Nostalgici del
tricolore e dell’Inno italico, da sempre nemici della lingua sarda e dei nostri
simboli identitari, – e dunque della nostra “Festa Nazionale”,
l’intellettualità compradora e gli storici filo sabaudi, con
argomenti risibili muovono un attacco scomposto a SA DIE: sarebbe una Festa “inventata”, senza fondamenta storiche. Guarda
caso in sintonia con gli storici filo sabaudi più reazionari e cortigianeschi:
alla Giuseppe Manno e Vitorio Angius, tanto per intenderci, che avevano ridotto il 28 aprile a
una semplice congiura.
Rispondo con argomentazioni che non sono mie ma del più grande
storico sardo dell’età sabauda; di un osservatore diretto e coevo all’Evento
del 28 aprile 1794 e a Giovanni Lilliu, il nostro più grande archeologo.
1. Girolamo Sotgiu, (che fra l’altro è stato anche
senatore e dirigente del PCI, alieno da simpatie nazionalitarie e
indipendentiste) polemizza garbatamente ma decisamente proprio con
l’interpretazione data da storici filo sabaudi, come il Manno o l’Angius al 28
aprile, considerato alla stregua di una congiura. “Simile interpretazione
offusca – scrive Sotgiu – le componenti politiche e sociali e, bisogna
aggiungere senza temere di usare questa parola «nazionali». Insistere
sulla congiura – cito sempre lo storico sardo – potrebbe alimentare l’opinione
sbagliata che l’insurrezione sia stato il risultato di un intrigo ordito da un
gruppo di ambiziosi, i quali stimolati
dagli errori del governo e dalle sollecitazioni che venivano dalla Francia,
cercò di trascinare il popolo su un terreno che non era suo naturale,di fedeltà
al re e alle istituzioni”.
A parere di Sotgiu
questo modo di concepire una vicenda complessa e ricca di suggestioni, non
consente di cogliere il reale sviluppo dello scontro sociale e politico né di
comprendere la carica rivoluzionaria che animava larghi strati della
popolazione di Cagliari e dell’Isola nel momento in cui insorge contro coloro
che avevano dominato da oltre 70 anni.
2. Non fu quindi
congiura o improvviso ribellismo: ad annotarlo è anche Tommaso Napoli, padre scolopio, vivace e popolaresco scrittore ma anche
attento e attendibile testimone, che visse quelli avvenimenti in prima persona.
Secondo il Napoli “l’avversione della
«Nazione Sarda» – la chiama proprio così – contro i Piemontesi, cominciò da più
di mezzo secolo, allorché cominciarono
a riservare a sé tutti gli impieghi lucrosi, a violare i privilegi antichissimi
concessi ai Sardi dai re d’Aragona, a promuovere alle migliori mitre soggetti
di loro nazione lasciando ai nazionali solo i vescovadi di Ales, Bosa e
Castelsardo, ossia Ampurias. L’arroganza e lo sprezzo – continua – con cui i
Piemontesi trattavano i Sardi chiamandoli pezzenti, lordi, vigliacchi e altri
simili irritanti epiteti e soprattutto l’usuale intercalare di Sardi molenti,
vale a dire asinacci inaspriva giornalmente gli animi e a poco a poco li
alienava da questa nazione”.
3. “Fu un momento
esaltante – ha scritto Giovanni Lilliu – fu un’azione, poi bloccata dalla
reazione «realista», tesa a procurare un salto di qualità storica.
Fu il tentativo di ottenere il passaggio da una Sardegna asservita al
feudalesimo ad una Sardegna libera, fondando nell’autonomia, nel riscatto della
coscienza e dell’identità di popolo una nuova patria sarda, una nazione
protagonista”. Quanto sostiene
Lilliu è proprio il significato simbolico dell’evento: i Sardi dopo secoli di
rassegnazione, di abitudine a curvare la schiena, di acquiescenza, di
obbedienza, di asservimento e di inerzia, per troppo tempo usi a piegare il
capo, subendo ogni genere di soprusi, umiliazioni, sfruttamento e sberleffi,
con un moto di orgoglio nazionale e un colpo di reni, di dignità e di fierezza,
si ribellano e alzano il capo, raddrizzano la schiena e dicono: basta! In nome
dell’autonomia e dunque, per “essi meris in domu nostra”.
E cacciano Piemontesi (con Nizzardi e Savoiardi), non per motivi
etnici, ma perché rappresentano l’arroganza, la prepotenza e il potere. Sono infatti militari, funzionari,
impiegati. Cagliari all’alba dell’800 contava 20.000 abitanti, la burocrazia e
il potere piemontese 514 esponenti: più di uno per ogni 40 cagliaritani!
E a partecipare, direttamente e
attivamente a quell’Evento, occupando Castello, dopo
aver demolito le Porte, non furono
quattro borghesi in cerca di privilegi, ma l’intero popolo casteddaiu: ben
2.000 persone, il 10% dell’intera Cagliari: alla faccia della
“rivoluzione aristocratica” di cui parlano gli storici filo sabaudi!
Di Francesco Casula
Saggista, storico della letteratura sarda
autore del libro, tra gli altri, de
“Carlo Felice e i tiranni sabaudi”
*L’articolo è tratto dal sito “sardegnaeventi24.it”
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