Ho letto l'aberrante proposta del direttore del Forte Village,
Lorenzo Giannuzzi. Il direttore del
resort extra lusso di Santa Margherita di Pula pensa a una sorta di blindatura
e test rigorosi per i suoi clienti e per il personale, in modo da trasformare
la struttura in una sorta di "bolla sanitaria" sicura.
I suoi clienti, spiega, verranno presi all'aeroporto con mezzi
sicuri, e trasportati al resort dove faranno test e poi si godranno la vacanza
sereni. Ma che teneri. E aggiunge:
"Non aprire sarebbe commettere un suicidio mediatico, rendersi poco
visibili e concedere spazi a destinazioni alternative. Quello di aprire è un
nostro preciso dovere sociale".
In pratica per lui il "dovere sociale" sarebbe quello di
aprire tutta la Sardegna, fare arrivare tutti. E vada come vada, però ai suoi facoltosi clienti
ci pensa lui. Prima di entrare gli faranno le analisi e - dice - "in
attesa dell'esito sarà servito qualcosa da bere e il tempo volerà".
Che dolce. Eh, l'ospitalità sarda... E il resto dei turisti che arriveranno? Beh,
non lo dice. Ma ipotizzerei che dati questi presupposti, oramai che sono
arrivati, possano andare in giro per la Sardegna a sputazzare qua e là, al
limite noi incroceremo le dita...
Del resto lui il "dovere sociale" ce l'ha per i suoi clienti, non può
mica pensare anche ai Sardignoli. Noi invece abbiamo un altro modo di vedere le
cose, e prima degli affari delle èlites del turismo abbiamo a cuore il
benessere del nostro popolo.
Lo trovate qui:
Chiudere tutto per
riaprire tutto.
La situazione attuale è di assoluta incertezza, col rincorrersi contrastante di
voci allarmistiche e tranquillizzanti, pareri opposti di esperti e talvolta di
presunti esperti, con una classe politica in preda all’improvvisazione e allo
smarrimento.
Tutto ciò non può che creare enorme sconforto nelle classi lavoratrici,
stremate da due mesi di serrata, di mancati introiti, di promesse di sostegno e
di contributi miseri. A ciò si aggiunge l’enorme confusione per l’attuazione
della Fase 2 e per i passaggi successivi.
La Sardegna, la cui
crisi economica si chiama Italia e dura da ben più che dall’arrivo del
coronavirus, si trova oggi alle porte della stagione turistica senza un piano ben preciso e senza
delle linee guida univoche.
E’ vero che essa
beneficia del vantaggio della bassa diffusione del virus, dovuto prima di tutto
alla distribuzione della popolazione in piccoli paesi e al grande senso di
responsabilità, ma in parte anche a misure di chiusura all’esterno, opportune
seppur tardive. E’ anche vero però che una fetta importante della propria
economia ruota intorno al turismo, industria
naturalmente legata allo spostamento delle persone.
Tutti in questo momento vorremmo salvaguardare il vantaggio ottenuto dalla
bassa diffusione del virus, ma vorremmo anche metterlo a frutto per non perdere
gli introiti di una voce che rappresenta da sola circa il 7% del PIL, a cui si
deve aggiungere l’indotto.
Su queste tematiche
alcuni minimizzano il problema, dicendo che si deve aprire tutto al più presto,
perché la gente è esasperata e ha bisogno di lavorare. Altri invece dicono che
si deve aprire per gradi, perché è pericoloso aprire subito e si deve avere
pazienza.
Noi pensiamo che, per quanto riguarda la Sardegna, entrambe le
posizioni siano insufficienti e inadatte alla nostra situazione.
Coloro che vogliono aprire immediatamente tutto, dai porti e aeroporti a tutti
gli esercizi, dimenticano che l’iniziale vantaggio di regione poco colpita non
assicura affatto una garanzia duratura contro la diffusone di un virus. Singapore
ad esempio, dopo aver azzerato il problema, ha riaperto troppo presto ed è
stata travolta dalla seconda ondata di contagio.
Chi invece pensa che si debba riaprire gradualmente seguendo le direttive del
governo italiano, dimentica che tali direttive sono calibrate sulla situazione
del nord Italia e sulle esigenze economiche della grande industria
norditaliana.
La nostra situazione sanitaria è molto diversa, e il periodo estivo rappresenta
un’importantissima fonte di guadagno per migliaia di piccole e medie imprese e
per decine di migliaia di lavoratori stagionali.
Crediamo che la Sardegna, rivendicando con forza il proprio diritto
all’autogoverno, debba decidere da sé i tempi e i modi della riapertura, secondo dinamiche autonome che
tengano in considerazione la situazione sanitaria, le potenzialità di far
fronte a nuove eventuali emergenze, ma anche il tessuto economico particolare
della nostra isola.
Pensiamo perciò che
sarebbe opportuno valutare un’opzione basata sulle nostre specificità, attuando una temporanea chiusura
della Sardegna al sovraffollamento turistico, facendo però leva su un’ampia
riapertura dell’economia a livello locale – chiaramente correlata ad un
adeguato screening – e rimodulando in positivo anche le prescrizioni elaborate
in base a modelli di luoghi altamente contagiati, permettendo la creazione di
una situazione di “normalità controllata”.
Prima che si possa pensare che la mancata riapertura completa
all’esterno possa causare un danno economico è opportuno considerare due
aspetti: il primo è che a
nulla serve un alto numero di turisti se gli esercizi sono costretti ad
accogliere pochissime persone a causa del rigido distanziamento, con una
reazione a catena che porterebbe a sottopagare i dipendenti e costringerli a
dilatare gli orari di servizio. Il secondo è che se dovesse risalire il picco
del contagio la stagione turistica si interromperà immediatamente, innescando
un nuovo periodo di chiusura e vanificando quindi già ai primi caldi ogni
possibile ipotesi di conclusione della stagione.
Sarebbe dunque
ragionevole ipotizzare una sorta di “stagione intermedia” dotata di un alto livello di
sicurezza, sebbene causerà una diminuzione dei guadagni. Si deve considerare
che però i guadagni del settore turistico quest’anno saranno minori in ogni
caso: due mesi di quarantena hanno causato una tale flessione della stabilità
economica delle famiglie in tutto il continente che è assolutamente improbabile
che saranno in tanti a potersi permettere una vacanza.
Piuttosto che cercare di fare il volo di Icaro e sfracellarci dopo
il lancio, preferiamo volare basso ma andare lontano. Un progetto di chiusura dovrebbe
puntare sul turismo interno, tollerando una maggiore soglia di capienza per gli
esercizi che potranno accogliere più persone, seppur sempre tenendo validi e
rigorosi strumenti di sicurezza. Poter accogliere più persone di quelle
attualmente stabilite nei decreti avvantaggerebbe i commercianti; poter
frequentare serenamente locali in cui non ci siano persone contagiate
avvantaggerebbe tutti. L’alternativa sarebbe quella di fare il canto del cigno e tornare
tutti rinchiusi in casa entro giugno.
Per attuare questo tipo
di procedura la Regione, con al suo fianco tutto il settore economico e i
cittadini, dovrebbe imporsi e ottenere la proroga fino all’autunno per la
chiusura di porti e aeroporti, stabilendo un numero chiuso di entrate e sotto
rigorosissimi controlli, sia in partenza da fuori che all’arrivo in Sardegna.
Ad una situazione di apertura controllata corrisponderà un moderato
andamento economico della stagione, che pur contribuendo un po’ meno alle entrate regionali
(ricordiamo che le entrate della Regione corrispondono in grandissima parte
alle tasse pagate in loco), potrà pur sempre permettere alle nostre istituzioni
di aiutare le piccole e medie imprese per i mancati introiti e il lavoratori
stagionali danneggiati dalle mancate assunzioni.
In questa situazione il tessuto turistico locale soffrirà molto, ma potrà
continuare ad esistere e si riprenderà quando la situazione sarà superata, senza
correre il rischio di crollare e venire soppiantato dalle grandi
multinazionali. Piuttosto ci si dovrebbe chiedere a quale
mulino vuole portare acqua chi insiste a proporre di aprire tutto, anche se l’epidemia fuori dalla
Sardegna continua a correre.
Crediamo che allo stato
attuale non esistano ricette vincenti o soluzioni perfette, ma pensiamo che
sarebbe opportuno prendere in seria considerazione la rinuncia almeno per un
solo anno alla tradizionale idea di turismo, come anche autorevoli virologi sembrano
suggerire.
Ciò potrebbe
rappresentare un grande vantaggio per l’industria turistica sarda che
sopravvivrà alla catastrofe, ma sarà un grande vantaggio anche per la restante
economia sarda, che non è composta solo dal turismo e che non si ritroverà a dover
bloccare nuovamente tutto a causa di una forsennata gestione di un solo settore
dell’economia. L’economia infatti deve avere un andamento armonioso e non puntare
solo su un settore, tantomeno può pensare
di sacrificare tutti i settori per provare a garantirne uno solo per una sola
stagione.
Ricordiamo inoltre che la Sardegna paga da sola l’intera spesa sanitaria,
pertanto un nuovo contagio determinerebbe un nuovo grave blocco dell’economia
con una mancanza di entrate fiscali. A sua volta ciò causerebbe il crollo del
nostro sistema sanitario, che da solo consuma la metà del bilancio regionale,
avviando un catastrofico effetto domino che distruggerebbe l’intera Sardegna.
A questo punto tutti i Sardi dovrebbero chiedersi questo: preferiamo una
stagione turistica di tenore più basso e con un periodo di integrazioni sociali
per aziende e lavoratori svantaggiati, oppure corriamo il rischio di far
crollare la nostra intera economia e l’intera Sardegna per un solo mese di
falsa ripartenza?
Noi sappiamo cosa rispondere.
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