(30
Giugno 1934) In Germania scatta l'eliminazione degli oppositori politici di
Hitler, all'interno del Partito Nazionalsocialista, e dei vertici delle S.A.,
le cosiddette Squadre d'Assalto. Vengono uccise più di 200 persone. L’eccidio
passa alla storia come “la
notte dei lunghi coltelli”.
Le SA avevano acquistato progressivamente potere, fino a diventare per Hitler
una minaccia. L'omosessualità del loro leader, Ernst Röhm, rappresentò il
pretesto per la loro liquidazione e per la campagna repressiva contro gli
omosessuali.
Il
successo politico e la crescita della popolarità di Hitler indussero i vertici
delle SA e gli aderenti della prima ora del partito Nazista a ritenere che il
Cancelliere avesse tradito l'originario scopo della rivoluzione
nazionalsocialista;
egli infatti, secondo l’opinione di Röhm, si era discostato dal progetto
anticapitalista del partito, accordandosi con i grandi affaristi, gli
industriali e tutto il mondo dell'aristocrazia, i cosiddetti Junker, che
comprendevano gli elementi più influenti della Reichswehr. Il capo di Stato
Maggiore delle SA non nascose il desiderio di una "seconda
rivoluzione", attaccando in più occasioni la linea di condotta del
Governo. L'intento del comandante delle SA tuttavia non si limitava
all'accoglimento delle squadre d'assalto nell'esercito ma egli anelava anche di
prenderne il comando, prospettiva decisamente osteggiata dallo Stato Maggiore
generale tedesco.
A
Berlino Heydrich, ricevuto il segnale di avvio delle operazioni, dette ordine
ai reparti delle SS, tenuti fino a quel momento pronti ad agire, di aprire i
plichi contenenti i nominativi delle persone da arrestare o eliminare. Mentre a Monaco
l'azione fu diretta esclusivamente contro i vertici delle SA, nella capitale
del Reich fu indirizzata contro personalità considerate nemiche del regime.
Terminata la procedura degli arresti, Hitler diramò gli ordini per la sorte
delle SA, a capo delle quali era stato posto Viktor Lutze: ad alcune di esse fu
offerto di avere salva la vita in cambio del giuramento di fedeltà al
cancelliere, mentre altre avrebbero dovuto essere immediatamente giustiziate.
L'ordine
di uccidere Röhm fu affidato a Dietrich che lo eseguì immediatamente; solo il
1º luglio Hitler convocò una riunione, alla quale parteciparono Himmler e
Göring: subito dopo venne impartito l'ordine di uccidere il capo delle SA
all'Oberführer Theodor Eicke, futuro comandante del campo di concentramento di
Dachau, che si trovava al Ministero degli Interni della Baviera, eletto a
quartier generale della repressione, in attesa di comunicazioni da Berlino.
All'ufficiale delle SS fu espressamente ordinato di proporre a Röhm l'alternativa del suicidio: recatosi alla prigione di Stadelheim, nella cella n. 474, dove il capo delle SA era rinchiuso dalla sera prima, gli lasciò una pistola con un solo colpo. Rientrato dopo dieci minuti, lo trovò ancora in vita e, dopo avergli detto «Röhm, si prepari», ordinò allo Sturmbannführer Michel Lippert di sparargli: questi eseguì l'ordine sparandogli al petto e Röhm cadde mormorando «Mein Führer»
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