lunedì 1 giugno 2020

«Un passaporto? Ha poco senso: serve prudenza»



Il passaporto sanitario «non è realizzabile e quindi ha poco senso». Quanto alla polemica con i “milanesi”, si è andati «un po' sopra le righe. Serve a poco dare ad altri le responsabilità». Massimo Galli, uno dei professionisti che più si è fatto apprezzare nell'emergenza Covid-19, è il direttore di Malattie infettive del Sacco di Milano.

Professore, come siamo entrati in questa Fase 2?
«Un po' alla “sperindio”, molte iniziative da prendere non sono state prese. Ma sembra che la faccenda si sia messa a posto in termini di gestione e che al momento non ci siano segnali importanti di problemi seri».

Cosa non si è fatto?
«Si poteva essere più proattivi, specie nelle Regioni più colpite. Si potevano cercare le persone lasciate in casa con l'infezione in atto e dar loro supporto, cosa che è stata fatta meno di quanto dovuto. In molti, nel periodo di lockdown, si sono chiusi in casa senza sintomi o con pochi sintomi, queste persone andavano cercate, avvicinate e testate».

Cosa pensa del passaporto sanitario, o certificato di negatività, per entrare in Sardegna?
«Va solo a complicare la vita, proponendo qualcosa di poco realizzabile che ha poco senso. Stabilito che le situazioni pericolose sono infezioni recenti che possono essere più contagiose e che su quelle una condizione di certezza non ce l'hai, mettere in piedi una patente del genere ha un significato limitatissimo. Complica la vita e rende meno attrattive le Regioni. Se ci fosse un test molecolare rapido che ti desse almeno al 90% la certezza di individuare chi ha contratto da poco l'infezione avrebbe senso, ma al momento non ce l'abbiamo».

Il test molecolare salivare di cui parla Solinas c'è?
«Lo stiamo sperimentando, oggi non mi sembra una via praticabile. Forse futuribile».

Test rapidi e incrocio con i tamponi ai positivi, è una strada percorribile?
«Io li sto facendo a Castiglione d'Adda e in diversi Comuni lombardi per una ricerca epidemiologica, così come stanno facendo i miei colleghi a Sassari. Posto che la certezza al 100% non ce l'avrai mai, era un sistema che ci avrebbe potuto far ripartire più in sicurezza. Scremare con i test rapidi e sottoporre a tampone chi ha sviluppato gli anticorpi per non mandare al lavoro i positivi».

Riaprirebbe alla mobilità tra Regioni il 3 giugno? Anche alla Lombardia?
«Senza considerare gli aspetti economici avrei detto che bisognava attendere fino a metà giugno, e almeno fino a fine maggio per l'apertura delle attività economiche. Ma se si riapre, si riapra anche la Lombardia, mantenendo il massimo possibile le cautele, che sono basate solo su mascherine, distanziamento e responsabilità degli individui. Non ha senso dire una Regione sì e l'altra no».

Anche lei, da milanese, si è sentito offeso come il sindaco Sala per la “chiusura” di Solinas ai lombardi?
«Dire “i milanesi anche no” mi sembra un po' sopra le righe. Serve a poco dare ad altri le responsabilità. Se dobbiamo convivere, meglio includere in sicurezza che escludere. E potenziare la medicina territoriale».

Come possono tutelarsi, allora, le Regioni meno colpite come la Sardegna?
«Trovare un sistema di monitoraggio degli ospiti, non facile. Sapere chi arriva, dove si trova e dove va. Una sorta di Grande Fratello, richiedendo magari una collaborazione ai villeggianti. E attrezzarsi in modo da riconoscere subito eventuali focolai e intervenire».

Gli effetti - soprattutto se negativi - delle riaperture del 4 maggio non si vedono, per le riaperture del 18 c'è da attendere?
«Direi che per metà giugno conosceremo gli effetti. Allora sapremo di che morte morire o, mi auguro, di che vita potremo vivere».

Come giudica l'operato del Governo?
«Non mi fate fare politica. Ha cercato di rispondere in tempi e modi congrui per la realtà politica di un Paese come il nostro. Per alcune cose poteva fare prima, per altre ha fatto meglio di molti altri Paesi. Fu sommerso di critiche quando chiuse gli accessi dalla Cina, ma faceva bene. Poi il virus ci è arrivato alle spalle dalla Germania. Non sono mai stato d'accordo invece sulla politica di restrizione diagnostica, che ci stava all'inizio ma poi è stata portata avanti a tutti i livelli. Bisognava testare di più».

Si dice che il virus si sia indebolito.
«Non ci sono gli elementi per dirlo. La gravità e l'andamento sono condizionati dall'ospite e non dalle caratteristiche genetiche del virus. Stiamo vivendo la coda dell'epidemia, che si sta diluendo dopo i casi più gravi. E abbiamo imparato a curarli meglio, ma dire che si è attenuato il virus ora è azzardato».


Davide Lombardi

L’articolo è tratto da “La nuova Sardegna del 30.05.2020

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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