Volente o nolente (e
gei ddu creu, giai chi est mortu) Carlo Felice è diventato il simbolo della
riappropriazione della storia sarda e della conoscenza da parte del popolo
sardo. In attesa che prima o poi venga insegnata a scuola, obbligatoriamente,
storia, lingua, letteratura e geografia sarda, vere sedi appropriate, il
dibattito su Carlo Felice, è un vero è proprio argomento discusso dal popolo
sardo.
Il dibattito su Carlo
Felice è in questo momento: L’ariete (conca tostada) che sfonda la porta
della non conoscenza e la apre al dibattito al di fuori dell’area
indipendentista e identitaria. Il grimaldello (furoni) per scardinare il dibattito
incentrato quasi esclusivamente sulla politica italiana, per portarlo sui temi
sardi. Il piede di porco (come la sua “zenia”) dell’indifferenza dei sardi, fuori dalla bolla
facebookiana degli indipendentisti.
L’ariete, il
grimaldello, il piede di porco, o la bandiera tenuta in alto, è rappresentato
dal libro Carlo Felice e i tiranni sabaudi, campione di vendite del
prof. Casula, portato in tournée
per tutta l’isola dal comitato, che ha suscitato lo sdegno di molti cittadini
nei confronti del sovrano, sfociato nell’azione di molti amministratori che
hanno deciso di cambiare le vie dedicate si tiranni.
La soprintendenza coloniale
italica, in alcuni casi, ha poi provveduto a bloccare la scelta democratica
delle libere comunità, ma questo è un altro discorso. Il
punto è che il “metodo Casula“ ha funzionato, i paesi si stanno interrogando e
discutendo sul fatto o meno di tenere le vie savoiarde. Il successo del libro va oltre
l’aspetto editoriale o storiografico. Intelligente è l’opera di Caminera Noa di
“sardizzare” e contestualizzare il movimento globale Black lives matter /
Sardinian lives matter.
Il successo più grande è comunque quello di aver portato il
dibattito a Cagliari, generalmente refrattaria a questi argomenti. Dibattito non significa
accettazione da parte di tutti. Intanto il primo passo è quello discutere di cose sarde, uscire dal
dibattito destra/sinistra, funzionale alle cose italiane. Il processo di
accettazione richiede tempo per la metabolizzazione del fatto che una statua da
sempre conosciuta dai cagliaritani, e sempre stata il simbolo delle vittorie
sportive, di punto in bianco sia diventato un simbolo negativo.
Prima bisogna metabolizzare il fatto che stiamo tenendo in piedi una
statua di un re sanguinario, facente parte di una “zenia” (“de porcos”, direbbero dalle parti di
Sardigna Natzione, tra i primi a porre il problema politico e culturale) che
fece della Sardegna una colonia buona per ricavare una buona rendita, piazzare
feudatari scalpitanti in patria piemontese e per ottenere il titolo di re.
La sinistra e la destra
italiana, repubblicane e “bipolariste“, che plaudono alle frecce tricolori il
giorno della festa della Repubblica, anniversario della cacciata degli uomini
in carne ed ossa Savoia, si chiudono a riccio di fronte alla richiesta della
cacciata della riproduzione simbolica degli stessi. Le obiezioni da parte dei
“sarditaliani” sono ripetitive e cicliche, ad ogni articolo dei quotidiani
sardi, e si possono riassumere schematicamente con questi esempi: -“con
tutti i problemi che c’abbiamo, ci mancava solo questo” (sottinteso, pensiamo
all’economia, a creare posti di lavoro).
Gli assessorati sono tanti,
quelli che si occupano di cultura e urbanistica non fanno le stesse cosa che fa
l’assessore alle attività produttive, che evidentemente nell’immaginario
collettivo è una specie di Super-Fantozzi che si occupa di tutti gli aspetti
del comune. Inoltre la questione è prettamente economica e passa per la
riscoperta identitaria, senza la quale difficilmente si potrà riconquistare la
fiducia in se stessi. Se nel frattempo
togliamo la statua, il dibattito si chiude immediatamente e possiamo risolvere
i problemi economici.
–“la
storia non si (s)cancella” (sottinteso, “volete cancellare la storia”). Mai visto nessuno imparare la storia
dalle vie e dalle statue, che sono semplicemente dei simboli potenti che
elevano positivamente i nostri stessi carnefici. Il comitato vuole accompagnare
gentilmente Carlo Felice dentro il museo, dove is scientis ant a podi imparai
totu sa stòria chi bolint; non vogliono “cancellare l’Astoria” (cit).
-“c’è
sempre stata, perché volete toglierla?” (sottinteso, i cambiamenti non mi piacciono,
no mi trumbullist s’aposentu). Atteggiamento conservatore, ma dopo 4-5 volte non è detto che l’utente in
questione non cambi idea. Il cambiamento va metabolizzato, la negazione è solo
il primo passo, forse necessario.
-“lo hanno voluto i sardi stessi” (sottinteso, se lo hanno voluto i
nostri nonni, noi non possiamo cambiare idea). La consapevolezza della storia, da parte dei sardi
è cambiata notevolmente, non solo negli ultimi decenni, ma negli ultimi anni,
proprio anche grazie al libro di Casula e al comitato. La ricerca e la
riscoperta del nostro passato comincia, piaccia o meno, con il libro di Frau,
(Le colonne d’Ercole, Atlantide) che ha riportato alla luce l’epopea Shardana,
che ha messo una pietra tombale al vecchio mantra del “siamo sempre stati
dominati”.
Abbiamo riscoperto che
c’è stata un epoca indipendente dei Giudicati e abbiamo scoperto i tanti
tentativi di rivolta, tra cui la Sarda Rivoluzione e Angioy. Abbiamo scoperto
che anche (soprattutto) noi sardi abbiamo avuto responsabilità nel far entrare
il dominatore di turno. Accettare il libro non significa autoassolverci dalle
colpe nostre. Quindi a fronte di una nuova consapevolezza, le scelte dei nonni
vanno rimesse in discussione, ma anche qui bisogna metabolizzare.
-“dove
appendiamo la bandiera del Cagliari” (sottinteso, è utile come appendi-abito o
come porta bandiere). Obiezione debole,
facilmente risolvibile con la risposta: “Mettiamo la statua di Gigi Riva“, o
altre cose simili. Le obiezioni sono tante altre, e si va dalle più reazionarie
(“zecche comuniste“, come se fosse una questione di destra/sinistra, e la
destra/sinistra italiane non fossero allineate in favore di C.F.) ad altre più
fantasiose “lasciamole come monito ed esempio di tontidadi de is ajàjus
nostus“.
Queste frasi, che ho scritto a memoria, visto che si ripetono
identiche da qualche anno, sono la prova provata del dibattito in corso in
Sardegna, che va oltre la bolla identitaria e indipendentista. Il punto non è convincere oggi o
spostarla oggi, ma portare il dibattito sulla questione identitaria, dettare
l’agenda. Comanda chi riesce ad imporre il suo dibattito. E non ci sono dubbi
che ciclicamente in questi ultimi anni, si è parlato in Sardegna dello
spostamento della statua. Il merito va ascritto senza dubbio al
fortunato libro Carlo Felice e i tiranni sabaudi.
Ivan Monni
L’articolo è tratto
dal sito “indipendentziasardawordpress”
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