Renato Soru, da Sanluri, ha
rappresentato una figura di imprenditore autoctono, di grande successo, inedita
per la Sardegna. Storicamente infatti nel nostro territorio la grande
imprenditoria è sempre stata materiale di importazione. Tuttora, tranne Tiscali e pochi altri, le grandi
aziende, pur storicizzate, in Sardegna sono di provenienza continentale. Proprio l'exploit di Tiscali dei primi anni duemila ha ingenerato un
ciclo virtuoso che ha incoraggiato più di un'impresa locale a pensare alla
grande, allargarsi, e misurarsi col mercato globale senza complessi di
inferiorità.
Lei si
riconosce questo primato almeno da un punto di vista psicologico?''
Con la nascita di Tiscali e i
risultati subito raggiunti abbiamo vissuto momenti esaltanti. Per noi che ci
lavoravamo, ma anche per tanti che in quell'avventura si erano riconosciuti.
Con Tiscali la Sardegna ha compreso che Internet poteva rappresentare
finalmente il superamento dell'isolamento di cui aveva sofferto fino ad allora:
si era aperta una speranza nuova. Tutto poi era successo in un baleno: avvio dell'attività
nel '98, espansione in Italia, la quotazione in Borsa nel '99, l'espansione a
livello internazionale, la vasta notorietà. Per qualche anno siamo stati al
centro dell'attenzione, siamo stati un centro di innovazione, protagonisti
della rivoluzione di Internet in Italia e in Europa. In seguito non tutto è
andato come avremmo voluto, ma credo siamo stati un riferimento per l'economia
sarda, abbiamo ispirato tante aziende e soprattutto incoraggiato molti giovani
a mettersi in gioco, a sperare, ad osare di più".
In questa
stagione di cattività forzata si ha molto tempo a disposizione. Lei è un personaggio
che si è contraddistinto proprio per la sua mobilità, come ha risolto
l'impossibilità di muoversi, viaggiare, coordinare?
"Ho imparato, credo come tanti
altri, una mobilità nuova, per certi versi persino aumentata. Oggi ci
incontriamo a distanza con uno dei tanti programmi di video-conferenza, sono
diventati familiari piattaforme come zoom, meet o le videochiamate di gruppo su
whatsapp. Ci stiamo rendendo conto che in molte occasioni lavorare in questo
modo può essere persino più efficiente. Abbiamo
scoperto che tanti viaggi di lavoro
non sono proprio indispensabili anzi possono essere più utilmente sostituiti. Persino il mondo della scuola, pur tra molte difficoltà, sta rapidamente
sperimentano didattiche nuove e possibilità che non saranno messe da parte con
la fine dell'emergenza. Penso che a partire da questa esperienza rivaluteremo
il valore stesso del viaggio, evitando spostamenti compulsivi, dispendiosi e inutili".
La
letteratura su di Lei è assolutamente sterminata, intendo le migliaia di pagine
che la riguardano nella stampa nazionale e internazionale, in cui si spazia
dall'attività di imprenditore alla scelta di occuparsi di politica attiva. In
tutto questo materiale non c'è mai una riga di compromesso: o è un genio o è un
fallimento. Si è mai chiesto perché mai quando si parla di Lei sembra
impossibile l'uso del compromesso?
''Non so, forse perché ho fatto alcune
cose, anche importanti, cavalcando tecnologie ed innovazione partendo da un
luogo inaspettato, suscitando attenzione e fin troppe aspettative, estremamente
alte. A tratti si parlava di me con delle iperboli, come il Bill Gates
italiano. Forse tutto ciò che non è stato all'altezza di quelle aspettative è
stato considerato un fallimento. In realtà "Fallimento",
"fallito", sono parole che sono state usate come pallottole contro di
me in politica, a partire da Silvio Berlusconi. Io
certamente non considero un fallimento aver fatto nascere un'impresa che,
partendo da zero, in pochi anni ha superato il miliardo di euro di fatturato e
cento milioni di margine lordo all'anno. Un'impresa che ha gemmato molte
altre imprese anche di
successo, e che da quando è nata ha
consegnato puntualmente oltre mezzo milione di buste paga, prevalentemente in
Sardegna. Ecco, quest'ultimo, soprattutto, è il numero che mi rassicura sul
lavoro svolto. Sono anche orgoglioso della mia esperienza
politica e in particolare dell'esperienza da Presidente
della Regione. Abbiamo inseguito un sogno di cambiamento e di riscatto in cui ancora
molti credono. Ho espresso una visione netta e chiara e ho agito di conseguenza,
senza troppi compromessi. In tanti hanno visto una speranza, altri una
minaccia. Forse per questo non possono esserci mezze misure".
Entro a
gamba tesa in una domanda che ho sempre voluto farLe: ma è Lei che ha lasciato
la politica o è la politica che ha lasciato Lei?''
Non è stata una separazione
indolore. Da una parte, dopo tante polemiche e lunghe e ingiuste vicende
processuali, avevo desiderio di tornare alle mie cose e alla mia famiglia.
Dall'altra, avevo necessità di tornare al mio lavoro, al rilancio di Tiscali.
Ho anche voluto allontanarmi da una politica che non sentivo più mia, che non
era più quella per la quale avevo deciso di impegnarmi. So che questo è stato
vissuto con sollievo da molti, anche all'interno del mio stesso partito.
Diciamo che nessuno ha fatto nulla per trattenermi".
La sua
ipotesi di Sardegna come griffe, fuori dalle secche folkloristiche, che si
rappresentasse come ponte tra l'arcaico e il contemporaneo, chiamare Tiscali
un'azienda significherà pur qualcosa, ha formalizzato un paradigma. Oggi
connotarsi in questo rapporto è diventato abbastanza comune, non voglio fare
nomi ma molte aziende nate dopo Tiscali hanno rispettato questa grammatica.
Com'è che nonostante tutto si cerca sempre di essere Soru?'
'Non so se sia iniziato con Tiscali,
ma in effetti ora è diventata quasi
un'ossessione, l'utilizzo dei nomi
che abbiano un'assonanza col sardo: tutte le iniziative sembra debbano
necessariamente rifugiarsi in un'identità facilmente riconoscibile e del
passato. Mi pare che se ne stia abusando e si stia tornando al folklore. Tiscali
la Sardegna se la portava nel cuore, il nome era una dedica intima non riconoscibile.
Poteva essere giapponese o di qualunque altra geografia, era sconosciuto ai
più. Nella fantasia di Sergio Atzeni, Tiscali è il rifugio, la grotta in cui
gli antichi Sardi in fuga si fermarono per nascondersi, in silenzio, per
sfuggire ai primi invasori fenici. Per noi invece Tiscali era il luogo
immaginario di un possibile riscatto: tramite la parola, le nuove tecnologie di
comunicazione".
Lei ha governato
la Sardegna per quasi un'intera Legislatura, a suo tempo impostò la crisi sui
disaccordi in merito al Piano Paesaggistico Regionale. Ritenuto troppo
draconiano da alcuni, soprattutto costruttori, criticato dentro e fuori la sua
maggioranza, sostenuto da una importante consenso trasversale. Lei è stato
considerato da personaggi come Silvio Berlusconi, Marta Marzotto, Flavio
Briatore, come un Edmond Dantés che, dopo essersi con grande intelligenza imprenditoriale
arricchito, si è voluto togliere qualche sassolino dalle scarpe. Ci spiega
perché ha scelto proprio il paesaggio come cardine imprescindibile?
''La tutela del paesaggio agli inizi
degli anni Duemila è stata la molla che mi ha fatto accettare di lasciare il mio
lavoro e impegnarmi in prima persona in politica. Erano gli anni del dogma
dell'edilizia, del consumo delle coste visto come unica possibilità di sviluppo
dell'economia della nostra regione. Un insensato e precipitoso riempire le
coste sarde di seconde case che già allora venivano utilizzate per pochissimi
mesi all'anno. Un modello chiaramente sbagliato. Tutto ciò a discapito della
grande bellezza della Sardegna, della percezione dei suoi spazi vuoti, del silenzio,
del buio, del rapporto intenso con la natura. Ritenevo che ci fosse il pericolo
di compromettere definitivamente questi valori, oggi più che mai importanti.
Valori che non dovevano essere necessariamente musealizzati, ma che potevano
essere alla base di uno
sviluppo turistico diverso. Oggi con
quello che stiamo vivendo dovrebbe essere chiara a tutti l'esigenza di
ripensare il rapporto tra l'uomo e l'ambiente, l'uomo e i suoi bisogni, la
necessità di tutelare la fragilità del creato".
Che
errori sente di aver fatto in tutta coscienza prima e durante la sua esperienza
di amministratore? Oggi avrebbe sciolto Progetto Sardegna? Avrebbe tentato il
salvataggio dell'Unità? Avrebbe spinto l'acceleratore su Cultura e Ambiente?''
La vita di ciascuno di noi è
costellata di errori, senza i quali tuttavia non si progredisce.
Costellata di errori e di progetti che sono andati diversamente da quanto avevamo sperato. Io ho sperato molto nella nascita di un partito che mettesse insieme le grandi culture politiche dell'Italia repubblicana e potesse accompagnare il nostro Paese verso una nuova stagione di crescita diffusa, di opportunità, di superamento dei ritardi di sviluppo della nostra isola e del nostro mezzogiorno. Ho creduto molto nel progetto del Pd pensando che potesse nascere un nuovo modo di fare politica. Non ho mai creduto nei partiti personali.
Per quanto riguarda L'Unità, non mi
pento. Ho cercato di salvare un grande patrimonio culturale e politico e di
portarlo nel tempo di oggi. Sarebbe stato necessario un taglio radicale col
passato e un'immediata trasformazione digitale. Per molti motivi non è stato possibile.
Non mi pento di aver messo al centro da Presidente della Regione temi allora
apparentemente secondari quali cultura, sapere, qualità ambientale. Ero
convinto allora e oggi, se possibile, ancora di più. Oggi più che mai c'è
bisogno di una politica che metta al centro la cultura e la qualità ambientale.
Che poi, a ben vedere, significa mettere al centro l'essere umano e le sue
esigenze fondamentali: alimentare la propria intelligenza, mettere al sicuro la
propria casa".
La
Pandemia in corso ci ha rivelato che molte di quelle che noi ritenevamo
priorità non sono tali. Ci ha raccontato la storia di una natura a cui basta
pochissimo per rigenerarsi in questi due mesi sono riapparse le stelle sul cielo
di Pechino, l'Himalaya è visibile dai balconi delle case delle città tibetane,
la Pianura Padana è libera dallo smog, i delfini nuotano nelle acque del porto
di Cagliari. In questa stanzialità obbligatoria ha scoperto qualcosa di sé che
non sapeva?''
Ho riscoperto l'affetto della
famiglia, il valore della mitezza, la possibilità di invecchiare
serenamente".
Nella sua
visione specifica, e anche in rapporto alle tante cose che ha dovuto imparare,
quale sarà la Sardegna che verrà? E quale sarà la prossima pelle di Renato
Soru?"
Questi mesi ci hanno aiutato a
riflettere e a provare ad immaginare il futuro. Io sono molto ottimista: le
crisi, pur nelle sofferenze del momento, sono un'occasione per ripartire con slancio
e con modelli nuovi. Credo che la Sardegna possa aver capito la fragilità
dell'ambiente, riscoperto il valore delle competenze, del sapere scientifico,
dell'impegno (pensiamo alla gratitudine diffusa verso medici e infermieri) e
che possiamo pensare ad un modo nuovo di fare le cose.
Spero che smetteremo di
rappresentarci al passato, guardando indietro anziché dedicare ogni sforzo a
conquistare il tempo di oggi e il futuro. Come è stato già detto, l'amore per
il nostro passato non è custodire la cenere ma alimentare il fuoco. Quello che oggi
serve è quanto possiamo già avere in abbondanza, e abbiamo maggiormente
trascurato: più che mai competenze, sapere, rispetto per l'ambiente sono
prerequisiti per la vita stessa, ma sono anche i principali valori economici
del nostro tempo, sui quali disegnare il nostro sviluppo futuro. Continuo a
sperare in una Sardegna fuori dal
lutto, allegra, gioiosa, consapevole
della propria forza, responsabile
e autonoma".
Marcello
Fois
Articolo
tratto da “La Nuova Sardegna” del 28.04.2020
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Federico
Marini
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