(20 Luglio
1995) Giulio Andreotti è rinviato a giudizio con l’accusa di essere il mandante
dell’assassinio di Mino Pecorelli giornalista, avvocato e scrittore italiano
A distanza di quaranta anni dal sequestro e dell’omicidio di Aldo
Moro, avvenuto nel 1978, ancora emergono delle verità. Perché i 55 giorni di prigionia di
Moro non sono una dolorosa parentesi della storia repubblicana, ma
rappresentano un tassello fondamentale del quadro ben più ampio della guerra civile che
si è consumata in l’Italia negli anni che vanno dalla strage di piazza
Fontana, a Milano nel dicembre 1969, fino all’omicidio del generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa a Palermo nel settembre 1982. Con seguiti che si sono
poi trascinati fino almeno al 1986 con l’assassinio di Michele Sindona,
ucciso con un caffè al cianuro nella sua cella nel carcere di Voghera.
Una lunga scia di sangue e segreti di
Stato e dallo Stato pilotati, insabbiati, resi impossibili da accertare.
Gli scaffali delle
librerie negli ultimi mesi si sono riempiti di testi dedicati a quei tragici 55
giorni ma pochi, pochissimi, hanno ampliato la prospettiva,
inquadrato il contesto storico, il prima e il dopo. Tra i pochissimi ce n’è uno
in particolare che merita molta attenzione. Lo ha pubblicato la Morlacchi editore,
una minuscola casa editrice di Perugia, nel febbraio 2018 e in questi mesi
si è fatto spazio tra i giganti solo grazie al passaparola. Il titolo poco o nulla sembra avere a che
fare con quei grandi segreti celati dallo Stato: Il Divo e il giornalista.
Sottotitolo: “Giulio Andreotti e l’omicidio di Carmine Pecorelli:
frammenti di un processo dimenticato”. Andando oltre la copertina, nelle
quasi 400 pagine che lo compongono è ricostruito proprio quel decennio buio della
Repubblica.
Tutti documenti che sono confluiti al tribunale di Perugia durante il processo
per l’omicidio di Carmine Pecorelli, giornalista direttore di Op ucciso
la sera del 20 marzo 1979 con quattro colpi di pistola. E
ovviamente il nome dell’omicida è rimasto un segreto. Sul banco degli
imputati venne trascinato come mandante Giulio Andreotti, come autore
materiale Massimo Carminati più altri. Il processo inizia nel 1996 e in primo grado, nel settembre 1999, tutti
assolti. In appello, tre anni dopo, Badalamenti e Andreotti sono stati
condannati a 24 anni di carcere per l’omicidio. Infine la Cassazione,
nell’ottobre 2003, ha annullato senza rinvio la sentenza di appello.
Dal 1979 in poi chi si è occupato da
vicino dell’omicidio Pecorelli ha sempre sostenuto che non si è mai
riusciti ad arrivare ai responsabili per “eccesso di moventi”.
Il direttore del periodico Op, infatti, non era un semplice giornalista:
era “uno spregiudicato e scanzonato avventuriero della notizia”, per usare
la descrizione compiuta da Cardella durante la sua requisitoria. Pecorelli
ha pubblicato articoli, servizi e inchieste esclusive spesso in anticipo anche
di decenni.
Ha svelato il caso Italcasse, il dossier Mifobiali, persino
i maneggi finanziari dell’allora anonimo ai più imprenditore milanese Silvio
Berlusconi: ne scrisse nel 1978. Scrisse dell’interessamento di frange dei
servizi segreti deviati per far fuggire Guido Giannettini dopo
l’attentato di piazza Fontana E molto altro ancora: Licio Gelli e la
P2, il fantomatico “elenco dei mille” che avevano usato Sindona per
portare illegalmente capitali all’estero, gli
assegni con cui Andreotti – che fu Pecorelli a soprannominare il Divo –
aveva girato dei fondi ritenuti illeciti ad alcune società tra cui una
riconducibile al membro della banda della Magliana, Domenico Balducci.
Ma
soprattutto pubblicò per primo
l’indirizzo del covo in cui le Br tenevano Moro, scrisse che il volantino
numero 7 con l’indicazione del lago della Duchessa come luogo
dove trovare il cadavere di Moro era falso e creato ad arte dai servizi segreti
italiani su suggerimento della Cia per vagliare la reazione
dell’opinione pubblica di fronte all’omicidio di Moro, in quel momento ancora
in vita. Scrisse che in via Fani con
i brigatisti c’erano pezzi dello Stato e della criminalità organizzata.
Di Moro pubblicò stralci del suo memoriale e lettere che vennero
ritrovati solamente nel 1990 in via Montenevoso.
Insomma: Pecorelli aveva informazioni riservate, riservatissime e le
pubblicava. Per questo è stato ammazzato. Da chi non si sa. Seppure
leggendo il libro di Guadagno e Fiorucci si arriva a più di qualche idea.
Purtroppo però per la giustizia Pecorelli è stato ucciso ma è stato
ucciso da nessuno. Qualcuno però sa. Come ha detto Cardella sempre nella requisitoria:
“Poche, pochissime persone, se solo avessero voluto, avrebbero potuto
raccontarci la dinamica di interessi e di rapporti personali che ha
condotto alla deliberazione e all’attuazione dell’omicidio. Quella dinamica è
stata ricostruita con grande fatica, aprendo qua e là i necessari spiragli,
in un muro di silenzi complici o timorosi o interessati, di bugie e mezze
verità”. Insomma, anche il caso Pecorelli è uno dei tanti misteri italiani, uno
di quei misteri in cui i fatti sono insabbiati, e dove si alza quel “muro di
gomma” dove le domande sembrano rimbalzare.
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