Ricorreva ieri 18
maggio il 162° anniversario della nascita dell'Autore di "Su
patriota sardu a sos feudatarios": adottato il 28 aprile del 2018, dal Consiglio
regionale, come Inno ufficiale della Sardegna.
Francesco Ignazio Mannu nasce
a Ozieri (Sassari) il 18 Maggio del 1758 da Michele e Margherita. Frequenta l’Università di Sassari
ed il 6 Febbraio del 1783, consegue la laurea in leggi e subito dopo si
trasferisce a Cagliari per esercitarvi la professione di procuratore
legale. Intellettuale
proveniente dalla piccola nobiltà rurale, membro attivo dello stamento
militare, è seguace di Giovanni Maria Angioy ed ha un ruolo importante nel
triennio rivoluzionario e antifeudale (1793-96).
È ricordato nella storia e dunque deve la sua fama all’Inno Su patriota sardu a sos feudatarios, un
volumetto di 12 pagine. L’edizione critica del
testo fu curata da Raffa Garzia ed edito nel volume Il canto di una
rivoluzione, Appunti di storia e storia letteraria sarda (Tipografia
dell’Unione sarda, Cagliari 1809) . “La tradizione – scrive lo
storico sardo Luciano Carta – vuole che l'inno sia stato stampato
clandestinamente in Corsica nel pieno della lotta antifeudale.
R. Garzia, codificando
una consolidata tradizione ottocentesca, volle ribattezzare l'inno come la
«Marsigliese sarda», attribuendogli significati e valenze di carattere
democratico e giacobino. L'Inno ripercorre, con toni duramente polemici, le principali
vicende del «triennio rivoluzionario», denunciando il tradimento della «sarda rivoluzione» da parte
di coloro che, per interesse personale e di parte, ne avevano abbandonato
l'originaria ispirazione e vanificato quel progetto di riforma politica e
sociale, da realizzare.
L’Inno è un lungo e complesso carme in sardo logudorese, di 47
ottave in ottonari –modellato sui gosos, inni di origine spagnola che nella
tradizione religiosa locale venivano cantati in onore dei santi, per un totale di 376 versi in cui ripercorre le vicende
di un momento cruciale della storia della Sardegna contemporanea: il periodo
del triennio rivoluzionario sardo (1793-96) – che la ricerca
storica più recente indica come l’alba della Sardegna contemporanea – anni
drammatici, di profondissimi sconvolgimenti e di grandi speranze in cui il
popolo sardo – oppresso da un intollerabile regime feudale – riuscì
a esprimere in modo corale le sue rivendicazioni di autonomia politica e di
riforma sociale.
L’inno è legato dunque ai momenti più
fervidi della rivolta dei vassalli contro i feudatari, quando
alla fine del secolo XVIII i Sardi, acquistata coscienza del loro valore contro i Francesi del
generale Troguet, vollero spezzare il giogo dei baroni e dei Piemontesi e reclamarono
per sé libertà e giustizia. Esso è dunque imbevuto del diritto naturale della “bona filosofia”
illuminista e delle letture degli enciclopedisti francesi: Diderot,
Montesquieu, Rousseau.
Si tratta dunque di un terribile giambo contro i feudatari, anzi, più che un
giambo il suo doveva essere un canto di marcia, una vibrata e ardente
requisitoria contro le prepotenze feudali, animata dall’inizio alla fine da
un’ira violenta. L’andamento della strofa è concitato e commosso, il contrasto fra
l’ozio beato dei feudatari e la vita misera dei vassalli è rappresentata con
crudezza: l’inno però, più
oratorio che canto, raramente viene trasfigurato in una superiore visione
poetica. Comunque dopo tanta arcadia è una voce schietta, maschia e vigorosa e
come tale sarà destinato ad avere una enorme risonanza, tanto da diventare il
simbolo stesso della sollevazione contro i baroni e da essere declamata dai
vassalli in rivolta a guisa di “Marsigliese sarda”.
L’inno – che sotto il profilo linguistico, si articola su
due livelli, uno alto e uno popolare – non è sardo solo nella lingua,
ma anche nel repertorio concettuale e simbolico che utilizza. Infatti, anche se, come abbiamo
visto, rappresenta un esplicito veicolo di cultura democratica d’oltralpe, esso
è un primo esempio di discorso altrui divenuto autenticamente discorso sardo.
La tradizione letteraria e musicale della Sardegna non offre molti canti
patriottici. Dello stesso Inno sardo Cunservet Deus su re (Conservi Dio il re),
che ricalca almeno nel titolo l’inno nazionale inglese, composto da Vittorio
Angius nel 1844 e musicato dal maestro Giovanni Gonella, in voga tra i soldati
dei reggimenti sardi fino alla Prima Guerra, oggi si conserva appena il
ricordo.
A un solo componimento i Sardi, almeno a partire dalla fine del
XVIII secolo, hanno riconosciuto dignità di canto patriottico, attraverso il
quale esprimere il sentimento di ribellione contro le ingiustizie e per una
società più equa: è Su patriota sardu a sos feudatarios di Mannu.
Sono stati numerosi gli artisti – sardi e non – che lo
hanno musicato, inciso e cantato: da ricordare fra gli altri i Cori di Orgosolo
e di Nuoro; i cantanti Peppino Marotto, Anna Maria Puggioni e Maria Carta, Anna
Loddo e Franco Madau; i Gruppi dei Cordas e Cannas, dei Tazenda ma anche il
gruppo siciliano Kunsertu e il canzoniere del Lazio.
Nel 2000 i tenores di Neoneli incidevano un CD “Barones” cui partecipano noti personaggi del
panorama musicale italiano che interpreteranno 17 delle 47 strofe dell’Inno: da
Francesco Baccini a Angelo Branduardi, da Francesco Guccini a Luciano Ligabue e
Elio delle Storie Tese.
Di Francesco Casula
Saggista, storico della letteratura sarda
autore del libro, tra gli altri, de
“Carlo Felice e i tiranni sabaudi”
*L’articolo è tratto dal sito “indielibri.info”
Nessun commento:
Posta un commento