Si potrà solo tentare di rallentarne il più
possibile la diffusione, ma la variante Delta – molto più contagiosa della
sorella inglese - entro la fine di agosto avrà causato nove contagi su dieci. È l'allarme
lanciato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, mentre
l'Organizzazione mondiale della Sanità avvisa che «è presente ormai in 85 Paesi». Intanto, l'India lancia l'allarme sulla diffusione della variante Delta Plus, un sottotipo della "madre" che sembrerebbe ancor più contagioso.
Dati insufficienti In Italia, stando al
database internazionale Gisaid riguardo i campioni prelevati dal 9 al 23
giugno, su 218 sequenze depositate 71 (il 32,6%) sono da variante Delta, anche del
sottotipo Kappa. Mancano dati affidabili sulla sua
diffusione, avverte la Fondazione
Gimbe che parla di «gestione attendista della variante Delta». Una
situazione «inaccettabile - dice il presidente Nino Cartabellotta -: occorre
potenziare tempestivamente sequenziamento e tracciamento dei contatti, fare
screening per chi arriva dall'estero e accelerare la seconda dose del vaccino
negli over 60 e nei fragili».
Sulla stessa linea il sottosegretario alla
Salute Pierpaolo Sileri: «Bisogna rafforzare il tracciamento per limitarne i
casi». Il perché della lentezza dei tracciamenti, «andrebbe chiesto al gabinetto del ministero della Salute. Ai primi di
gennaio ho detto che andava rafforzata la ricerca di varianti e la sorveglianza, ma siamo ancora a questo punto». «Siate responsabili» «È solo questione di tempo prima che la variante Delta
si diffonda anche in Italia»,
avverte Fabrizio Pregliasco,
virologo dell'Università di Milano. «In qualche modo, però, l'effetto delle vaccinazioni non
comporterà un proporzionale aumento dei casi gravi, ma è necessario raggiungere grandi numeri e farlo velocemente». I vaccini, insomma, possono salvare dalla malattia grave, non dal contagio. «Per questo è necessario comportarsi con prudenza. In caso contrario, gli
effetti più pesanti ricadranno sempre sui più fragili, per esempio su chi non ha potuto vaccinarsi».
Cambio di passo. L'allentamento delle misure, però – dallo stop alla mascherina all'aperto fino all'abolizione
dei controlli negli scali –, rischia di tradursi in un generale liberi tutti. «Pensare che la pandemia sia conclusa, e che il vaccino possa essere
l'unica arma sufficiente, è un errore che si paga», avverte l'epidemiologo Giovanni Sotgiu, docente di Statistica medica dell'Università di Sassari. «Abbiamo la necessità di continuare a
rispettare le misure, perché in questo momento il vaccino ha una dimostrata efficacia
clinica quando si sono fatte le due dosi, e comunque non nel 100% dei casi. A oggi in Italia
neanche il 30% della popolazione ha fatto il richiamo, il che vale anche per la Sardegna».
Il professor Sotgiu la pensa come la Fondazione
Gimbe. «Una gestione attendista, è vero. La gestione deve invece essere sempre
proattiva, aggressiva. I Paesi che hanno eliminato il virus, Nuova Zelanda e
Australia, hanno agito in maniera aggressiva con tracciamento dei contatti, rigore dell'isolamento, controlli ai confini». A maggior ragione,
«con la variante Delta che ha una contagiosità superiore. Invece i controlli non si fanno più, e i tracciamenti, che in questa fase di
bassa circolazione del virus si potrebbero fare in maniera aggressiva, non vengono eseguiti».
Una prateria per il virus Quindi, a fine
agosto, anche in Sardegna possiamo ritrovarci col 90% dei contagi da variante
Delta? «Sì. Se noi
diamo praterie al virus, questo si diffonde rapidamente. Ancor più in questo
periodo di vacanze, con una socialità molto più intensa». Al netto
dell'assenza di controlli negli scali e delle difficoltà su tracciamento e sequenziamento, chi tra gli
operatori dell'accoglienza può diventare un presidio efficace per limitare i contagi? «In primo luogo i gestori dei bar che possono
controllare il comportamento dei clienti, anche a rischio di perderne qualcuno. Potrebbero essere un baluardo molto efficace, visto che in
tanti paesi il bar è spesso l'unico centro di aggregazione». La differenza, aggiunge l'epidemiologo, «possono farla anche i
ristoratori, gli albergatori, i gestori dei parchi divertimento, i proprietari delle discoteche e dei locali in genere. Ma anche chi organizza
feste private».
Piera Serusi
Articolo “La Nuova Sardegna” del 25.06.2021
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Federico Marini
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