Il
passaporto sanitario «non è realizzabile e quindi ha poco senso». Quanto alla polemica con i
“milanesi”, si è andati «un po' sopra le righe. Serve a poco dare ad
altri le responsabilità». Massimo Galli, uno dei professionisti che
più si è fatto apprezzare nell'emergenza Covid-19, è il direttore di
Malattie infettive del Sacco di Milano.
Professore,
come siamo entrati in questa Fase 2?
«Un po' alla “sperindio”, molte
iniziative da prendere non sono state prese. Ma sembra che la faccenda si sia
messa a posto in termini di gestione e che al momento non ci siano segnali
importanti di problemi seri».
Cosa non
si è fatto?
«Si poteva essere più proattivi,
specie nelle Regioni più colpite. Si potevano cercare le persone lasciate in
casa con l'infezione in atto e dar loro supporto, cosa che è stata fatta meno
di quanto dovuto. In molti, nel periodo di lockdown, si sono chiusi in casa
senza sintomi o con pochi sintomi, queste persone andavano cercate, avvicinate
e testate».
Cosa
pensa del passaporto sanitario, o certificato di negatività, per entrare
in Sardegna?
«Va solo a complicare la vita,
proponendo qualcosa di poco realizzabile che ha poco senso. Stabilito che le
situazioni pericolose sono infezioni recenti che possono essere più contagiose
e che su quelle una condizione di certezza non ce l'hai, mettere in piedi una patente
del genere ha un significato limitatissimo. Complica la vita e rende meno
attrattive le Regioni. Se ci fosse un test molecolare rapido che ti desse
almeno al 90% la certezza di individuare chi ha contratto da poco l'infezione
avrebbe senso, ma al momento non ce l'abbiamo».
Il test
molecolare salivare di cui parla Solinas c'è?
«Lo stiamo sperimentando, oggi non
mi sembra una via praticabile. Forse futuribile».
Test
rapidi e incrocio con i tamponi ai positivi, è una strada percorribile?
«Io li sto facendo a Castiglione
d'Adda e in diversi Comuni lombardi per una ricerca epidemiologica, così come
stanno facendo i miei colleghi a Sassari. Posto che la certezza al 100% non ce
l'avrai mai, era un sistema che ci avrebbe potuto far ripartire più in
sicurezza. Scremare con i test rapidi e sottoporre a tampone chi ha sviluppato gli
anticorpi per non mandare al lavoro i positivi».
Riaprirebbe
alla mobilità tra Regioni il 3 giugno? Anche alla Lombardia?
«Senza considerare gli aspetti
economici avrei detto che bisognava attendere fino a metà giugno, e almeno fino
a fine maggio per l'apertura delle attività economiche. Ma se si riapre, si
riapra anche la Lombardia, mantenendo il massimo possibile le cautele, che sono
basate solo su mascherine, distanziamento e responsabilità degli individui. Non
ha senso dire una Regione sì e l'altra no».
Anche
lei, da milanese, si è sentito offeso come il sindaco Sala per la
“chiusura” di Solinas ai lombardi?
«Dire “i milanesi anche no” mi
sembra un po' sopra le righe. Serve a poco dare ad altri le responsabilità. Se
dobbiamo convivere, meglio includere in sicurezza che escludere. E potenziare
la medicina territoriale».
Come
possono tutelarsi, allora, le Regioni meno colpite come la Sardegna?
«Trovare un sistema di monitoraggio
degli ospiti, non facile. Sapere chi arriva, dove si trova e dove va. Una sorta
di Grande Fratello, richiedendo magari una collaborazione ai villeggianti. E
attrezzarsi in modo da riconoscere subito eventuali focolai e intervenire».
Gli
effetti - soprattutto se negativi - delle riaperture del 4 maggio non si
vedono, per le riaperture del 18 c'è da attendere?
«Direi che per metà giugno conosceremo
gli effetti. Allora sapremo di che morte morire o, mi auguro, di che vita
potremo vivere».
Come
giudica l'operato del Governo?
«Non mi fate fare politica. Ha cercato
di rispondere in tempi e modi congrui per la realtà politica di un Paese come
il nostro. Per alcune cose poteva fare prima, per altre ha fatto meglio di
molti altri Paesi. Fu sommerso di critiche quando chiuse gli accessi dalla
Cina, ma faceva bene. Poi il virus ci è arrivato alle spalle dalla Germania. Non
sono mai stato d'accordo invece sulla politica di restrizione diagnostica, che
ci stava all'inizio ma poi è stata portata avanti a tutti i livelli. Bisognava
testare di più».
Si dice
che il virus si sia indebolito.
«Non ci sono gli elementi per dirlo.
La gravità e l'andamento sono condizionati dall'ospite e non dalle
caratteristiche genetiche del virus. Stiamo vivendo la coda dell'epidemia, che
si sta diluendo dopo i casi più gravi. E abbiamo imparato a curarli meglio, ma
dire che si è attenuato il virus ora è azzardato».
Davide
Lombardi
L’articolo
è tratto da “La nuova Sardegna del 30.05.2020
-----------------
Federico
Marini
skype:
federico1970ca
Nessun commento:
Posta un commento