Il
virologo Crisanti spiega perché la Sardegna potrebbe essere regione pilota. «Decidono
Stato e Regione. I nuovi focolai ci saranno, bisogna essere pronti». «Protezioni,
test e tracciabilità Solo così l'isola può ripartire»
Ripartire dalla Sardegna: per molti
un'opportunità, per altri il peso del ruolo riservato alle cavie. Si parla con sempre maggiore forza dell'ipotesi
di fare dell'isola la Regione pilota del riavvio delle attività dopo l'epidemia. Lo si fa in un momento in cui la
dinamica del contagio sembra rallentare (almeno su scala nazionale) e al contempo
crescono i timori per il contraccolpo economico.
Il virologo Andrea Crisanti è il direttore del dipartimento di Medicina molecolare e professore di
Epidemiologia e virologia presso l'Azienda ospedaliera all'Università di
Padova. È stato il primo a parlare di un riavvio graduale delle attività: «Riaprirei prima le aree dove il rischio di trasmissione del virus è più basso, tipo Sardegna, province come Cagliari, Oristano. E terrei per ultima la Lombardia».
Alla Nuova chiarisce meglio l'idea:
«Ho identificato la Sardegna solo a livello speculativo. È chiaro che poi la
scelta spetta al governo nazionale e regionale. Per ripartire bisogna
considerare il principio del rischio accettabile, posto che il rischio zero non esiste».
La scelta
del momento. Il presidente Solinas e l'assessore alla Sanità Nieddu avevano manifestato una certa insofferenza all'idea, chiarendo che non è il tempo di pensare a riaprire. Crisanti chiarisce che non si tratta di riaprire adesso, ma di attrezzarsi per essere pronti ad affrontare le evoluzioni future: «Dobbiamo
pensare al rischio che sia il più basso possibile, utilizzando i modelli che
abbiamo a disposizione.
La Sardegna ha caratteristiche
di base che la favoriscono: è un'isola, è stata toccata poco dal
contagio, ha delle università con competenze scientifiche in grado di
dare contributo, istituti di ricerca internazionali, oltre che
delle assolute eccellenze nel campo della genetica. Insomma, combina
le caratteristiche giuste». Isolamento
e basso numero di contagi sarebbero dunque gli elementi che renderebbero la
Sardegna il luogo ideale per testare i criteri della ripartenza: «Dobbiamo ricordarci - dice ancora Crisanti - che l'obiettivo è quello di riaprire cercando di minimizzare la possibilità del virus di contagiare altre persone».
Il
virologo individua tre elementi essenziali sui quali basare l'organizzazione
del riavvio delle attività. Il primo requisito. «Innanzitutto
le mascherine per tutti. Dalla popolazione alle attività produttive? Il modello: dipende dall'attività che uno svolge. Se si tratta di un cittadino che deve andare a fare la spesa possono andare bene le mascherine chirurgiche. Diverso il discorso di chi lavora nelle attività produttive: in questo caso si deve optare per quelle che offrono una maggiore protezione».
Il
secondo requisito. «Aumentare la nostra capacità diagnostica. Deve essere chiara una
cosa: non si pone il problema de "se" un nuovo focolaio esploderà,
del "quando" questo avverrà. Sul fatto che ci saranno dei nuovi
focolai, anche dopo che questa fase di emergenza sarà finita, non ci sono
dubbi. Dobbiamo essere pronti a bloccare tutto, a mettere in isolamento le
persone, bloccare palazzine, quartieri se necessario. Bisogna essere in grado
di fare il tampone immediatamente a tutte le persone in isolamento e di
ripeterlo dopo 8-9 giorni».
Il terzo
requisito. «Potenziare la capacità di produrre e analizzare dati, soprattutto
sulla tracciabilità. Se si verifica una positività non si può ricostruire la
mappa dei contatti avuti da quella persona andando a
memoria. È necessario risalire subito alle persone che sono entrate in
contatto col contagiato tramite un sistema di tracciabilità. Per fare
queste tre cose sono necessari tempo, investimenti e preparazione,
non ci si improvvisa».
Modello
Vo' Euganeo. A Vo' Euganeo Cristanti ha utilizzato un modello di questo tipo: test su tutti gli abitanti, anche sugli asintomatici. Cittadini tutti in isolamento. Così, alla seconda ondata di test si è registrato un calo del 90 per cento della frequenza di positivi. Il passo ulteriore che si ipotizza ora è quello della tracciabilità. Proprio ieri l'Unione europea ha dato una serie di raccomandazioni agli
stati membri impegnati nello sviluppo di app di tracciamento per la pandemia. L'indicazione è quella di
limitare l'uso dei dati personali a fini medici, stabilire
tecniche di raccolta col bluetooth, garantire il rispetto dei diritti
fondamentali e la collaborazione tra autorità sanitarie pubbliche e
l'Unione europea.
Incognite
sul vaccino. Un scenario molto vicino: entro il 15 aprile gli stati membri dovranno elaborare
le regole. Si delinea quindi il post epidemia, anche perché non si può
attendere il vaccino: «Lasciamo perdere il discorso del vaccino - dice ancora
Andrea Crisanti -. Non sappiamo quando arriverà, potrebbe non arrivare.
Bisogna sapere che per alcune malattie non c'è vaccino».
di Roberto Petretto
L’articolo
è tratto dalla “Nuova Sardegna” del 09.04.2020
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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