«Se dal punto di vista del vantaggio
competitivo si vuole fare la differenza puntando sull'essere un'Isola
Covid-free, non ci siamo».
Perché?
«Lo dicono gli esperti: non è
possibile. E' più importante invece comunicare, raccontando ciò che abbiamo di
unico in Sardegna, e lo si deve fare subito con una grande campagna, anche
sulle testate nazionali e internazionali».
In questo
momento?
«A maggior ragione. Intanto abbiamo
un bacino di clientela affezionata, fidelizzata, con la quale bisogna mantenere
la relazione. Come l'albergo che manda gli auguri di Pasqua e Natale ai suoi clienti,
così un territorio deve ricordare a chi lo ha già apprezzato, e dire a chi lo
apprezzerà in futuro, di essere unico, con una natura perlopiù incontaminata e
paesaggi dove praticare attività all'aria aperta. Si deve mantenere alto il
desiderio. Altrimenti succede come nella relazione di coppia: se non è alimentata
da un rapporto continuo, finisce».
Le piace
l'idea del passaporto sanitario per i turisti?
«E' un autogol, non aiuta. Questi
provvedimenti hanno senso se adottati in una dimensione
ampia, almeno di Unione Europea. Tra l'altro proprio a livello
comunitario si discute dell'idea di utilizzare l'Rt (l'indice di
contagio, ndr) come criterio per identificare i territori, e
quindi gli spostamenti, dividendoli tra sicuri e meno sicuri».
Giuseppe
Melis, docente di Marketing dell'Università di Cagliari, avverte che per
sostenere la filiera del turismo intanto è necessario evitare «messaggi
controproducenti e contradditori».
Il
passaporto sanitario non è l'unico messaggio sbagliato?
«A livello istituzionale è stato
detto anche che siamo un'Isola dove, se i contagi dovessero moltiplicarsi, non
saremmo in grado di gestirli. Non va bene, intanto perché il nostro sistema
sanitario, pur con tutti i limiti, ha dimostrato di essere di ottimo livello.
In secondo luogo, l'offerta turistica non può prescindere dalla qualità dei
servizi di un territorio: dobbiamo avere un sistema sanitario efficiente,
pensato anche in funzione della popolazione fluttuante, non solo dei
residenti».
Come
dovremmo impostare la nostra comunicazione?
«Io inviterei la gente a venire in Sardegna
dicendo che anche qui abbiamo gli stessi protocolli di sicurezza adottati
altrove, perché non è che gli altri in Italia e nel mondo siano meglio o
peggio. Tutti ci si sta organizzando facendo quello che oggi la scienza
permette di fare, cercando di investire utilizzando tecnologie e risorse a
disposizione. Ma è fondamentale comunicare la nostra voglia di accogliere gente
in condizioni di sicurezza».
La
distanza fisica sarà la regola.
«La Sardegna è riconosciuta come il
territorio ideale per le attività all'aperto: cicloturismo, trekking,
arrampicata. E' la terra dei grandi spazi, pensiamo alle zone interne, alla
montagna, ai borghi. Quanto alle spiagge, sono talmente tante e vaste che il
problema della distanza si può risolvere. Ad esempio con il contapersone per regolare
gli ingressi. E' una tecnologia sulla quale investire...».
Come?
«Le risorse ci sono, le competenze
pure, ma ci deve essere una regia che condivide questo sistema informativo. Se
si ragiona in un'ottica di bene comune i problemi si risolvono».
Gli
imprenditori del comparto sono sfiduciati e chiedono un sostegno.
«Hanno ragione visto che parliamo di
risorse disponibili e non è giusto tenerle ferme. Anche la Regione ha un
programma di fondi comunitari: i bandi li stanno facendo? Su quali linee di finanziamento?
C'è un lavoro gigantesco da fare».
Si può
continuare a fare impresa nel turismo?
«Pensare che si riuscirà a
recuperare una stagione è impossibile, riuscire a tamponare al minimo i danni è
invece una prospettiva che si può perseguire, a patto però che ci sia un
concorso di azioni a livello istituzionale non solo in tema di sostegno alle
imprese, ma anche di messaggi chiari e tali da non incutere paura».
Come li
riduce i danni un'impresa?
«Ci sono i cicli economici negativi
dove è un successo riuscire a perdere il meno possibile. Sarà fondamentale
dimostrare di essersi organizzati, di garantire la distanza fisica e i
dispositivi di protezione. Tutti noi, nella scelta della destinazione,
valuteremo questi aspetti».
Per
garantire la distanza si stanno perdendo clienti.
«E' ovvio che ci sarà una perdita di
ricavi: pensiamo al ristorante che deve dimezzare il numero dei coperti. Però
il ristorante che perde clienti negli orari canonici del pranzo e della cena finora
non aveva previsto la possibilità di differenziare il servizio proponendo il brunch
o l'orario prolungato. Servono elasticità e creatività».
Piera
Serusi
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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