sabato 27 febbraio 2021

02 Marzo, A pranzo con l'autore


 


Evento di Libreria Edmundo 

Libreria Edumondo, Viale Trento 7/9, Cagliari

martedì dalle ore 13:15 UTC+01 alle 14:30 UTC+01

Prezzo: gratis · durata: 1 h 15 min

Pubblico  · Chiunque su Facebook o fuori Facebook

Per chi ama i bei libri e la buona cucina, proponiamo un menù speciale! A partire da marzo, si pranza al Florio Fuaié Bistrot del Teatro Massimo in compagnia di un bel libro e del suo autore/autrice. Martedì 2 marzo, a partire dalle 13:15, sarà la volta di MASSIMO DADEA e del suo "Stella" (Max88 edizioni, 2020). Chiacchiera con l'autore, la giornalista ALESSANDRA SALLEMI, Nuova Sardegna.

Per le normative anticovid è obbligatoria la prenotazione al numero 345 9804109. Essendo il numero dei coperti limitato, è inoltre consigliata la prenotazione con un certo anticipo.

Saranno proposti tre menù fissi: mini (euro 6), medium (euro 8), maxi (euro 12), bevande escluse. L'ingresso è da Viale Trento 9.

Vi aspettiamo

giovedì 25 febbraio 2021

Meno abitanti e più vecchi l'isola cresce solo nelle coste


 


Sardegna invecchia, cresce nella grandi città e intorno alle coste. Le donne sono più numerose degli uomini e l'età media è di quasi 47 anni, un anno e mezzo più della media nazionale. In aumento il numero degli occupati, ma le donne hanno meno chance degli uomini. Migliora il livello di istruzione, ma l'isola registra ancora un numero di laureati troppo basso. È questa la fotografia della Sardegna che emerge dalle prime rilevazioni Istat del Censimento permanente della popolazioni, con riferimento agli anni 2018 e 2019. Dati che sono stati messi a confronto col 2011, l'ultimo censimento decennale a rilevazione diretta.

 

Popolazione. Il primo dato, negativo, che balza agli occhi è quello demografico. Il 31 dicembre 2019 in Sardegna vivevano 1.611.621 persone. Oltre 10mila in meno rispetto all'anno precedente e più di 27mila in meno rispetto al 2011. Eppure tra il 1951 e il 1981 la Sardegna aveva visto aumentare la popolazione di 300mila unità. Nei trent'anni successivi la crescita era stata più contenuta, ma sempre accompagnata dal segno più.

 

In questi ultimi otto anni, invece, si registra una inversione di tendenza, a differenza della sostanziale stazionarietà della popolazione italiana, comunque in positivo. I cali maggiori si registrano nelle province di Oristano e Sud Sardegna (meno 6,3 per cento) e Nuoro (meno 5,9), mentre Sassari e Cagliari vedono un leggere incremento.

 

Comuni. Tra il 1951 e il 2019, però, ci sono stati 29 Comuni che hanno visto triplicare i loro abitanti. La maggior parte si trovano nell'hinterland di Cagliari - tra cui Sestu e Selargius – e intorno a Olbia (che è compresa nell'elenco) ma ci sono anche Castelsardo, Stintino, Tortolì, Siniscola, Cardedu, Girasole e Palmas Arborea. Sono invece 60 i Comuni che a ogni censimento registrano un calo di popolazione. Quasi tutti sono concentrati nelle zone interne delle province di Sassari, Oristano e Sud Sardegna. Genere. Di poco, ma le sarde sono più numerose dei sardi. A fine 2019 le donne erano il 50,9 per cento, oltre 28mila in più degli uomini. In Sardegna ogni 100 donne ci sono 97 uomini. Più che in passato però, visto che nel 2011 il rapporto era 95,6 a 100.

 

La Città metropolitana di Cagliari è la provincia in cui la differenza è più ampia (93,9 uomini ogni 100 donne), mentre il Sud Sardegna è quella in cui il divario si riduce (98,5 a 100). In 125 comuni, però, gli uomini sono maggioritari: a Villanovaforru la percentuale è del 125,4 per cento, a Siris del 122. Al contrario, a Sennariolo il rapporto è 78 su 100, a Soddì (80,3), a Flussio (83,1).

 

Età. La Sardegna è tra le regioni più longeve: il 43,5 dei sardi ha meno di 45 anni, mentre a livello nazionale è il 46,5. Il 24,4 ne ha più di 64, mentre in Italia la percentuale è del 23,2. Nel complesso rispetto al 2011 ci sono in meno 21mila bambini, 9mila under 19, 31mila under 30. Al contrario crescono di quasi il 20 per cento gli over 64 (in Italia l'aumento è sotto il 12 per cento) e del 42 per cento gli ultra85enni, 12 punti in percentuale in più della media nazionale. L'età media dal 43,7 del 2011 sale al 46,8 del 2019 (a livello nazionale è del 45,2). Le province di Cagliari e Sassari sono le più giovani. Tra i Comuni a Girasole la media di età è di 41,4 anni, mentre Semestene è il paese più vecchio con un'età media di 58,5 anni. Il maggior aumento di residenti italiani lo ha registrato Uta (più 10,8), mentre Arzachena è il Comune con il maggior incremento della popolazione (più 17,5 in nove anni).

 

Stranieri. Il numero degli stranieri cresce ma non basta a colmare la riduzione della popolazione. Rispetto al 2011 gli stranieri sono aumentati del 6,9. Oggi gli stranieri sono il 3,2 per cento della popolazione sarda. In provincia di Sassari il 4,6. Il Comune in cui l'incidenza risulta più alta è Santa Teresa (13,8 per cento), seguita da Palau (11,7) e Osidda (11,4). Tra i primi 10 Comuni con più stranieri cinque sono nella Gallura costiera, tra cui la stessa Olbia con il 9,2 per cento della popolazione non italiana. La metà proviene dall'Europa, il 29,2 dall'Africa, il 17,6 dall'Asia e solo 4,9 dall'America. Tra europei e americani prevalgono le donne. La comunità più numerosa è quella romena (25,4), seguita da quella senegalese (8,6 contro il 2,1 della media nazionale) e marocchina (8,2).

 

Istruzione. Il 30,3 per cento della popolazione ha un diploma di scuola secondaria di secondo grado o di qualifica professionale. Il 16,4 la licenza elementare e il 35,7 la licenza di scuola media. Rispetto al 2011 è quasi dimezzata la presenza di analfabeti (oggi sono solo lo 0,7) e sono diminuiti i cittadini privi di titolo di studio (4,7 per cento). In aumento anche i sardi con una laurea: dal 10 al 12,2 per cento.

 

Lavoro. La forza lavoro in Sardegna è pari a 731 mila unità, 12 mila in più rispetto al 2011 (più 1,7 per cento). L'incremento è dovuto principalmente alla crescita delle persone in cerca di occupazione. Aumentano lievemente anche gli occupati nel complesso (più 0,3), grazie al contributo della componente femminile (più 5,7). Ma lo stesso mercato del lavoro «presenta un forte squilibro di genere», rileva l'Istat. Il tasso di attività degli uomini (59,3 per cento) supera di oltre 16 punti quello delle donne. Il tasso di occupazione maschile è al 47,7 per cento, oltre 13 punti più elevato di quello femminile. Il tasso di disoccupazione resta molto alto, 19,8 per cento, rispetto al 13,1 in Italia, ed è pari al 19,4 per gli uomini e al 20,3 per le donne. Il comune con il tasso di occupazione più elevato è Arborea (49,9 per cento), seguito da Sestu (49,6), Olbia (47,4), Villaspeciosa (47,4) e Villasimius (47,3).

 

 

Articolo “La nuova Sardegna” del 25.02.2021

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Federico Marini

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martedì 23 febbraio 2021

Le Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia


 

(23 febbraio 2002) A due mesi dal voto in Colombia viene sequestrata la militante per i diritti umani e candidata alle presidenziali Ingrid Betancourt. Il rapimento è stato effettuato dalle Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia.

 Le FARC sono un'organizzazione guerrigliera comunista colombiana d’ispirazione bolivariana fondata nel 1964 e da allora in conflitto con il potere centrale. On una base saldamente contadina, si dichiarano anti-imperialiste e hanno l’obiettivo di rappresentare le masse disagiate delle aree rurali in opposizione alle classi agiate, all’influenza statunitense nel Paese, al monopolio delle risorse naturali da parte delle grandi multinazionali e alla violenza dell’azione militare delle forze paramilitari e governative. Si finanziano principalmente attraverso attività criminali come i rapimenti e la produzione e il commercio di cocaina.

 Nel 1999, con l'approvazione del Plan Colombia e il conseguente massiccio sostegno economico e militare che ricevette dagli USA il governo di Bogotá, il presidente A. Pastrana decise di interrompere l'esperienza dei dialoghi di pace che erano stati precedentemente attivati con le FARC e di tornare a una politica fortemente incentrata sull'azione militare.

 Nel frattempo le FARC costituirono il Movimento bolivariano, con l'intento di organizzare tutti quei settori della società che si opponevano alla politica governativa, anche se non sostenitori dell'ideologia marxista-leninista. Negli anni che seguirono, ogni tentativo di riaprire spazi di dialogo e di negoziato è stato fallimentare. Le FARC. sono state oggetto di una delle maggiori offensive militari nella storia dell’America Latina, condotta per quasi dieci anni consecutivi dal governo di A. Uribe (2002–10), il cui obiettivo dichiarato era quello di sconfiggerle senza ricorrere a nessuno strumento diplomatico.

 L’esecutivo successivo, presieduto J.M. Santos, ha proseguito fino al 2011 la politica del suo predecessore. Il bilancio di questa campagna militare è controverso: mentre fonti governative esaltano l'importanza di alcuni colpi assestati contro membri del gruppo dirigente delle FARC a partire dal 2008, diversi osservatori prevedono che una sconfitta militare della guerriglia non sia uno scenario credibile.

 Il 23 giugno 2016, dopo 50 anni di ostilità, il governo colombiano nazionale e una delegazione delle FARC stipulano un accordo bilaterale definitivo per la cessazione delle ostilità e per la promozione della pace, in presenza di Raúl Castro e Ban Ki-moon. il 25 agosto 2016 viene confermato pubblicamente l'accordo dai negoziatori delle due parti, il presidente Manuel Santos e il comandante dei guerriglieri del Bloque Caribe de las FARC Iván Márquez, concludendo il negoziato; l'accordo sarà ratificato in seguito ad un referendum popolare. A Bogotá, la popolazione ha festeggiato con manifestazioni di gioia nei parchi e nelle strade.

 Il 2 ottobre 2016 l’accordo è stato sottoposto a referendum nazionale venendo sorprendentemente bocciato dal popolo colombiano con il 50,3% dei voti contrari in opposizione al 49,7% dei voti favorevoli (con una differenza stimata di appena 65mila voti) Il successivo 24 ottobre fu firmato un nuovo accordo di pace tra le parti, a cui seguì la ratifica definitiva da parte del parlamento colombiano. Il 28 dicembre 2016 il parlamento colombiano ha approvato una legge che prevede l'amnistia o la grazia ai membri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia accusati di reati politici. Juan Manuel Santos Calderón riceverà, proprio nel 2016, il premio Nobel per la pace.

lunedì 22 febbraio 2021

Catalogna: schiacciante vittoria indipendentista. E ora verso la Repubblica! Di Liberu (Lìberos Rispetados Uguales)


 


Esprimiamo grande felicità per i risultati del voto in Catalogna, in cui le formazioni indipendentiste hanno ottenuto complessivamente la maggioranza assoluta e in cui si prospetta un governo interamente indipendentista nel Parlament catalano.

 La tornata elettorale conferma la volontà del popolo catalano di costituire una Repubblica indipendente e ribadisce che la repressione dello Stato spagnolo non può riuscire a fermare il cammino verso la libertà. Ricordiamo infatti che anche queste elezioni si sono svolte mentre decine di esponenti di primo piano della politica e del mondo della cultura si trovano ancora in carcere o in esilio per aver osato chiedere democraticamente il parere popolare col referendum del 1° ottobre 2017.

 L’Erc di Oriol Junqueras (ancora incarcerato), Junts per Catalunya del presidente esule Puigdemont e la sinistra indipendentista della CUP si sono presentati divisi, rispettando le sensibilità e le sfumature politiche del variegato elettorato indipendentista, ed hanno conquistato ben 74 seggi al Parlament, molti di più dei 68 necessari per governare.

 Sul campo unionista, a fronte del catastrofico crollo di Ciudadanos, si segnala la crescita del Partito Socialista e l’entrata in parlamento dell’estrema destra di Vox, segnali che indicano la ricerca di una polarizzazione da parte dell’elettorato spagnolista, travolto dall’onda popolare indipendentista ma ostinato nell’opposizione al diritto all’autodeterminazione.

 Sentiamo di esprimere delle congratulazioni particolari alla sinistra indipendentista della CUP, che ha visto più che raddoppiare la sua presenza nel Parlament catalano in questa tornata elettorale, passando da 4 a 9 seggi.

 La CUP in questo momento si rivela determinante per la nascita del nuovo governo, e precisa da subito alcuni punti fondamentali che saranno l’asse portante delle trattative e poi dell’azione del futuro governo nazionale: “Amnistia e fine della repressione, referendum sull’autodeterminazione, un piano radicale di intervento sociale e uno di transizione ecologica”.

Da parte nostra tutto l’appoggio e la condivisione per il progetto. Buon lavoro, verso la costruzione di una libera Catalogna.

 

Liberu – Lìberos Rispetados Uguales

#Liberu

 

venerdì 19 febbraio 2021

(19 Febbraio 1953) nasce Massimo Troisi


 

(Fiorenza Margheggiani): "Quando c'è l'amore c'è tutto."

(Massimo Troisi): "No, chella è 'a salute!" (dal film “Ricomincio da tre”)

 (19 Febbraio 1953) nasce a San Giorgio Cremano (cittadina a pochi chilometri da Napoli) Massimo Troisi: è stato attore, regista, sceneggiatore e cabarettista. Affetto sin da bambino da febbre reumatica, Troisi sviluppa una degenerazione della valvola mitrale, e uno scompenso cardiaco che gli sarebbe stato fatale a soli quarantun anni. Nonostante i problemi di salute di cui non amava parlare, e attratto dal mondo dello spettacolo sin dall’adolescenza, Troisi cominciò a scrivere poesie e dedicarsi al teatro. Ancora molto giovane vinse un premio locale di poesia ispirata alla figura di Pier Paolo Pasolini.

 Ancora studente cominciò a recitare nel gruppo teatrale de "I Saraceni", di cui facevano parte Lello Arena, Enzo Decaro, Valeria Pezza e Nico Mucci. Nel 1977 nasce la Smorfia: Troisi, Decaro e Arena cominciano a recitare al Sancarluccio di Napoli ed il successo teatrale ben presto si trasformerà in successo televisivo. Del trio restano memorabili le gag dell'Annunciazione: Troisi interpretava la moglie di un pescatore, scambiato da Lello Arena (Arcangelo Gabriele) per la Vergine Maria; in un altro Troisi cercava di salire sull’arca di Noè sostenendo di essere un animale immaginario, il “minollo.”

 Dal 1981 comincia per Massimo l'avventura anche nelle sale cinematografiche con il primo film in cui è regista e protagonista "Ricomincio da tre". Un vero e proprio trionfo di critica e di pubblico. Nel 1984 lavora con Benigni, sia come regista che come attore, nel film "Non ci resta che piangere". Passano due anni (1987) ed è ancora una volta impegnato in prima persona, dietro e davanti alla macchina da presa con il film "Le vie del Signore sono finite." In alcuni film di Ettore Scola è solo attore: "Splendor" (1989); "Che ora è" (1989), e "Pensavo fosse Amore... invece era un calesse" (1991) di cui è anche autore e interprete.

 Troisi indicò al cinema italiano una via per un'escursione rivitalizzante con in più uno sguardo attento alla società italiana ed alla sua Napoli. Con lui nacque la nuova tipologia napoletana di antieroe, la vittima dei tempi moderni, un personaggio che fa riflettere sui dubbi e le preoccupazioni delle nuove generazioni.

 Durante la proiezione del film "Il postino" le sue condizioni di salute peggiorarono giorno dopo giorno, al punto da costringerlo a farsi sostituire da una controfigura nelle scene più faticose. L'attore partenopeo durante le riprese sull'isola si impegnò ad offrirlo in anteprima nazionale proprio in un locale di Procida; ma di questo film non fu anche spettatore. Troisi morì nel sonno dodici ore dopo la fine delle riprese, il 4 giugno 1994 a Roma, a soli quarantuno anni. Le sue spoglie sono conservate nel Cimitero di San Giorgio a Cremano (Napoli) insieme con quelle della madre e del padre.

Blindato il Recovery: supertecnici al lavoro per gestire i fondi Ue


 

Una marcia ancor più decisa verso l'economia green, dalle rinnovabili all'idrogeno. Impulso allo sviluppo delle reti, dall'alta velocità al 5G. E un rafforzamento della «grande mole» di lavoro fatto fin qui, focalizzando le priorità e selezionando i progetti non solo in base alla loro fattibilità nei prossimi sei anni ma anche in base ai posti di lavoro che sapranno creare. Già da quest'anno. E regia unica al Mef di Daniele Franco, con l'aiuto dei ministeri interessati, anzitutto i supertecnici Roberto Cingolani e Vittorio Colao.

 Si chiariscono i contorni del Recovery Plan di Mario Draghi, che chiama i tecnici a finire il lavoro iniziato dal governo Conte. L'obiettivo è fare in fretta, incassare il parere del Parlamento, avere un nuovo testo entro metà marzo e riprendere la negoziazione con l'Ue per consegnare il piano ufficiale ad aprile.

 Sforzo straordinario. L'Italia per ora «non è l'ultima della fila», rassicura il commissario Paolo Gentiloni, ma ora bisogna correre perché «si è perso tempo con l'ultima crisi» e servirà uno sforzo «straordinario» per rendere il piano italiano appieno compatibile con le indicazioni europee. La Commissione chiede cronoprogramma e riforme, e Draghi assicura che proprio su visione strategica e riforme chiave - fisco, giustizia e pubblica amministrazione - si concentrerà il lavoro delle prossime settimane.

 «Fondamentale» per arrivare alla versione definitiva del piano, dice il premier, saranno «gli orientamenti del Parlamento» che Draghi si aspetta «nei prossimi giorni»: tra i senatori serpeggia però qualche perplessità proprio sul ruolo effettivo che sarà dato alle Camere, visto il passaggio del discorso del premier sul Parlamento che sarà «costantemente informato». «Sarebbe poco auspicabile che la bozza definitiva non passi al vaglio del Parlamento», dice esplicitamente Dario Stefano, presidente della commissione Politiche Ue di Palazzo Madama che avvierà solo la prossima settimana le audizioni sulla vecchia proposta.

 Il ruolo del Parlamento. L'esame si era fermato proprio in attesa di indicazioni dal nuovo governo. E ora, vista l'intenzione di «intervenire sull'impianto della bozza», forse meglio sarebbe dare un parere sul nuovo documento. In Aula al Senato, nel corso del dibattito sulla fiducia, veloci contatti avrebbero portato all'accordo di sentirsi entro il weekend per capire come procedere. Intanto ci sarà da scrivere la struttura della governance, rendendo concreto l'incardinamento al Mef citato da Draghi.

 Un'ipotesi sarebbe inserire le norme necessarie nel decreto che si sta predisponendo per attribuire le deleghe al nuovo ministero della Transizione ecologica e per dare il “portafoglio” al Turismo. Ma, si ragiona in ambienti di maggioranza, si potrebbe anche optare per un riassetto del Mef con la creazione di un nuovo dipartimento per il Recovery.

 Di sicuro andranno anche chiarite le regole di ingaggio per accelerare la realizzazione dei progetti e assicurare che le risorse impegnate vengano effettivamente spese. Le quote di prestiti, avvisa il neo premier, andranno modulate in base agli obiettivi di finanza pubblica. Il ruolo dello Stato dovrà essere «valutato con attenzione» e bisognerà spingere sul ruolo dei privati per massimizzare l'effetto leva degli investimenti pubblici.

 


Articolo “Unione Sarda” del 18.02.2021

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Federico Marini

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martedì 16 febbraio 2021

«Chiudere l'Isola? Una tragedia» Ma gli esperti insistono: è giusto


 


La proposta non trova molti consensi. Normale, si dirà. L'idea di abbassare serrande dei locali e tapparelle delle case per due settimane e rivivere un lockdown simile allo scorso anno mette in agitazione non solo chi campa di incassi ma anche le famiglie. E la Sardegna, che sino a ieri iniziava a respirare l'aria della libertà da fascia bianca, adesso si trova a ragionare su una chiusura che serve, secondo gli esperti, ad arginare il virus reso più aggressivo dalle varianti.

 «Lockdown duro» «Il 20% dei contagiati in Italia presenta la variante inglese e la percentuale è destinata ad aumentare. Bisognava fare il lockdown a dicembre, prevenendo tutto questo, mentre ora siamo nei guai. Come se ne esce? Con una chiusura dura e immediata per evitare che la variante inglese diventi prevalente e per impedire che abbia effetti devastanti come in Inghilterra, Portogallo e Israele». Il virologo Andrea Crisanti, che in Sardegna ha organizzato e sta seguendo lo screening di massa “Sardi e sicuri”, non ha dubbi. «Va chiuso tutto e va lanciato un programma nazionale di monitoraggio delle varianti. Dove si trovano le varianti brasiliana e sudafricana servono lockdown stile Codogno, non le zone rosse che sono troppo morbide». Addio sogno “Isola bianca”, insomma. «Tutti vogliamo una vita normale, ma non si realizza se non si controlla la pandemia», conclude Crisanti.

 «Massima attenzione». «Ovviamente l'allarme non è campato in aria: in Italia si sta diffondendo velocemente la variante inglese del virus e questo può avere un impatto serio sul sistema sanitario - sottolinea Giovanni Sotgiu, docente di Statistica medica all'Università di Sassari – Il Cts sta esaminando uno studio mondiale nel quale pare venga evidenziato che la variante inglese non solo si diffonde il 50, 70% in più, ma aumenta la letalità del 20, 30%. A me fa già tremare i polsi l'aumento della trasmissibilità, figuriamoci quello della maggior virulenza. Quindi è normale e giusto che si cerchi di impostare misure di mitigazione non solamente nelle zone dove sta già salendo il numero di contagi perché il virus corre». Sardegna compresa, ovviamente.

 «Da noi si possono effettuare controlli più importanti all'ingresso: dobbiamo prestare la massima attenzione perché la variante inglese sta ormai prendendo il sopravvento. In Florida si stima che il 10 marzo tutti i positivi avranno quella variante, a dimostrazione di quanto il virus corra a livello globale. Il ministero della Salute ha chiesto alle Regioni un ulteriore sforzo per aumentare la capacità di sequenziamento».

 Il timore. Se il giudizio degli esperti è quindi unanime, altrettanto lo è quello degli imprenditori: una chiusura generale sarebbe durissima da superare. «Non sono un virologo ma è evidente che tutto quello che si è determinato durante il lockdown per il nostro mondo è stato terribile. A partire da un aumento dei costi smisurato per quanto riguarda la sicurezza - denuncia Pierpaolo Tilocca, numero uno dell'Associazione nazionale costruttori edili della Sardegna - Da quando è scoppiata la pandemia nel capitolo sicurezza sono ricaduti, esclusivamente in capo al datore di lavoro, anche i dispositivi sanitari per un dipendente.

 In più abbiamo una serie di protocolli da rispettare, dai trasporti alla sanificazione. Due esempi: se prima su un camioncino viaggiavano sette operai, oggi devono essere massimo tre e tutti con le mascherine; se prima un martello passava di mano in mano adesso prima del passaggio bisogna sanificarlo. Sono costi altissimi che noi sosteniamo con enormi sacrifici. A seconda dell'intervento le misure anti Covid incidono dal 5 al 100% dell'importo dei lavori appaltato».

 «Chiusura assurda». «Ora non solo un altro lockdown è assurdo ma il nostro settore nell'Isola ha urgenza di vedersi riconoscere i ristori per maggiori oneri Covid. La Sardegna nell'aprile scorso è stata la prima Regione in Italia a sentire il bisogno di aggiornare i prezzi dei piani di sicurezza per il contenimento del virus utilizzando le risorse nei quadri economici dei progetti, solo che poi queste delibere si sono concretizzate con un tariffario regionale il 23 dicembre 2020, e in parte anche monco. Quanto ha perso il comparto nel primo lockdown? Difficile calcolarlo, ritengo minimo il 30 per cento», conclude Tilocca.

 

Michele Masala

 

Articolo tratto da “La Nuova Sardegna” del 16 Febbraio 2021