"Amo le mie ore di
allucinazione. Anche le mie ore di randagio, d'immaginario perseguitato in
esodo verso una terra promessa" (G. Ungaretti, lettera a G. Papini del 25
luglio 1916 dalla zona di guerra).
(01 Giugno 1970) Muore
a Milano Giuseppe Ungaretti, uno dei più importanti poeti del '900. Nato ad Alessandria d'Egitto l'8
febbraio del 1888 (ma venne denunciato all'anagrafe come nato il 10 febbraio, e
festeggiò sempre il suo compleanno in quest'ultima data) i genitori erano
entrambi italiani, toscani della provincia di Lucca.
Il padre, Antonio Ungaretti (1842-1890), era un operaio, impiegato
allo scavo del Canale di Suez, che morì due anni dopo la nascita del futuro poeta a causa di
un'idropisia, malattia contratta negli anni di estenuante lavoro. La madre,
Maria Lunardini (1850-1926), gestì un forno con il quale riuscì a garantire gli
studi al figlio, che si poté dunque iscrivere presso una delle più prestigiose
scuole di Alessandria d'Egitto, la svizzera École Suisse Jacot.
Proprio in questo
prestigioso ambiente, dove s’incrociavano diverse culture europee ma non solo,
viene a contatto per la prima volta con la letteratura europea. Nel
tempo libero frequenta anche la "Baracca rossa", un ritrovo internazionale di
anarchici che ha come fervente organizzatore Enrico Pea, versiliese,
trasferitosi a lavorare in Egitto.
A dispetto della sua
lontananza dall'Italia rimane comunque in contatto con il gruppo fiorentino
che, staccatosi dalla Voce, ha dato vita alla rivista "Lacerba". Nel 1915 pubblica proprio su
Lacerba le prime liriche. Viene però richiamato e inviato sul
fronte del Carso e su quello francese dello Champagne. La prima poesia dal fronte è datata
22 dicembre 1915. Trascorre l'intero anno successivo tra prima linea e
retrovie; scrive tutto "Il porto sepolto" (raccolta che contiene
all'inizio la poesia omonima),
pubblicato presso una tipografia di Udine. Curatore degli ottanta esemplari è
"il gentile Ettore Serra", giovane tenente. Ungaretti
si rivela poeta rivoluzionario, aprendo la strada all'ermetismo. Le liriche sono brevi, a volte
ridotte ad una sola preposizione, ed esprimono forti sentimenti.
A Santa Maria La Longa, il 26 gennaio
1917, Ungaretti scrive una delle poesie più celebri dell’intero ermetismo,
ovvero “Mattina”, che prosegue con due versi liberi “M’illumino d’immenso.” Per
comprendere sino in fondo il significato di questa poesia è necessario parlare
della condizioni esistenziale dell’Ungaretti soldato. Dopo aver trascorso un’intera
notte sopportando il freddo, la mattina del 26 Ungaretti vede il sole all’alba,
che finalmente lo riscalda. Proprio durante quella notte aveva rischiato di
morire assiderato, e in questi versi liberi egli vuole esprimere tutta la
felicità e l’attaccamento alla vita.
Il poeta si trova improvvisamente di
fronte allo spettacolo della vita che risorge dopo l’oscurità
notturna, resa ancor più difficile da sopportare dalla durezza del conflitto
bellico; si tratta di uno spettacolo che suscita nell’uomo, in ogni uomo, una
consonanza intima e profonda, uno spettacolo che, però, allo stesso tempo,
viene restituito attraverso un’immagine talmente concentrata da risultare
indefinita. Ungaretti nei suoi giorni da soldato era solito portare con sé un
quadernetto, dove annotava i suoi versi spesso in condizioni disperate,
talvolta con gli amici uccisi accanto.
L’esperienza di trincea, vissuta durante la Grande Guerra, ispira in
Ungaretti una profonda riflessione sulla caducità della condizione umana e sul
valore della fratellanza tra gli uomini. Con stile scarno e destrutturato, Ungaretti rielabora il
messaggio formale del Simbolismo e diviene un maestro riconosciuto
dell’Ermetismo. La raccolta “Il Dolore”, del 1947, testimonia il momento più
drammatico della vita del poeta, seguito alla morte del figlioletto Antonio. Nel 1969, fu pubblicata “Vita di un
uomo”, che racchiude tutta la produzione poetica di Ungaretti.
Durante il suo ultimo
viaggio, a New York, gli fu riconosciuto il premio internazionale
dall'Università dell'Oklahoma, negli Stati Uniti, ma il viaggio debilitò
definitivamente la sua pur solida fibra. Morì a Milano, nella
notte tra l'1° ed il 2 giugno del 1970, per una broncopolmonite. Il 4 giugno si svolse il suo
funerale a Roma, nella Chiesa di San Lorenzo fuori le Mura, ma non vi partecipò
alcuna rappresentanza ufficiale del Governo italiano. È
sepolto nel Cimitero del Verano, accanto alla moglie Jeanne
Sa Babbaiola
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