Il cambio di
normativa che danneggia 5 Dop sarde al centro di un incontro online L'esperto:
«Ora Alicante e Gamay potrebbero usare il nome del nostro vitigno»
Giù le mani dal Cannonau. E dal
Nuragus di Cagliari, il Nasco, il Semidano e il Girò. Questa può essere la
sintesi della partecipata tavola rotonda via web organizzata ieri
dall'Assoenologi Sardegna dal titolo "Adeguamento normative comunitarie e
possibili ricadute sui vini a denominazione di origine protetta della
Sardegna". A creare la mobilitazione
del mondo del vino isolano (mai tanto compatto prima d'ora) è una norma europea
che, se venisse accettata, consentirebbe ad altre regioni d'Italia di
utilizzare i nomi di alcuni vitigni tipici della Sardegna per etichettare vini
prodotti fuori dall'isola.
Ma come?
- si potrebbe obbiettare - se quei vitigni godono di una denominazione di
tutela, perché non sono più protetti? Lo ha spiegato Antonio Rossi del servizio
giuridico e normativo dell'Unione italiana Vini. Tutto nasce dall'adeguamento
del decreto ministeriale del 13 agosto 2012 al nuovo regolamento Ue 33/2019 e
alla legge 238/2016 che comporta in particolare la modifica dell'allegato 1
contenente l'elenco delle varietà di vite o sinonimi distintivi costituenti una
Dop.
Prevedeva
la dicitura "La protezione si
applica al nome intero, compresi i suoi elementi costitutivi, purché siano di
per se distintivi. Non sono protetti
gli elementi non distintivi o generici di una Dop o di una Igp". Il
nuovo regolamento non riporta più questa frase e quindi il ministero delle
politiche agricole ha ritenuto di eliminare dall'elenco 20 Dop (sino a ieri
erano 11) tra le quali 5 sarde: Cannonau di Sardegna, Nuragus di Cagliari,
Nasco di Cagliari, Girò di Cagliari e Sardegna Semidano.
Quelle
Dop non saranno più blindate, ma i vitigni che ne fanno parte potranno essere
utilizzati in altri territori e nelle indicazioni in etichetta dei vini
prodotti in questi territori al di fuori della nostra isola. Rischio che corrono
anche il Sagrantino di Montefalco e l'Albana di Romagna. «In pratica - ha precisato Rossi per quanto riguarda il caso Sardegna -
poiché, per esempio, l'Alicante della Maremma è stato registrato anche col
sinonimo di Cannonau, quel vino toscano può essere etichettato come Cannonau
della Maremma».
Lo stesso potrebbero fare anche il produttori del Gamay del Trasimeno, con
buona pace di quanti anche ieri hanno ribadito come il Cannonau non sia solo un
vitigno autocto, ma identifichi la Sardegna da secoli. «Almeno dal 1500 - ha detto ieri Gianni Lovicu dell'agenzia Agris, uno dei
più autorevoli studiosi dell'enologia sarda - La Garnacha spagnola, invece,
compare più di un secolo dopo».
Ma
sulla specificità del vino-bandiera dell'isola sono intervenuti tutti, dal
professor Gianni Nieddu dell'università di Sassari ai presidenti dei consorzi
di tutela dei vini sardi, i rappresentanti di Laore, il presidente
dell'Associazione sommelier Sardegna, Roberto Dessanti, Piero Tandeddu di
Copagri e il presidente dell'Unione italiana Vini secondo il quale ci sarebbero
i termini per poter vincere questa battaglia.
Intanto domani al ministero delle politiche agricole è previsto un incontro
che precisa meglio i termini normativi del problema. Dopo, la parola definitiva spetterà alla conferenza Stato-Regioni. Ma, è
stato ribadito ieri da più parti, la partita ora diventa politica e richiede
una dura presa di posizione della Regione Sardegna. Quanto è successo in Puglia per il caso del Primitivo, che rischiava di
essere scippato dalla Sicilia, insegna che la battaglia per difendere i vini
identitari si può giocare e vincere.
di Pasquale Porcu
Articolo tratto dalla “Nuova
Sardegna” del 22 Luglio 2020
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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