La fama d’Ikaria (Gracia, mar Egeo) come
posto salutare risale a 25 anni fa, in quanto i greci vi avevano già fondato
delle benefiche fonti termali. Da un documento risalente al 1600, l’arcivescovo
Georginares riferiva al re Carlo II d’Inghilterra che l’isola era così salubre
che era molto facile incontrare dei centenari.
Dal punto di vista sociologico si dice che alla fine degli anni 40,
una volta conclusasi la guerra civile greca, il governo mandò sull’isola migliaia
di oppositori e comunisti. Oggi, il 40% degli Ikariotes vota il partito comunista greco, il KKE.
A Samos, a soltanto 19
chilometri dall’isola, c’ un mondo più sviluppato. Ci sono grattacieli, resort
e case da un milione di euro. A Samos ci si preoccupa per il danaro, mentre a
Ikaria non c’è questa preoccupazione. Durante i giorni festivi
e non, le persone mettono insieme i soldi per comprare il cibo e il vino. Se avanza ancora del denaro,
decidono di darlo ai poveri. Ikaria non è un posto dove non si dice “io”, ma si
dice “noi”.
A Ikaria tutte le reti sociali possibili vengono messe in azione: la politica intesa come partecipazione
alla vita pubblica, la famiglia dove più generazioni vivono sotto lo stesso
tetto e dove nessuno viene lasciato solo, la fede ortodossa che cementa la
comunità e gli amici che continuano a frequentarsi fra loro e uscire senza
limiti di età.
Come detto, a Ikaria
abbiamo un’alta percentuale di persone che superano i 90 anni, due volte e
mezzo rispetto a quella degli Stati Uniti, con un quarto di tasso di demenza
senile e una bassa incidenza di cancro e malattie cardiovascolari. Anche per
questo a Ikaria è possibile sentire delle storie come quella del signor
Stamatis, l’uomo che si è dimenticato di morire.
Nel 1943 Stamatis
Moraitis, ex soldato dell’esercito greco che combatté anche contro l’esercito
italiano, andò negli Stati Uniti perché doveva farsi curare un braccio. Era
riuscito a fuggire in Turchia e salire sulla “Quenn Elisabeth” che salpava alla
volta di New York.
Il signor Stamatis
Trovò sistemazione a Port Jefferson, dove si trovava una comunità di greci provenienti
dalla sua stessa isola. Nel frattempo sposò una greco-americana e si trasferì
nello Stato della Florida, dove la coppia ebbe tre figli.
Dopo trent’anni arrivò un giorno in cui Stamatis sentì stranamente
il fiato corto. Fare qualsiasi cosa
era diventato estremamente difficoltoso, così dovette abbandonare il suo lavoro
e cercare di comprendere cosa stava accadendo al suo fisico. Dopo aver
effettuato le analisi, il medico gli comunicò che aveva il cancro
ai polmoni, e alla stessa analisi
arrivarono altri nove dottori, che gli diedero altri nove mesi di vita. All’epoca
il signor Stamatis aveva una sessant’ina d’anni, correva l’anno 1976.
Inizialmente Stamatis
decise di restare negli Stati Uniti per individuare un ospedale adeguato per
trattare il cancro attraverso metodi aggressivi. In questo modo sarebbe rimasto
vicino ai figli, nati e cresciuti negli USA, che insieme alla moglie avrebbero
potuto aiutarlo durante la cura. Tuttavia, in seguito,
decise di ritornare sulla sua isola nell’Egeo: in questo modo sarebbe stato sepolto insieme alla
sua famiglia, inoltre avrebbe risparmiato molto sul conto del suo funerale, che
negli Stati Uniti gli sarebbe costato migliaia di dollari, mentre a Ikaria
soltanto 200.
Dunque Stamatis e sua
moglie Elpiniki ritornarono a Ikaria, e andarono ad abitare dai genitori del
malato, i signori Moraitis, che possedevano una piccola casa di color bianco
costruita in mezzo a due ettari di vigneto. L’abitazione si trovava nella zona
chiamata “Evdilos”, una delle zone più alte d’Ikaria.
Nelle prime settimane Stamatis stava male e trascorreva le proprie
giornate a letto, assistito dalla moglie. Giorno dopo giorno riscoprì la sua fede in Dio, tanto che
ogni domenica mattina cominciò a percorrere la strada che separava l’abitazione
dei genitori alla cappella greco-ortodossa che si trovava sulla cima della
collina.
Quando i suoi amici
d’infanzia scoprirono che era ritornato a casa, ogni pomeriggio andavano a
trovarlo, trascorrendo i pomeriggi a parlare per ore e accompagnando le loro discussioni
con alcune bottiglie di vino di produzione locale. Stamatis cominciò a scoprire
una felicità che lo aveva abbandonato, anche in ragione dello scoramento per la
sua malattia.
Passavano i mesi e accadde qualcosa di sorprendente, Stamatis non
solo si sentiva meglio, ma addirittura sentiva il corpo pervaso da una nuova
energia. Un pomeriggio gli
venne l’idea di piantare alcune verdure in giardino, anche se pensava che non
sarebbe sopravissuto sino a poterle raccoglierle. Tuttavia per lui era
piacevole starsene a lavorare sotto il sole, respirando l’aria che il vento
trasportava dal Mar Egeo.
Trascorse un anno e Stamatis era ancora vivo, si sentiva sempre
meglio e raccolse i frutti del proprio orto. Piuttosto, incentivato da quest’esperienza, decise di sistemare la
vigna della sua famiglia. Il ritmo della sua
vita si era trasformato, entrando a contatto con i ritmi dell’isola. Aveva
cominciato ad alzarsi senza fretta (intorno alle 11 del mattino) e senza
utilizzare più la sveglia, lavorare nell’orto o nella vigna sino a metà
pomeriggio, pranzare con alimenti sani dunque concedersi un riposo. La
sera la trascorreva con gli amici nella taverna: cena, vino e partita a domino
sino a dopo mezzanotte.
Questa routine ha
accompagnato Stamatis per anni, mentre la sua salute continuava a migliorare.
Intanto aveva aggiunto altre due camere all’abitazione dei genitori, affinché anche
i suoi figli potessero venire dagli Stati Uniti e stare insieme a lui.
Attualmente Stamatis ha quasi cent’anni e, cosa incredibile, è
completamente guarito dal cancro. Qualche anno fa è ritornato negli Stati Uniti per spiegare
quanto era accaduto ai suoi medici che gli avevano diagnosticato il cancro, ma
non è riuscito a parlarci perché erano tutti morti. Purtroppo anche sua moglie
Elpiniki è morta questa primavera, lei aveva 85 anni. Stamatis
è il testimone vivente di un’incredibile guarigione dal cancro, per altro
avvenuta senza l’utilizzo di farmaci e senza chemioterapia. La sua salvezza è stata quella di
ritornare a casa, a Ikaria.
Di Vincenzo Maria D'Ascanio
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