Proprio in questi giorni del Luglio 2001 andai a
Genova. Dovevo lavorare per la stagione estiva, ma volevo partecipare al G8 di
Genova. Ero curioso, i giornali ne parlavano
da diverso tempo e la tensione si stava alzando ma non potevo prevedere che
sarebbe accaduto l'irreparabile. Avevo già partecipato ad altre manifestazioni,
ma nessuna aveva avuto il carico di tensione di quel G8, e sopratutto nessuna
era mai stata di quella portata.
Non eravamo in tanti, la manifestazione
era cominciata il giorno precedente. Tuttavia, tra i compagni della nave circolava una voce sempre più insistente, di
cui non si comprendevano gli esatti contorni: era stato ucciso un ragazzo,
ma non si comprendevano le ragioni e sopratutto non si sapeva se fosse uno dei
nostri dei nostri o uno dei loro, pur constatando che, in ogni caso, una
giovane vita era stata spezzata. In effetti, qualcuno mi disse che era stato
ucciso un membro delle forze dell'ordine. "Se c'era tensione,"
pensai, "ora scoppia un putiferio..."
L'indomani, al risveglio, notai che il nostro
traghetto era circondato da alcuni elicotteri, e quando uscii sul ponte mi
accorsi che la nave non si trovava nel porto di Genova, ma in un piccolo porto non lontano. Camionette dei
Carabinieri e della Polizia ci aspettavamo alle fine della scalette, per altro
col mitra spianato. Domandai ad un ragazzo come potevo arrivare al G8: lui mi
rispose che tutta le strade erano bloccate per decisione del Prefetto, e alla
mia poche rimostranze mi disse degli incidenti e della morte di un
manifestante. Quando si tolse il casco lo guardai con maggiore attenzione:
poteva avere la mia stessa età, 19 o al massimo 20 anni. Soltanto in seguito
compresi che proprio la giovane età di Carabinieri o Poliziotti sarebbe stato
un fattore di pericolo: quando si tratta di mantenere l'ordine pubblico è
necessaria esperienza, perché in determinati casi la giovane età non è buona
consigliera.
A conti fatti mi resi conto di una cosa, in nessun
caso sarei arrivato a Genova.
Quella mattina provai un profondo rammarico, perché in facoltà tutti parlavano
di quella manifestazione, inoltre sapevo che vi avrei incontrato altri compagni
arrivati dalla Sardegna. resta ancora il pensiero di come sarebbe stato
parteciparvi in prima, e non soltanto viverla attraverso i racconti degli
altri. Non so, una parte di me, a Genova, voleva esserci ma un'altra parte,
quella più codarda, mi sussurra che forse è stato meglio così. uno dei classici
conflitti interiori combattuti tra i tanti "io" che mi compongono.
In questa foto, scattata circa dieci anni dopo al
Circolo PRC di Quartu S. Elena, presentavo il mio libro insieme a Giuliano
Giuliani, il padre di Carlo, il ragazzo ucciso durante quei terribili scontri. Per me fu un grande onore, per questo ringrazio il
compagno Manrico Casini per avermi dato la possibilità di conoscere una persona
straordinaria. Su quel G8 si è detto tanto, ma nessuna parola, nessuna
immagine, potrà eguagliare il mio ricordo degli occhi di Giuliano, mentre
osservava le immagini del figlio morto. Lui Carlo l'ha visto nascere, l'ha
visto prima bambino e poi adolescente, l'ha osservato dare i primi calci a un
pallone, forse l'avrà accompagnato nel suo primo giorno di scuola... ed infine
l'ha visto diventare un ragazzo, mai un uomo.
Sarò stucchevole, ma io ritengo che quella notte non
sia stata inutile. Inoltre, oggi vivo nell'assoluta
convinzione che le battaglie (non comprese) di quella generazione, se accolte
avrebbero reso il nostro pianeta più giusto e vivibile. Protestavamo contro le
guerre preventive, che tanti danni hanno creato nel mondo. Chiedevano regole
per il lavoro, che poi furono distrutte, sopratutto, chiedevamo un mondo più
umano, lontano dalle logiche del profitto e della globalizzazione. Ora penso a
quelle parole che ci contrassegnavano, come no global, che oggi ha perso quasi
senso, se penso ai sovranismi di questi ultimi anni.
Noi non eravamo sovranisti, eravamo no
global, una cosa ben diversa. Il nostro
movimento voleva contrastare la deriva del capitalismo, che avrebbe voluto
annullare le specificità dei popoli per renderli omologati, per rendere i
cittadini dei consumatori e di certo essere un no global non significava
valorizzare le specificità, per escludere gli altri. Significava piuttosto
ricordare quanto fosse unico ogni essere umano, e quanto fosse speciale ogni
popolo, coi suoi costumi, la sua religione, le sue consuetudini, senza che
queste si trasformassero in conflitto di civiltà.
Per questo penso che quel G8 non sia stato inutile,
come non è stata inutile la morte di Carlo, anche se sicuramente evitabile. Quel G8 mi ricorda sempre che, alla fin fine,
credevo e spendevo il mio tempo per degli ideali giusti, e anche se il mondo
sembra averci dimenticato, ho sempre quella positiva sensazione di essere stato
e di essere ancora oggi dalla parte giusta della barricata, anche se vent'anni
sono passati e, come la società che mi circonda, anch'io posso dirmi cambiato
ma solo nel mio strato più superficiale, a livello dell'epidermide.
Vincenzo Maria D’Ascanio
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