure».

Le 4 misure. Valditara spiega come esista un protocollo preciso e determinato. «Per prima cosa devono essere fatti tamponi per tutte le persone che presentano sintomi, per i loro familiari e per tutti quelli che sono venuti a contatto con loro.

Servono poi il tracciamento e la geolocalizzazione. I contatti di chi è positivo nei giorni topici, che sono quelli precedenti alla manifestazione della malattia, sono garantiti attraverso il tracciamento. In questo modo si può capire chi può essere stato potenzialmente infettato. La geolocalizzazione è ugualmente fondamentale. La persona positiva viene geolocalizzata e si conosce il percorso e la posizione in tempo reale.

Servono anche le mascherine filtranti e proteggenti obbligatorie per chi frequenta luoghi pubblici o ha rapporti con il pubblico.  L'ultimo
punto sono le strutture di contenimento per i positivi e per chi è venuto a contatto con loro. E queste possono essere procurate utilizzando le seconde case, gli alberghi o altri luoghi attrezzati».

Perché la Sardegna. Per diffusione del virus, per conformazione geografica e bassa densità abitativa la Sardegna sembra essere il luogo ideale in cui applicare questo protocollo. «L'isola potrebbe diventare la prima regione covid free del Mediterraneo - spiega Valditara -. E grazie a questa condizione si potrebbero trasferire nell'isola molte produzioni strategiche che in altre regioni di Italia non si possono fare. Perché bloccate dai divieti governativi». Valditara elenca altri aspetti positivi. «Si potrebbe far risollevare subito l'economia e accompagnare lo sviluppo turistico. Resterebbe l'obbligo di fare il tampone per chiunque voglia arrivare in Sardegna».

Il coinvolgimento. Non si deve creare un modello imposto dall'alto. Al contrario. «È indispensabile la collaborazione delle migliori intelligenze dell'isola. A partire dalle due università di Cagliari e Sassari. Nei due atenei ci sono risorse che hanno grande esperienza in materia medica e nell'intelligenza artificiale. Si potrebbe realizzare qualcosa di importante anche per l'economia della Sardegna».

I tempi. Valditara non nasconde l'urgenza di partire da subito. «Non c'è dubbio. Si potrebbe iniziare prima del via della fase 2 nel resto d'Italia. Sarebbe una fase di sperimentazione». Un passaggio è legato alla possibilità che l'app, che tutti dovrebbero scaricare sul cellulare e che monitora gli spostamenti, violi la privacy. Ma anche questo ostacolo è rimosso. Ci sono diverse sentenze in cui si stabilisce in modo chiaro che il diritto alla vita e alla salute pubblica sono prioritari rispetto alla tutela della privacy del singolo.

La app. Nel progetto è previsto che tutti scarichino l'app. Ma serve un decreto della presidenza del consiglio. «Si può immaginare un'intesa con il governo centrale in cui si dà una deroga alla Sardegna. Si concede di circolare a patto che venga scaricata l'app sul telefonino - precisa Valditara -. Questo sarebbe un forte incentivo. Ma non significa che si potrà dire addio a guanti e mascherine, con cui dovremo convivere ancora a lungo. Così come non si potranno abbandonare comportamenti di maggiore cautela».

I tempi. È impossibile pianificare una data per la dichiarazione della Sardegna come regione Covid free. «Ma posso dire che il modello della Corea del Sud, che abbiamo come riferimento, è riuscito ad abbattere i positivi - conclude Valditara -. In poche settimane è passato da centro dell'epidemia a uno dei Paesi con i contagi più bassi, anche se molto vicino all'epicentro cinese. Un dato che da solo basterebbe a far capire l'efficacia di questo approccio. E sottolineo l'importanza di adottare questo approccio per affrontare il coronavirus perché non è ancora chiara la dinamica della pandemia. In altre parole secondo alcuni esperti ci si dovrà convivere a lungo. E in autunno si potrebbe di nuovo rischiare una seconda ondata. Ecco perché è importante da subito adottare un metodo che garantisca il controllo dell'epidemia».

@LucaRojch
Articolo tratto da “La Nuova Sardegna” del 16 Aprile 2020
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Federico Marini
marini.federico70@gmail.com
skype: federico1970ca


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