lunedì 18 maggio 2020

Vogliamo sacrificare la Sardegna e i sardi al turismo? Di Pier Franco Devias



desso c'è l'ufficialità: i gestori dei tre aeroporti sardi hanno detto chiaro e tondo a Solinas "Noi non abbiamo spazi per fare i test ai turisti in arrivo". A questo punto Solinas vorrebbe chiedere alla ministra dei trasporti che glieli faccia fare lei, negli aeroporti in partenza. Qualcosa mi dice che la ministra non spenderà soldi e suppliche agli aeroporti italiani per fargli fare controlli in partenza per la Sardegna, ma forse sono io prevenuto.

Dei porti poi non ne parliamo, che è meglio.

Per cui, stando così le cose, prepariamoci ad accogliere tutti quegli allegri giovanotti che l'altro giorno, alle prime timide riaperture, affollavano i Navigli di Milano e le piazze di Bologna come se il virus fosse scomparso da anni e come se non fossero abitanti delle zone più contagiate del mondo (con contagi e morti che tuttora proseguono, per inciso).

Arriveranno a ondate di trentamila al giorno, senza controlli all'entrata. E tantomeno all'arrivo, come dichiarato ufficialmente.

Se ne andranno in giro per la Sardegna - che noi abbiamo tenuto sostanzialmente sana con grandi sacrifici - e magari seguiranno tutte quelle precauzioni che però non avevano voglia di seguire a casa loro. Certo. Perchè no?


Da oltre due settimane noi di Liberu insistiamo a proporre l'ipotesi di una stagione bassa ma sicura, una stagione per una volta di chiusura al turismo esterno, puntando sul turismo interno della Sardegna, accettando con grandi precauzioni un basso numero di persone e invitando anche chi normalmente va fuori a preferire una vacanza in Sardegna. Per i lavoratori stagionali che non potranno essere assunti ci vorrebbero sussidi sociali compensativi. Una soluzione di emergenza per una situazione disastrosa.

Ma pensiamo che sia meglio una stagione a metà che una stagione devastante sia dal punto di vista sanitario che dal punto di vista economico: se riscoppiassero i contagi si dovrebbe richiudere tutto.

Non oso immaginare un decreto di chiusura della Sardegna a giugno, con le assunzioni fatte, la merce acquistata, gli ordini fatti, per poi tornare tutti chiusi in casa. Non oso immaginare nemmeno come si possa far fronte a un nuovo contagio in un posto dove arrivano ondate di 30mila persone al giorno; da tutta Europa e in gran parte proprio dal nord Italia, in una terra con ospedali che hanno complessivamente 180 posti di terapia intensiva.


Faremmo impallidire Bergamo.

Non possiamo permettere che i Sardi e la Sardegna corrano rischi così alti per gli interessi di un settore che è una parte minima della nostra economia. Il turismo, anche se l'assessore al Turismo crede di no, occupa una parte importante ma minima della nostra economia. E lo dicono i numeri, non le impressioni, e i numeri ci dicono che c'è anche tanta altra economia in Sardegna, che ha altrettanto diritto di vivere.


Ma nei media si sentono ogni giorno le strombazzate dei grandi proprietari di alberghi: riaprite, riaprite tutto, riaprite subito. Pretendono che tutto ruoti attorno a loro, ma noi non ci possiamo permettere di sacrificare vite umane e l'intera economia dell'isola agli affari del Qatar o dei proprietari (quasi sempre stranieri, tra l'altro) dei grandi alberghi e villaggi di lusso. La nostra proposta, che propone di salvare lavoratori e economia sarda senza sacrificare tutto alle impellenze dei multimiliardari, pure se ripetutamente inviata a tutti i mezzi di informazione dal 30 aprile a oggi, non ottiene nessuno spazio.


Leggetela, ragionateci su, aiutateci a farla conoscere condividendola con i vostri contatti:



Pier Franco Devias


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