venerdì 26 giugno 2020

Carlo Felice e il dibattito sulla storia sarda. Di Ivan Monni.



Volente o nolente (e gei ddu creu, giai chi est mortu) Carlo Felice è diventato il simbolo della riappropriazione della storia sarda e della conoscenza da parte del popolo sardo. In attesa che prima o poi venga insegnata a scuola, obbligatoriamente, storia, lingua, letteratura e geografia sarda, vere sedi appropriate, il dibattito su Carlo Felice, è un vero è proprio argomento discusso dal popolo sardo.

Il dibattito su Carlo Felice è in questo momento: L’ariete (conca tostada) che sfonda la porta della non conoscenza e la apre al dibattito al di fuori dell’area indipendentista e identitaria. Il grimaldello (furoni) per scardinare il dibattito incentrato quasi esclusivamente sulla politica italiana, per portarlo sui temi sardi. Il piede di porco (come la sua “zenia”) dell’indifferenza dei sardi, fuori dalla bolla facebookiana degli indipendentisti.

L’ariete, il grimaldello, il piede di porco, o la bandiera tenuta in alto, è rappresentato dal libro Carlo Felice e i tiranni sabaudi, campione di vendite del prof. Casula, portato in tournée per tutta l’isola dal comitato, che ha suscitato lo sdegno di molti cittadini nei confronti del sovrano, sfociato nell’azione di molti amministratori che hanno deciso di cambiare le vie dedicate si tiranni.

La soprintendenza coloniale italica, in alcuni casi, ha poi provveduto a bloccare la scelta democratica delle libere comunità, ma questo è un altro discorso. Il punto è che il “metodo Casula“ ha funzionato, i paesi si stanno interrogando e discutendo sul fatto o meno di tenere le vie savoiarde. Il successo del libro va oltre l’aspetto editoriale o storiografico. Intelligente è l’opera di Caminera Noa di “sardizzare” e contestualizzare il movimento globale Black lives matter / Sardinian lives matter.

Il successo più grande è comunque quello di aver portato il dibattito a Cagliari, generalmente refrattaria a questi argomenti. Dibattito non significa accettazione da parte di tutti. Intanto il primo passo è quello discutere di cose sarde, uscire dal dibattito destra/sinistra, funzionale alle cose italiane. Il processo di accettazione richiede tempo per la metabolizzazione del fatto che una statua da sempre conosciuta dai cagliaritani, e sempre stata il simbolo delle vittorie sportive, di punto in bianco sia diventato un simbolo negativo.

Prima bisogna metabolizzare il fatto che stiamo tenendo in piedi una statua di un re sanguinario, facente parte di una “zenia” (“de porcos”, direbbero dalle parti di Sardigna Natzione, tra i primi a porre il problema politico e culturale) che fece della Sardegna una colonia buona per ricavare una buona rendita, piazzare feudatari scalpitanti in patria piemontese e per ottenere il titolo di re.

La sinistra e la destra italiana, repubblicane e “bipolariste“, che plaudono alle frecce tricolori il giorno della festa della Repubblica, anniversario della cacciata degli uomini in carne ed ossa Savoia, si chiudono a riccio di fronte alla richiesta della cacciata della riproduzione simbolica degli stessi. Le obiezioni da parte dei “sarditaliani” sono ripetitive e cicliche, ad ogni articolo dei quotidiani sardi, e si possono riassumere schematicamente con questi esempi: -“con tutti i problemi che c’abbiamo, ci mancava solo questo” (sottinteso, pensiamo all’economia, a creare posti di lavoro).

Gli assessorati sono tanti, quelli che si occupano di cultura e urbanistica non fanno le stesse cosa che fa l’assessore alle attività produttive, che evidentemente nell’immaginario collettivo è una specie di Super-Fantozzi che si occupa di tutti gli aspetti del comune. Inoltre la questione è prettamente economica e passa per la riscoperta identitaria, senza la quale difficilmente si potrà riconquistare la fiducia in se stessi. Se nel frattempo togliamo la statua, il dibattito si chiude immediatamente e possiamo risolvere i problemi economici.

“la storia non si (s)cancella” (sottinteso, “volete cancellare la storia”). Mai visto nessuno imparare la storia dalle vie e dalle statue, che sono semplicemente dei simboli potenti che elevano positivamente i nostri stessi carnefici. Il comitato vuole accompagnare gentilmente Carlo Felice dentro il museo, dove is scientis ant a podi imparai totu sa stòria chi bolint; non vogliono “cancellare l’Astoria” (cit).

-“c’è sempre stata, perché volete toglierla?” (sottinteso, i cambiamenti non mi piacciono, no mi trumbullist s’aposentu). Atteggiamento conservatore, ma dopo 4-5 volte non è detto che l’utente in questione non cambi idea. Il cambiamento va metabolizzato, la negazione è solo il primo passo, forse necessario.

-“lo hanno voluto i sardi stessi” (sottinteso, se lo hanno voluto i nostri nonni, noi non possiamo cambiare idea). La consapevolezza della storia, da parte dei sardi è cambiata notevolmente, non solo negli ultimi decenni, ma negli ultimi anni, proprio anche grazie al libro di Casula e al comitato. La ricerca e la riscoperta del nostro passato comincia, piaccia o meno, con il libro di Frau, (Le colonne d’Ercole, Atlantide) che ha riportato alla luce l’epopea Shardana, che ha messo una pietra tombale al vecchio mantra del “siamo sempre stati dominati”.

Abbiamo riscoperto che c’è stata un epoca indipendente dei Giudicati e abbiamo scoperto i tanti tentativi di rivolta, tra cui la Sarda Rivoluzione e Angioy. Abbiamo scoperto che anche (soprattutto) noi sardi abbiamo avuto responsabilità nel far entrare il dominatore di turno. Accettare il libro non significa autoassolverci dalle colpe nostre. Quindi a fronte di una nuova consapevolezza, le scelte dei nonni vanno rimesse in discussione, ma anche qui bisogna metabolizzare.

-“dove appendiamo la bandiera del Cagliari” (sottinteso, è utile come appendi-abito o come porta bandiere). Obiezione debole, facilmente risolvibile con la risposta: “Mettiamo la statua di Gigi Riva“, o altre cose simili. Le obiezioni sono tante altre, e si va dalle più reazionarie (“zecche comuniste“, come se fosse una questione di destra/sinistra, e la destra/sinistra italiane non fossero allineate in favore di C.F.) ad altre più fantasiose “lasciamole come monito ed esempio di tontidadi de is ajàjus nostus“.

Queste frasi, che ho scritto a memoria, visto che si ripetono identiche da qualche anno, sono la prova provata del dibattito in corso in Sardegna, che va oltre la bolla identitaria e indipendentista. Il punto non è convincere oggi o spostarla oggi, ma portare il dibattito sulla questione identitaria, dettare l’agenda. Comanda chi riesce ad imporre il suo dibattito. E non ci sono dubbi che ciclicamente in questi ultimi anni, si è parlato in Sardegna dello spostamento della statua. Il merito va ascritto senza dubbio al fortunato libro Carlo Felice e i tiranni sabaudi.

Ivan Monni
L’articolo è tratto dal sito “indipendentziasardawordpress”

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