mercoledì 27 maggio 2020

«Isola Covid-free? Sbagliato Meglio ricordare al mondo le bellezze della Sardegna»



«Se dal punto di vista del vantaggio competitivo si vuole fare la differenza puntando sull'essere un'Isola Covid-free, non ci siamo».
Perché?
«Lo dicono gli esperti: non è possibile. E' più importante invece comunicare, raccontando ciò che abbiamo di unico in Sardegna, e lo si deve fare subito con una grande campagna, anche sulle testate nazionali e internazionali».
In questo momento?
«A maggior ragione. Intanto abbiamo un bacino di clientela affezionata, fidelizzata, con la quale bisogna mantenere la relazione. Come l'albergo che manda gli auguri di Pasqua e Natale ai suoi clienti, così un territorio deve ricordare a chi lo ha già apprezzato, e dire a chi lo apprezzerà in futuro, di essere unico, con una natura perlopiù incontaminata e paesaggi dove praticare attività all'aria aperta. Si deve mantenere alto il desiderio. Altrimenti succede come nella relazione di coppia: se non è alimentata da un rapporto continuo, finisce».
Le piace l'idea del passaporto sanitario per i turisti?
«E' un autogol, non aiuta. Questi provvedimenti hanno senso se adottati in una dimensione ampia, almeno di Unione Europea. Tra l'altro proprio a livello comunitario si discute dell'idea di utilizzare l'Rt (l'indice di contagio, ndr) come criterio per identificare i territori, e quindi gli spostamenti, dividendoli tra sicuri e meno sicuri».

Giuseppe Melis, docente di Marketing dell'Università di Cagliari, avverte che per sostenere la filiera del turismo intanto è necessario evitare «messaggi controproducenti e contradditori».

Il passaporto sanitario non è l'unico messaggio sbagliato?
«A livello istituzionale è stato detto anche che siamo un'Isola dove, se i contagi dovessero moltiplicarsi, non saremmo in grado di gestirli. Non va bene, intanto perché il nostro sistema sanitario, pur con tutti i limiti, ha dimostrato di essere di ottimo livello. In secondo luogo, l'offerta turistica non può prescindere dalla qualità dei servizi di un territorio: dobbiamo avere un sistema sanitario efficiente, pensato anche in funzione della popolazione fluttuante, non solo dei residenti».
Come dovremmo impostare la nostra comunicazione?
«Io inviterei la gente a venire in Sardegna dicendo che anche qui abbiamo gli stessi protocolli di sicurezza adottati altrove, perché non è che gli altri in Italia e nel mondo siano meglio o peggio. Tutti ci si sta organizzando facendo quello che oggi la scienza permette di fare, cercando di investire utilizzando tecnologie e risorse a disposizione. Ma è fondamentale comunicare la nostra voglia di accogliere gente in condizioni di sicurezza».
La distanza fisica sarà la regola.
«La Sardegna è riconosciuta come il territorio ideale per le attività all'aperto: cicloturismo, trekking, arrampicata. E' la terra dei grandi spazi, pensiamo alle zone interne, alla montagna, ai borghi. Quanto alle spiagge, sono talmente tante e vaste che il problema della distanza si può risolvere. Ad esempio con il contapersone per regolare gli ingressi. E' una tecnologia sulla quale investire...».
Come?
«Le risorse ci sono, le competenze pure, ma ci deve essere una regia che condivide questo sistema informativo. Se si ragiona in un'ottica di bene comune i problemi si risolvono».
Gli imprenditori del comparto sono sfiduciati e chiedono un sostegno.
«Hanno ragione visto che parliamo di risorse disponibili e non è giusto tenerle ferme. Anche la Regione ha un programma di fondi comunitari: i bandi li stanno facendo? Su quali linee di finanziamento? C'è un lavoro gigantesco da fare».
Si può continuare a fare impresa nel turismo?
«Pensare che si riuscirà a recuperare una stagione è impossibile, riuscire a tamponare al minimo i danni è invece una prospettiva che si può perseguire, a patto però che ci sia un concorso di azioni a livello istituzionale non solo in tema di sostegno alle imprese, ma anche di messaggi chiari e tali da non incutere paura».
Come li riduce i danni un'impresa?
«Ci sono i cicli economici negativi dove è un successo riuscire a perdere il meno possibile. Sarà fondamentale dimostrare di essersi organizzati, di garantire la distanza fisica e i dispositivi di protezione. Tutti noi, nella scelta della destinazione, valuteremo questi aspetti».
Per garantire la distanza si stanno perdendo clienti.
«E' ovvio che ci sarà una perdita di ricavi: pensiamo al ristorante che deve dimezzare il numero dei coperti. Però il ristorante che perde clienti negli orari canonici del pranzo e della cena finora non aveva previsto la possibilità di differenziare il servizio proponendo il brunch o l'orario prolungato. Servono elasticità e creatività».


Piera Serusi


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Federico Marini
skype: federico1970ca


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