Ieri sera (h.20.30, in
TCS) nella trasmissione condotta da Enrico Putzolu, ho
parlato di Amsicora, il primo personaggio di ben 15 puntate che TCS ogni sabato
e alla stessa ora trasmetterà. Il prossimo sarà Eleonora d'Arborea. Fra gli altri ci saranno Sigismondo
Arquer, Giovanni Maria Angioy, Grazia Deledda, Marianna Bussalai, Gramsci,
Lussu, Michelangelo Pira, Eliseo Spiga e Antonio Simon Mossa.
Come si sarà capito, sempre e rigorosamente in lingua sarda. Ma ecco un
ritratto più completo ed esaustivo di Amsicora.
Amsicora: chi era
costui? Un ascaro o un eroe sardo? La fonte fondamentale della storia e della
figura di Amsicora, è costituita in buona sostanza dall’opera dello storico
romano Tito Livio “Ab urbe condida, XXIII, 40”. Ebbene il più grande latinista
italiano, Ettore Paratore, nella sua monumentale "Storia della Letteratura
latina" (1) scrive, in modo impietoso, che “chi volesse farsi un’idea
precisa delle campagne militari romane attraverso Livio, finirebbe per non
capire nulla”. Perché?
Perché Livio intende la storia come diletto e ammaestramento che lo
portano ad alterare le vicende storiche: di qui –per esempio- il prevalere degli interessi
letterari e morali su quelli storici, soprattutto nella narrazione del periodo
più arcaico. Livio è persuaso che quella di Roma fosse una storia provvidenziale, una specie di “storia sacra”,
quella del popolo eletto dagli dei. Deriva da questa convinzione la più attenta cura a far risaltare tutti gli atti
e tutte le circostanze in cui la virtus romana abbia rifulso.
Tutto ciò è chiaramente
adombrato anche nel proemio dell’opera “Ab urbe condita” dove si insiste sul
carattere tutto speciale del dominio romano, provvidenziale e benefico anche
per i popoli soggetti: “Se a qualche popolo è opportuno permettere che circondi
le proprie origini col fascino della sacralità e le attribuisca agli dei, è
anche da rilevare che la maggior gloria del popolo romano in guerra è che,
sebbene esso vanti particolarmente Marte come primogenitore suo e del suo
fondatore Romolo, le nazioni della terra sopportino questo vanto con la
medesima buona disposizione con cui si assoggettano al suo dominio”.
Di qui l’impegno politico che porta Livio ad esaltare i grandi
valori etici, religiosi e patriottici dell’antica Roma sulla base del “Tu regere imperio
populos, Romane, memento” (Ricordati, Romano, che tu devi dominare gli altri
popoli) e del “Parcere subiectis et debellare superbis” (Occorre perdonare chi
si sottomette e distruggere chi osa resistere). Livio scrive
dunque una storia “ideologica”, senza alcun rigore storico, con svarioni colossali e immani
contraddizioni: Eccone alcune:
1) Iosto, figlio di Amsicora,
mentre il padre si trovava presso i Sardi Pelliti, preso dalla baldanza
giovanile avrebbe attaccato sconsideratamente i Romani e sarebbe stato
sconfitto e ucciso, volto in fuga l’esercito dei Sardi con 3.000 morti e 1.300
prigionieri.
Dopo tale colossale disfatta inflitta ai Sardi il console Tito Manlio Torquato
invece di inseguire il resto dell’esercito e occupare Cornus – aveva ben
quattro legioni! – volge le spalle al nemico e si trincera a Cagliari. A questo
proposito c’è da chiedersi – come si domanda il Carta Raspi (2) in “Storia
della Sardegna”: “Perchè Manlio non attacca i Cartaginesi che sbarcavano non
lontano dagli accampamenti romani con circa 10.000 fanti e alcune centinaia di
cavalieri mentre il console romano aveva il doppio di effettivi 22.000 fanti e
1.200 cavalieri?”
2) Nella seconda battaglia, svoltasi pare, nei pressi di Assemini, dopo la morte di Iosto,
i Sardi e i Cartaginesi ebbero 12.000 morti, persero 27 insegne e circa 3.700
prigionieri. Sempre, naturalmente
secondo Livio o meglio – in questo caso – secondo Valerio Anziate, (3) da cui
pare, abbia attinto i dati. E Amsicora, quando seppe della morte del figlio si
sarebbe ucciso.
Dopo tale vittoria Manlio Torquato – che a parere di Teodor Mommsen (4) in “Storia
di Roma antica”: “ distrusse interamente l’esercito sbarcato dei Cartaginesi e
conservò di nuovo ai Romani l’incontrastato possesso dell’Isola – trionfante,
parte per Roma a portarvi il lieto annuncio della Sardegna “vinta e domata per
sempre”.
Dopo poco più di 30 anni – è lo stesso Livio a dircelo – questa Sardegna vinta
e domata per sempre insorge di nuovo: “ In Sardinia magnum tumultum esse
cognitum est....Ilienses adiunctis Balanorum auxiliis pacatam provinciam
invaserant...”. Evidentemente era stata “conquistata ma non convinta nè domata” – intendendo per Sardegna, la
regione della montagna, “perché questa fu la ribelle… con i fierissimi Iliesi e
Balari” almeno secondo Salvatore Merche, (5) storico sardo dell’inizio del
‘900.
Ci saranno infatti rivolte sia nel 181 che nel 178 a.c: gli Iliesi con l’aiuto dei Balari
avevano attaccato la Provincia, la zona controllata da Roma e i Romani non
potevano opporre resistenza perchè le truppe erano colpite da una grave
epidemia, forse la malaria.
Nel 177 e 176 nuove e potenti sommosse costringeranno il Senato romano ad
arruolare sotto il comando del console Tiberio Sempronio Gracco – lo stesso
console della conquista romana del 238-237 - due legioni di 5.200 fanti
ciascuna, più di 300 cavalieri, 10 quinquiremi cui si assoceranno altri 12.000
fanti e 600 cavalieri fra alleati e latini.
Commenta Salvatore Merche nell’opera citata (6): “La
grandezza di questa spedizione militare e lo sgomento prodotto nell’urbe dal
solo accenno a una sollevazione dei popoli della montagna, dimostra quanto
questi fossero terribili e temuti, anche dalla potenza romana, quando si
sollevavano in armi. Evidentemente poi,
perdurava in Roma la terribile impressione e i ricordi delle guerre precedenti
con i Pelliti di Amsicora e di Iosto, nelle quali i Romani avevano dovuto constatare
d’aver combattuto con un popolo d’eroi, disposti a farsi ammazzare ma non a
cedere”.
Alla fine dei due anni di guerra – ne furono uccisi 12 mila nel 177 e 15 mila
nel 176- nel tempio della Dea Mater Matuta a Roma fu posta dai vincitori questa
lapide celebrativa, riportata da Livio: "Sotto il comando e gli auspici del console
Tiberio Sempronio Gracco la legione e l’esercito del popolo romano sottomisero
la Sardegna. In questa Provincia furono uccisi o catturati più di 80.000
nemici. Condotte le cose nel modo più felice per lo Stato romano, liberati gli
amici, restaurate le rendite, egli riportò indietro l’esercito sano e salvo e
ricco di bottino, per la seconda volta entrò a Roma trionfando. In ricordo di
questi avvenimenti ha dedicato questa tavola a Giove”.
Gli schiavi condotti a Roma furono così numerosi che “turbarono“ il mercato
degli stessi nell’intero mediterraneo, facendo crollare il prezzo tanto da far
dire a Livio “Sardi venales”: da vendere a basso prezzo.
Ma le rivolte non sono finite neppure dopo il genocidio del 176 da
parte di Sempronio Gracco. Altre
ne scoppiano nel 163 e 162. Non possediamo – perchè andate perse le Deche di Tito Livio successive
al 167 – sappiamo però da altre fonti che le rivolte continueranno: sempre
causate dalla fiscalità esosa dei pretori romani e sempre represse brutalmente
nel sangue. Così ci saranno ulteriori guerre nel 126 e 122: tanto che l’8
Dicembre di quest’anno viene celebrato a Roma il trionfo “ex Sardinia“ di Lucio
Aurelio; nel 115-111, con il trionfo il 15
Luglio di quest’anno di Marco Cecilio Metello ben annotato nei Fasti Trionfali,
e infine nel 104 con la vittoria di
Tito Albucio, l’ultima ribellione organizzata che le fonti ci tramandano, ma
non sicuramente l’ultima resistenza che i Sardi opposero ai Romani.
Lo stesso Livio, che scriveva alla fine del I secolo a.c., affermerà –
soprattutto a proposito degli Iliesi - che si tratta di “gente ne nunc quidem
omni parte pacata “. Il che trova conferma in un passo di Diodoro Siculo (7), da
riportarsi a questo stesso periodo, secondo il quale gli abitanti delle zone montuose
sarde, ai suoi tempi : “Ancora hanno mantenuto la libertà”. Altro che Sardegna pacificata o
Sardi “avvezzi ad essere battuti facilmente”! (facile vinci) come sostiene
Livio e di cui ora parlerò.
3) I Sardi dunque – secondo Livio – erano avvezzi ad essere facilmente battuti.
Ma come fa a sostenere ciò? A parte quanto succederà dopo il 215 – e che ho testé
documentato – non conosce forse lo storico romano quanto è successo prima, dal
238 almeno?
Fin dal 236 infatti, due anni dopo la conquista da parte romana del
centro sardo-punico della Sardegna, i Romani – come annota brevemente Giovanni
Zonara (8), risalendo a Dione Cassio (9) – condussero operazioni contro i Sardi
che rifiutavano di sottomettersi.
Nel 235, sobillati – a parere di Zonara – dai Cartaginesi che “agivano
segretamente” i Sardi si ribellano e vengono repressi nel sangue da Manlio
Torquato – lo stesso console che sarà scelto per combattere Amsicora - che
celebrerà il trionfo sui Sardi, il 10 Marzo del 234, come attesteranno i Fasti
trionfali capitolini.
Nel 233 ulteriori rivolte
saranno represse dal Console Carvilio Massimo, che celebrerà il trionfo il
Primo Aprile del 233.
Nel 232 sarà il console Manio
Pomponio a sconfiggere i Sardi e a meritarsi il trionfo celebrandolo il 15
Marzo.
Nel 231 vengono addirittura inviati due eserciti consolari, data la
grave situazione di pericolo, uno contro i Corsi, comandato da Papirio Masone e
uno, guidato da Marco Pomponio Matone, contro i Sardi. I consoli non otterranno il
trionfo, a conferma che i risultati per i Romani furono fallimentari. E a poco
varrà a Papirio Masone celebrare di sua iniziativa il trionfo negatogli dal
senato, sul monte Albano anziché sul Campidoglio e con una corona di mirto anziché
di alloro.
In questa circostanza
il console Matone – la testimonianza è
sempre di Zonara – chiederà segugi addestrati nella caccia e adatti nella
ricerca dell’uomo per scovare i sardi barbaricini che, nascosti in zone
scoscese e difficilmente accessibili, infliggevano dure perdite ai Romani.
Nel 226 e 225 si verificherà una recrudescenza dei moti, ma ormai – come sottolinea Piero
Meloni (10) “Roma è intenzionata fortemente al dominio del Mediterraneo e
dunque al possesso della Sardegna che continua ad essere di decisiva
importanza” e l’Isola unita con la Corsica – come la Sicilia – dopo il 227 ha
avuto la forma giuridica di Provincia con l’invio di due pretori per
governarla.
4) Livio parla di “Sociorum populi romani“ (alleati di Roma) e in un’altro passo
di “Comunità sarde, amiche di Roma che contribuirono “benigne” con tributi e
con la decima, visto che non si poteva pagare il soldo ai militari né
distribuire viveri”. Ma a chi allude? Ma non è lui stesso, in altri passi delle
sue “Storie“ a sostenere che le popolazioni vennero multate per aver
partecipato al conflitto? Obbligate a pagare gravi tributi in denaro e
frumento? E non in base alle possibilità contributive ma semplicemente per aver
partecipato alla rivolta a fianco di Iosto e Amsicora? La
verità è che in Sardegna non esistevano popolazioni amiche dei Romani: del resto è lo stesso Cicerone (11)
a confermarlo nell’Orazione “Pro Scauro” in cui afferma che non vi
era fino a quel tempo (215) in Sardegna neppure una città amica dei Romani:” ...quae est enim praeter Sardiniam
provinciam, quae nullam habeat amicam populo romano ac liberam civitatem?
5) Livio parla di Iosto ucciso in battaglia, Silio Italico (12) scrive che fu
ucciso dal poeta latino Ennio (13). Questi nella sua opera “Annales” non fa cenno
di questo episodio.
6) Livio scrive di Amsicora come di un sardo-cartaginese per i suoi
interessi di grande latifondista, integrato nell’aristocrazia punicizzata.
Insomma una sorta di ascaro. Ma come spiegare in questo caso la sua “auctoritate”, il suo prestigio
persino presso le popolazioni delle tribù nuragiche dell’interno, tanto da
recarsi presso di loro per chiedere e sollecitare il loro aiuto nella guerra
contro Roma? Non si tratta forse degli stessi sardi che intorno alla metà del
VI secolo avevano lanciato una grande offensiva contro i Cartaginesi, fino a
distruggere la fortezza di Monte Sirai?
E allora?
Allora bisogna concludere che la versione Liviana non è assolutamente credibile
e la storia di Amsicora occorre riscriverla, partendo a mio parere da
un’ipotesi fondamentale: che esso era non solo un sardo verace ma
addirittura un barbaricino, come ci testimonia Silio Italico secondo cui Amsicora si gloriava di
essere iliense, discendente dei coloni venuti da Troia e quindi un montanaro
del più nobile sangue e assai coraggioso e fiero. Versione questa di Silio
Italico, fatta propria da uno storico sardo del 1600, Giovanni Proto Arca di
Bitti (14) che chiama Amsicora “dux barbaricinorum”: “erat dux Barbaricinorum
Hampsagoras et eius filius Oscus”.
Del resto, Amsicora, fin dal tempo di Cicerone non è stato sempre
raffigurato con tanto di barba, pugnale e mastruca, tipico dei Sardi Pelliti? Ed è un caso che nell’immaginario
collettivo, soprattutto degli artisti e dei poeti Sardi, venga considerato come
un eroe sardo che difende la Sardegna contro il romano invasore e non un
ascaro? Si tratta solo di fantasie e sogni?
Può darsi. Ma forse che l’Amsicora liviano non è ugualmente costruito e
disegnato sulle fantasie dello storico latino tutto proteso a magnificare la stirpe
romana, piegando a tale
filosofia dati, date e avvenimenti come ormai ci risulta con certezza?
Riferimenti bibliografici
1) Ettore Paratore, Storia della Letteratura latina, Sansoni editore, pag.455
2) Raimondo Carta-Raspi, Storia della Sardegna, ed. Mursia, pag.212.3) Valerio
Anziate, storiografo romano vissuto nell’Età di Silla (1° secolo a.c.) Scrisse
75 libri di “Annales”, quasi completamente perduti. Godeva già presso gli
storici antichi e ancor più ne gode oggi presso gli storici moderni fama di
grande falsario o comunque di faciloneria, mancanza di scrupoli ed
esagerazioni.
4) Theodor Mommsen, Storia di Roma antica, vol.I, tomo I, pag.143.
5) Salvatore Merche, Barbaricini e la Barbagia nella storia della Sardegna
pag.26 segg.
6) Salvatore Merche,op. cit. pag. 28.7) Diodoro Siculo (90 a.c.- 20 d.c.) Vive
ai tempi di Cesare e nei primi anni di Augusto. Storico greco scrive in 40
libri la “Biblioteca storica”.
8) Giovanni Zonara (1080-1118) storico e scrittore ecclesiastico bizantino, autore
di un’opera “Epitome storica” che tratta dalle Origini alla morte di Alessio
Commeno.
9) Dione Cassio, storico greco. Autore di “La storia di Roma” dalle origini al
229 d.c. in 80 libri.
10) Piero Meloni, “La Sardegna romana”, Chiarelli editore.
11) Cicerone (106-43 a.c.) Parla della Sardegna – sempre in termini
dispregiativi – in più opere, fra l’altro nell’orazione “ Pro Scauro”.
Diventerà per altri
scrittori e storici che parleranno successivamente della Sardegna, la
principale fonte.
12) Silio Italico, (25-101 d.c.) Poeta latino. La sua opera principale è il
poema epico “Punica” in 17 libri e 12.200 versi.Tratta della 2° Guerra Punica:
dall’assedio di Sagunto fino a Zama. Fu lui che attribuì al poeta Ennio la
morte in duello di Iosto, il figlio di Amsicora.
13) Ennio (239-169 a.c.) poeta latino, autore degli “ Annales”, poema epico in
18 libri e in 30.0 00 versi, per la gran parte andati persi in cui celebra la
Storia di Roma dalle Origini ai suoi giorni, ispirati ad entusiastica
ammirazione per l’espansionismo romano, tanto da essere ammiratissimo da
Cicerone.
14) G. Proto Arca, “Barbaricinorum libri”, Ed. Sarda Fossataro
Questo breve saggio
storico è la base su cui è stato costruito la monografia in lingua sarda della
Collana “Omines e feminas de gabbale”:
Amsicora, Frantziscu Casula-Amos Cardia (Alfa editrice, Quartu, 2007)
Ora anche in Italiano, inserita nel volume (pagine 9-30):
Uomini e donne di Sardegna, Francesco Casula, (Alfa editrice, Quartu, 2010)
Di Francesco Casula
Saggista, storico della letteratura sarda
autore del libro, tra gli altri, de
“Carlo Felice e i tiranni sabaudi”
Nessun commento:
Posta un commento