domenica 3 maggio 2020

La sentenza della strage di Piazza Fontana (e relativi entefatti). Di Vincenzo Maria D'Ascanio



(03 Maggio 2005) La corte di Cassazione emette la sentenza definitiva nel processo per la strage di piazza Fontana. Il solo colpevole, non punibile perché il reato nel frattempo è caduto in prescrizione, risulta Carlo Digilio, terrorista pentito di Ordine Nuovo. L’esplosione di una bomba nella sede della Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano (definita dalla stampa “la madre di tutte le stragi, perché inaugurerà la famigerata strategia della tensione), che il 12 dicembre del 1969 aveva provocato 17 morti e 85 feriti, resta così senza responsabili.

La questura di Milano indicò subito gli anarchici come responsabili dell'attentato e il 16 dicembre (lo stesso giorno in cui, durante un drammatico interrogatorio, morì misteriosamente nella questura di Milano l'anarchico Giuseppe Pinelli), sulla base di una pista predisposta e di una testimonianza suggestiva, veniva arrestato Pietro Valpreda con l'accusa di essere l'artefice della strage.

Solo col tempo, attraverso le indagini della magistratura e le inchieste giornalistiche, si seppe che la vicenda era sostanzialmente diversa e che gli attori provenivano dall'estrema destra neofascista; questa godette di particolari coperture istituzionali, dato che il disegno sovversivo consisteva essenzialmente nell'attribuire all'avversario politico le provocazioni ordite e messe in atto da questi settori. Con tale iniziativa si intendeva creare un clima che inducesse a isolare la sinistra presentandola come nemica della libertà e della civiltà onde poter giocare la carta di una "fisiologica" svolta a destra o forse, alternativamente, quella del colpo di Stato.

La "strategia della tensione" (come, all'indomani della strage, fu definito da un giornale britannico questo uso politico del terrore) fu a lungo presente nella storia e nelle cronache del Paese. In essa vi è chi ha intravisto il riflesso della condizione, tipicamente italiana, per cui l'opposizione politica era in larga parte costituita da un partito comunista, cioè da una forza ideologicamente e politicamente solidale con il blocco sovietico; ciò rendeva rischioso e problematico il ricambio di classe di governo tipico dei sistemi democratico-parlamentari e caricava la lotta politica di particolari tensioni istituzionali.

Antefatti

Milano, ore 16.37, 12 Dicembre del 1969. Una bomba esplode all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, nei pressi di Piazza Fontana. La deflagrazione uccide 17 persone e ne ferisce altre 88. Lo stesso giorno viene scoperta una bomba anche nella sede della Banca Commerciale Italiana, fortunatamente inesplosa. Altri tre ordigni esplodono a Roma ferendo 17 persone. La bomba inesplosa di Milano viene fatta successivamente brillare; in questo modo vengono distrutti elementi probatori fondamentali per risalire ai responsabili degli attentati.

Tutti i processi hanno circoscritto, senza il minimo dubbio, un gruppo di neofascisti come ideatori ed esecutori della strage: ma nessuno di loro è stato condannato. Di certo, a rileggere le carte giudiziarie col senno di poi, restano inspiegabili e irragionevoli le accuse all’anarchico Pietro Valpreda, individuato immediatamente da una certa stampa e dalle prime indagini come il responsabile dell’orrendo crimine. Allo stesso modo è drammatica la morte di un altro anarchico: Giuseppe Pinelli, che durante un interrogatorio per altro illegale, cade (non è stato accertato se sia stato spinto) da una finestra della questura di Milano per altro dalle finestre dell'ufficio politico diretto dal commissario Luigi Calabresi. Lo stesso Calabresi verrà ucciso sotto casa, sempre a Milano, in via Cherubini il 17 maggio del '72.

Da Milano il prefetto Libero Mazza, su segnalazione dall'Ufficio affari riservati del Viminale, avvisò il Presidente del Consiglio Mariano Rumor: «L'ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza le indagini verso gruppi anarcoidi». La sera stessa della strage, intervistato da Tv7, Indro Montanelli espresse dei dubbi sul coinvolgimento degli anarchici, e vent'anni dopo ribadì la sua tesi: «Io ho escluso immediatamente la responsabilità degli anarchici per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa...»

Nel 2009 il presidente Giorgio Napolitano invitò al Quirinale le vedove Pinelli e Calabresi: "Un passettino avanti verso la verità", disse Licia Pinelli. Purtroppo per lei, e per tutti noi, e sopratutto per la storia, non ha ancora avuto ragione. Sono innegabili alcuni "depistaggi", eseguiti da uomini di Stato durante le indagini sulle stragi, ma lo stesso Valpreda, rimasto in carcere innocente per più di tre anni, diceva: "Un tassista ha riconosciuto me, stanco e spettinato, tra alcuni agenti ben rasati e puliti, avvalorando le balle della polizia. Quasi subito è emersa la verità, e cioè che quella a Milano era una bomba dei gruppi fascisti d'accordo con i servizi segreti, nel quadro di un disegno europeo, ma bisognava trovare un colpevole di sinistra, e chi c'era di meglio di noi?"

Per la sua gravità e la sua rilevanza politica, la strage di Piazza Fontana divenne il momento più alto di un progetto eversivo diretto - come emerge dalle sentenze - a utilizzare il disordine e la paura per sbocchi di tipo autoritario, in ciò sostenuti - come è scritto nella Relazione della Commissione Stragi - da «accordi collusivi con apparati istituzionali».

Sono gli anni in cui cominciò ad essere più pressante la “strategia della tensione”, ovvero creare panico tra i cittadini, affinché questi domandassero una svolta autoritaria che avrebbe avuto come sbocco un governo di destra. Altri attentati terroristici furono compiuti in nome della strategia della tensione: attentato a Piazza della Loggia (Brescia); attentato al treno Italicus; vari attentati ai treni. Infine la strage col maggior numero di morti (82) quella nella stazione di Bologna, anche in questo eseguita da mano fascista.

Per quanto riguarda i processi, abbiamo avuto una vera e propria girandola di accuse, contraccuse, assoluzioni, condanne, ripensamenti. Alla fine, secondo la Cassazione, gli unici condannati definitivi furono l’organizzazione neofascista di “Ordine Nuovo”, i cui principali esecutori furono Franco Freda e Giovanni Ventura. Tuttavia entrambi non erano più imputabili, poiché erano stati considerati non colpevoli da una sentenza precedente dello stesso grado.

#vincenzomariadascanio


Nessun commento:

Posta un commento