"Le dirò quanto basta perché lei possa ottenere alcuni risultati
positivi, senza tuttavia che io debba subire un processo inutile. Ho fiducia in
lei giudice Falcone, come ho fiducia nel vicequestore Gianni De Gennaro. Ma non
mi fido di nessun altro. Non credo che lo Stato italiano abbia veramente
l'intenzione di combattere la mafia.“ (Tommaso Buscetta)
(02 Aprile 2000) Muore di cancro, all’età di 72 anni, Tommaso Buscetta, il
più importante pentito di mafia, che grazie alle due rivelazioni contribuì a
delineare l'organigramma di "Cosa Nostra", le sue aree, sopratutto i
suoi contatti politici e finanziari. Nei primi anni cinquanta fa il suo
ingresso nel clan di Salvatore La Barbera. Negli anni sessanta e settanta è a
capo dell’organizzazione mafiosa che, appoggiandosi alla mafia americana e alla
malavita Corsa, gestisce il traffico di stupefacenti tra il Sud America,
l’Europa e gli Stati Uniti.
Nel 1970 Buscetta soggiornò con falso nome tra Zurigo e Catania per
partecipare ad alcuni incontri insieme a Salvatore Greco. Nello stesso
periodo venne arrestato a Brooklyn e immediatamente rilasciato dietro pagamento di
una cauzione.
In seguito, lasciò gli Stati Uniti e si
trasferì in Brasile, da dove iniziò un traffico di eroina e cocaina verso
il Nordamerica, creando in poco tempo un sistema
di trasporto aereo e costituendo una compagnia di taxi dove poter reinvestire
il denaro frutto del traffico di stupefacenti.
Arrestato dalla polizia brasiliana il 2 novembre del 1972
e in seguito estradato in Italia,
fu rinchiuso a Palermo nel carcere dell'Ucciardone e
condannato a dieci anni di detenzione, poi ridotti a otto in appello, per
traffico di stupefacenti. Nel suo deposito
blindato in Brasile, le autorità trovarono eroina pura per un valore di 25
miliardi di lire dell'epoca
Alla fine degli anni Settanta la seconda guerra
di mafia contrappose il clan dei Corleonesi
(capeggiato da Totò Riina e Bernardo Provenzano) a quello che aveva governato
Cosa Nostra fino a quel momento (Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti,
Salvatore Inzerillo e altri). La lotta per il controllo della nuova fonte di
ricchezza, la droga, provocò centinaia di morti.
Lo schieramento vincente dei Corleonesi decise di eliminare Buscetta perché
strettamente legato a Bontate, Inzerillo e Badalamenti ma, a causa
dell'impossibilità di ucciderlo poiché si trovava in Brasile, attuarono
vendette trasversali contro i suoi parenti: tra il 1982
e il 1984 i due figli di Buscetta scomparvero per non essere mai più ritrovati,
inoltre, gli ammazzarono un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti.
Alla fine della guerra i suoi parenti morti saranno circa 12.
Dopo gli omicidi dei suoi familiari, Buscetta era intenzionato ad uccidere
il suo capofamiglia Pippo Calò, il cassiere
della Mafia, che aveva fatto causa comune con i Corleonesi. Per questo avviò
una corrispondenza con il suo associato Gerlando Alberti: cercava appoggi per
poter tornare a Palermo; però Alberti fu ucciso in carcere e quindi il piano
fallì.
L’arresto, avvenuto nel 1983, trova un Buscetta convinto a collaborare con
la giustizia. Le sue
confessioni sono fondamentali per le inchieste del giudice Giovanni Falcone. Nel 1984 lo stesso Buscetta fu estradato negli Stati Uniti ricevendo dal
governo una nuova identità, la cittadinanza e la libertà vigilata in cambio di
nuove rivelazioni contro la Cosa Nostra americana, testimoniando nel 1986 al Maxiprocesso di Palermo (nato dalle
dichiarazioni rese a Falcone) e nel processo "Pizza connection", che
si svolse a New York e vide imputati Gaetano Badalamenti e altri mafiosi
siculo-americani accusati di traffico di stupefacenti.
Nel settembre 1992, in seguito agli attentati in cui morirono Falcone e
Borsellino, Buscetta iniziò a parlare con i magistrati dei legami politici di
Cosa Nostra, accusando gli onorevoli Salvo Lima (ucciso qualche mese prima) e
Andreotti di essere i principali referenti politici dell'organizzazione. In particolare Buscetta riferì di aver conosciuto personalmente Lima
(capo della Democrazia Cristiana in Sicilia, primo referente di Giulio
Andreotti) fin dalla fine degli anni cinquanta e di averlo incontrato l'ultima
volta nel 1980 durante la sua latitanza.
Riferì inoltre di aver saputo che l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli
(1979) sarebbe stato compiuto nell'interesse del sette volte capo del Governo:
per via di queste sue dichiarazioni, Buscetta fu uno dei principali testimoni
dei processi a carico di Andreotti per
associazione mafiosa e per l'omicidio Pecorelli. Andreotti verrà assolto
dall'accusa di aver commissionato l'assassinio di Pecorelli, mentre gli altri
reati subiranno la prescrizione: in poche parole, i procedimenti su Andreotti
furono archiviati.
Dopo aver fatto parlare di sé per una crociera nel Mediterraneo, Buscetta
muore di cancro nel 2000 all'età di 72 anni, non prima di aver manifestato, in
un libro-intervista di Saverio Lodato (ed. Mondadori, 1999), il suo disappunto
per la mancata distruzione di Cosa Nostra da parte dello Stato italiano
V.@D.
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