venerdì 17 luglio 2020

Ricordo delle mie vendemmie. Di Vincenzo Maria D’Ascanio.



Durante l’Estate eravamo soliti piazzare la tenda al mare. Non ne piazzavamo solo una, ma due o tre, per motivi discutibili o semplicemente irreali. Potevamo resistere anche per tre mesi poi l’Estate finiva, almeno per me, quando cominciava la preparazione della squadra. Tutto assumeva una patina di malinconia, partivano gli amici delle varie regioni, di Cagliari e sopratutto gli inglesi, contro cui avevamo giocato feroci partite sulla sabbia durante pomeriggi infiniti e torridi..

In quello stesso periodo cominciavano le vendemmie, che a Jerzu sono quasi come un rito sacro, a cui è impossibile sottrarsi. Innanzitutto dovevi affrontare quella dei parenti, dove andavi da quando eri poco più di un bambino. Poi c’erano le vendemmie bollate come "serie", quelle in cui eri pagato, e potevi dormire anche in campagna. Infine c’erano le vendemmie pazze, ovvero quelle dove si andava a vendemmiare due filari in quindici e si finiva spesso a trascorrere la vendemmia sotto un filare, a bere, giocare e rinfrescarsi. Nessuno poteva giudicarti per questo. Era così e basta.


Il momento più allucinante della vendemmia era la mattina presto. Con la testa dolorante dalla sera precedente ci ritrovavo in meno di mezz'ora con le forbici in mano a odiare il mondo. In particolare erano evitate le persone che parlavano troppo: la mattina, almeno nei nostri filari, c’era un silenzio assoluto. Poi si odiava il primo trasporto di uva, perché eri ancora scioccato e non riuscivi a pensare. Verso le dieci infine ti svegliavi, e la giornata diventava in un certo senso anche gradevole. Quella era l’ora in cui si “ustava”, ovvero si faceva una pausa di circa mezz’ora dove cominciavano a circolare le tazze di vino, di birra ecc... Dopo arrivavano le guerriglie con la "scallonina," ovvero con l’uva ancora verde. Quando magari eri sovrappensiero potevano arrivarti sul collo delle vere e proprie bordate di questa roba, che avevano la compattezza della pietra. Un altro classico scherzo era quello della bomboniera. Si prendeva un cadino (il cesto per raccogliere l’uva tagliata) e lo si riempiva all'inverosimile, anche schiacciando l’uva con i piedi. Il malcapitato quando la prendeva rischiava di slogarsi qualcosa, gli altri attendevano il momento nascosti, solo per vedere la sua faccia mentre chiamava in causa alcuni dei santi più importanti.


La giornata lavorativa terminava verso le diciassette. Allora dovevo arrivare a casa, lavarmi, fare gli allenamenti, rilavarmi, ritornare al mare e dormire nella tenda, dove mi aspettavano gli amici. Dopo cena accendevamo un falò e arrivavano gli altri. Se avevo la macchina potevo anche decidere di dormire con gli altri, la stanchezza era davvero tanta ma nell'ordine c’erano due problemi. Primo fra tutte le zanzare, che arrivavano immediatamente e ci pungevano nonostante i nostri mille accorgimenti. Il secondo problema erano le mucche che si avvicinavano troppo alla tenda: una notte ne trovammo una all'interno, e non era un bello spettacolo.


L’indomani mattina nuovo giro nuova corsa, a sperare che il sole non fosse troppo impietoso.


Di Vincenzo Maria D’Ascanio

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