mercoledì 6 maggio 2020

Regolarizzare per dare dignità umana ai nuovi schiavi di casa nostra. Di Giovanni Maria – Mimmia Fresu.

Non chiamatela regolarizzazione degli immigrati irregolari. Chiamatela 13° emendamento, USA 1865: abolizione della schiavitù. In Italia sono presenti oltre 650mila irregolari. Rimpatriamoli, dice l’ignorante che crede a Salvini. Ma essendo ignorante non sa che per rimpatriarli tutti, alla media di 7000 l’anno, al costo variabile tra 3000 e 5000 euro (occorrono due agenti per ogni immigrato), per un ammontare dai 20 ai 34 milioni di € l’anno, ci vorrebbero 87 anni; ma senza accordi bilaterali con i paesi di provenienza, non si rimpatria nessuno. Ah, Salvini in un solo anno ne ha rimpatriati 3851, meno di quelli rimpatriati l’anno prima da Minniti, 3968. Lo aveva già detto Mattarella due anni fa: I migranti sono la nuova schiavitù.

La Coldiretti, ad aprile, aveva lamentato un fabbisogno di manodopera di 250mila braccianti agricoli, ma le fragole, asparagi e altri prodotti stagionali sono rimasti a marcire sul terreno. Al nostro quotidiano Made in Italy sulla tavola provvedono circa 500mila cittadini stranieri, (gli altri irregolari sono colf, badanti e baby sitter) la maggior parte africani, ma anche polacchi, rumeni e bulgari.

Costretti a vivere in baracche di lamiera e plastica, senza acqua corrente, né elettricità, come gli schiavi raccoglitori di cotone e tabacco nella Luisiana e Virginia del 17°/19° secolo. I Kunta Kinte d'Italia sono pagati, si fa per dire, meno di 4€ l’ora e fino a 14 ore di lavoro al giorno, di cui una parte glieli porta via il “caporale”, paga pure l’acqua che beve e se vuole ricaricare la batteria del telefono sono altri 0,50 centesimi tondi tondi. Vittime dei malavitosi e le donne abusate e avviate alla prostituzione, per i minori c’è un girone a parte.

Questo inferno è conosciuto da un decennio, ma è accettato da tutti, salvo sporadiche eccezioni, perché sostiene il settore agroalimentare quasi gratis, e porta voti nel mezzogiorno a chi, dicendo fuori gli irregolari, chiude gli occhi sul loro criminale utilizzo garantendo che nulla cambi, per la gioia delle agromafie.

Regolarizzazione significa riconoscerne lo status di lavoratori e la dignità come persone. Significa garantirli con contratti di lavoro, dare loro il diritto all’assistenza sanitaria e infortunistica, che adesso, anche in pieno coronavirus, non hanno. Significa togliere manovalanza alla malavita, combattere sfruttamento e ogni altra forma di abuso. Significa riconoscerli come esseri umani. Sarebbe un atto di civiltà.

Giovanni Maria – Mimmia Fresu.
Giornalista pubblicista. Consulente politiche sociali e immigrazione.

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