Lavoratori
in nero, record di richieste d'aiuto
«Sa
quanti lavoratori in nero stanno chiamano l'Inps per avere un assegno?
Moltissimi». Piero Agus è il presidente del Comitato regionale sardo
dell'Istituto nazionale di previdenza sociale, un ex sindacalista di lungo corso (sponda Cisl) prestato alla previdenza. Il decreto del presidente del Consiglio del 17 marzo scorso ha sospeso tutti i comitati regionali sino al primo giugno ma questo non impedisce ad Agus di essere informato su ciò che accade.
«La maggior parte delle telefonate
che riceviamo in questo periodo sono di lavoratori in nero che chiedono come
possono avere il reddito di emergenza che spetterà anche a loro ma che in
questo modo si autodenunciano. La mole di chiamate fa pensare che il fenomeno
del sommerso sia sottovalutato».
Secondo
il ministero dell'Economia e delle Finanze si tratta di una platea di 3,7
milioni di persone che comprende sia chi lavora completamente in nero che i
cosiddetti lavoratori discontinui, quelli che riusciranno a dimostrare di aver
lavorato anche per brevissimi periodi di una-due settimane negli ultimi due
anni e che, secondo quanto anticipato dal Governo, dovrebbero ricevere un
mini-assegno da 400 euro non appena, entro metà aprile, sarà
varato il nuovo decreto che dovrebbe stanziare circa 30
miliardi.
«L'emersione del sommerso è uno dei
temi che abbiamo sempre posto ai nostri interlocutori politici», osserva la
segretaria generale della Uil Francesca Ticca, «e il fatto che in questa fase
molti si stiano sostanzialmente autodenunciando per
ragioni di sopravvivenza deve far riflettere su chi regge l'economia in Italia.
Questa situazione ci aiuterà ad avere una fotografia più fedele del sommerso e quando tutto questo finirà dovremo parlarne. Ma è un tema che riprenderemo in
tempo di pace».
Piero Agus racconta anche che il
sovraccarico di lavoro a cui è sottoposto l'Inps sta creando problemi anche ai
circa 13mila dipendenti dell'istituto che stanno lavorando da casa. «C'è un
lavoro immane e il sistema non sempre regge». (f. ma.)
(F.M.)
Sussidi
agli autonomi, proposta Acli ai Comuni
Molte
delle attività nei Comuni di piccole e medie dimensioni o nei quartieri
popolari delle città non solo sono ora in difficoltà ma rischiano di non
resistere alla riapertura o di non riaprire nemmeno. Per essere salvate hanno bisogno di sostegno immediato e dalle Acli arriva una proposta che consente di superare le criticità, che riguardano soprattutto i tempi, dei provvedimenti varati dal governo per il sostegno delle piccole imprese e partite Iva.
Soldi dai
comuni Partendo dalla necessità di «curare la dimensione economica quanto la dimensione
sociale, soprattutto nella trama dei piccoli centri, dove è possibile ricercare
e costruire una rigenerazione comunitaria, rispetto alle città di più grandi
dimensioni», il presidente regionale dell'associazione, Franco Marras, propone che i comuni assumano l'iniziativa di un sostegno ai 10-15 artigiani e professionisti della propria comunità attraverso un contributo a fondo perduto, a salvaguardia del tessuto
sociale ed economico locale, attraverso l'utilizzo dell'avanzo di
amministrazione dove ci fosse o attraverso la possibilità di accedere ad un prestito
presso le banche da restituire attraverso una piccola quota di fiscalità
comunale, anche di addizionale Irpef, da parte dei cittadini più protetti per
un fondamentale aiuto ai concittadini in difficoltà.
Massimo
10mila euro L'idea è che «con un contributo non superiore ai diecimila euro, il nostro barbiere, la parrucchiera, l'estetista, il calzolaio, il carpentiere, il muratore, il falegname possano affrontare questi mesi di difficoltà che andranno oltre il tempo delle restrizioni abbiano una possibilità di proseguire nel loro servizio in quella comunità, riaprendo la propria attività», spiega Marras.
«Un
meccanismo senza burocrazia nazionale o regionale, con il controllo diretto dei
cittadini che saprebbero chi ne ha usufruito, come quando si sostengono le
attività culturali o sportive, e se arrivassero dalla Regione o
dallo Stato altre risorse, queste andrebbero a coprire altri
interventi. Se poi arrivassero soldi ai Comuni dallo Stato o dalla
Regione questi potrebbero essere usati per altri interventi che non
siano esiziali e possano sopportare i tempi e i controlli, giusti, che
servono quando si utilizzano soldi pubblici».
Tempi
rapidi Per il presidente delle Acli, «occorre valutare questa possibilità che sarebbe rapidissima da attivare senza le lungaggini di procedure che rischiano di rendere inutile qualsiasi forma di aiuto che, se non immediato, rischia di arrivare quando il paziente non ne avrà utilità perché passato ad altra condizione. E solo i
Comuni sono le istituzioni in grado di garantire i cittadini della trasparenza
quanto dell'interesse di attivare un processo di rigenerazione comunitaria, vitale per le piccole comunità, indispensabile per le piccole attività artigiane e professionali. Per una volta, dire “prima i meanesi”, o “prima gli orgolesi” sarebbe una cosa sensata e giusta».
Entrambi
gli articoli sono tratti da “La Nuova Sardegna” del 02.04.2020
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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