giovedì 9 luglio 2020

Per ricordarci chi erano i Savoia. Di Lucia Chessa



Dopo averlo a lungo promesso ed annunciato, scende in campo come fosse un campione, Emanuele Filiberto, il rampollo di casa Savoia e dunque, teoricamente, l’erede al trono d’Italia. Il suo movimento-partito-associazione, insomma lo strumento attraverso il quale a stretto giro vi chiederà il voto, si chiama Realtà Italia, come a richiamare un ruolo ed una storia che evidentemente lui ritiene prestigiosa e degna di favore e di attenzioni.

I Savoia furono esiliati dall’Italia alla fine della seconda guerra mondiale, collusi fino al collo con il fascismo a partire dalla marcia su Roma e fino a tutte le malefatte di Mussolini. Fuggirono senza onore, senza responsabilità e senza dignità, al momento della resa dell’Italia, senza farsi scrupolo di lasciarla in balia delle feroci rappresaglie tedesche e della vincente, e violenta, avanzata degli alleati.

I Savoia erano diventati Re nel Settecento. Erano duchi fino a quel momento, ma acquisendo il Regno di Sardegna diventarono Re e questo è l’unico motivo per il quale accettarono noi, merce di scambio in una contesa internazionale, considerandoci sempre colonia da reprimere e depredare nell’esclusivo interesse di Torino e del Piemonte. Eravamo Regno di Sardegna, e attraverso loro diventammo prima Regno Sardo-Piemontese, e infine Regno d’Italia in un progressivo processo di diminuzione di risorse, di riconoscimento e di dignità.

Il centro del Regno d’Italia, in quel tempo cruciale in cui in tutta Europa avanzava l’industria, la crescita economica, le ferrovie, le infrastrutture fu sempre Torino, il Piemonte e, a seguire, tutto il nord Italia con gli interessi del meridione asserviti e sacrificati allo sviluppo dell’economia padana. E poiché come spesso accade dopo il danno c’è la beffa, nel frattempo della rapina, si andava costruendo la narrazione del nord operoso e lavoratore contrapposto al sud fannullone, sprecone e delinquente che vive alle spalle del settentrione, della sua fatica e della sua efficienza.

Narrazione che, ripresa alla grande dalla Lega prima di Bossi e poi di Salvini, è arrivata fino a noi condita per giunta da quegli spunti di razzismo interno che racconta di terroni, di Roma ladrona, di forza Vesuvio, di Napoli colera, di Sardegna alla quale ogni qualunque mediocre Briatore si sente in grado di suggerire ricette di sviluppo e di improbabile benessere li a portata di mano. E’ stato sufficiente un leggero maquillage per far dimenticare gli insulti leghisti al meridione e alla Sardegna. Come stupirsi se domani anche il giovane Savoia, laureato in “Ballando con le Stelle” raccoglierà i suoi entusiastici consensi? Mai dire mai.

Lucia Chessa

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