Quanto costavano le Province? E quanto
costeranno quelle nuove? Che competenze avevano e che competenze avranno? A otto anni di distanza dal referendum del 2012 nel quale 525mila
sardi si pronunciarono per abrogare
i quattro “nuovi” enti e per abolire i quattro storici, i temi che
supportarono quella campagna, per la quale si spesero attivamente oltre 600 tra
amministratori locali e rappresentanti istituzionali a tutti i livelli,
sembrano essere stati dimenticati.
Il dibattito. Ma è utile ricordarli per dare linfa a
un dibattito ricominciato venerdì con l'approvazione, in commissione Autonomia
del Consiglio regionale, di un testo - ancora sconosciuto ai più - che mette
assieme quattro proposte di legge e istituisce
tre nuove province (Gallura, Sulcis-Iglesiente
e Ogliastra) e la Città metropolitana di Sassari che si sommano alle già
esistenti Sassari, Oristano, Sud Sardegna e Città metropolitana di Cagliari.
I costi. Prima del referendum e del caos seguito
all'altra consultazione renziana, che legittimò le Province lasciandole però
senza fondi, gli enti intermedi sardi occupavano 1.891 dipendenti ed erano rappresentati,
istituzionalmente, da 8 presidenti, 58 assessori 204 consiglieri. Gli organi istituzionali costavano alle
casse pubbliche 6,5 milioni
all'anno, poco meno di 3,9 euro a cittadino.
Secondo i conti dell'Unione delle
Province, i compensi degli eletti incidevano per il 5,5% sui costi complessivi
contro il 22,9 del Parlamento, il 42,1% delle Regioni e il 29,5% dei Comuni.
Complessivamente le Province italiane rappresentavano l'1,35% della spesa
pubblica complessiva del Paese, 11 miliardi.
Le competenze. Una delle argomentazioni che, assieme ai
costi degli organi politici, sostennero le ragioni dell'abolizione fu quello
della sovrapposizione delle competenze
con altri enti. «La Sardegna ha bisogno di liberarsi dalla burocrazia e non
di averne altra», ricorda frequentemente Michele Cossa, esponente di spicco dei
Riformatori, principali sostenitori della cancellazione delle Province e oggi
parte (critica) della maggioranza che vuole reistituirle. Il pericolo di
complicare ulteriormente l'architettura istituzionale è un tema condiviso ma, come dice la sindaca di Carbonia Paola
Massidda, l'importante è «redistribuire
funzioni e competenze in modo chiaro».
Le competenze attuali. Oggi le Province si
occupano di pianificazione territoriale e dei servizi di trasporto in ambito
provinciale, di autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, di
costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della
circolazione stradale. Hanno competenze anche su programmazione provinciale
della rete scolastica e gestione dell'edilizia scolastica, raccolta ed elaborazione
di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; controllo dei
fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari
opportunità sul territorio.
Ma una delle competenze più importanti è quella della tutela e
valorizzazione dell'ambiente:
dall'autorizzazione unica ambientale alle funzioni amministrative sulla programmazione e l'organizzazione del
recupero e dello smaltimento dei
rifiuti (a livello provinciale) nonché la tutela e valorizzazione delle risorse idriche e la disciplina degli
scarichi nelle acque e delle
emissioni atmosferiche. Infine
gestiscono funzioni in materia faunistico-venatoria e ittica, si occupano di sanzioni
e di polizia ambientale, elaborano piani strategici del territorio, piani di
trasporto e mobilità e piani provinciali di protezione civile.
Il futuro. Quali saranno le competenze future? In
attesa di esaminare il testo della proposta di legge, che dovrebbe arrivare in
Aula il 3 agosto, Gigi Piano,
consigliere regionale del Pd ed ex assessore della ex Provincia del Medio
Campidano, immagina dei nuovi enti con poche competenze: strade, scuola,
ambiente, programmazione territoriale. Così da avere voce in capitolo anche
sui fondi europei che i territori vorrebbero cuciti su misura per le loro
esigenze.
Fabio Manca
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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