(22 Marzo1986) Muore il potente banchiere della mafia Michele Sindona, 56 ore dopo esser entrato in coma per aver bevuto un caffè in cui era stato versato del cianuro da mano ignota. Sindona si trovava nel supercarcere di Voghera, e scontava l’ergastolo comminatogli per l’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli (commissario liquidatore della Banca Privata Italiana dello stesso Sindona). La morte del banchiere siciliano sarà archiviata come un suicidio. Sindona si porta nella tomba molti segreti dell'Italia dei misteri e, ad ogni modo, resta il dubbio che qualcuno abbia voluto assicurarsi il suo silenzio, proprio in ragione dei misteri che avrebbe potuto svelare, in anni dove criminalità, politica e IOR (la banca del Vaticano) facevano affari insieme.
Michele
Sindona (Patti, 8 maggio 1920 – Voghera, 22 marzo 1986) è stato nel corso degli
anni Sessanta uno dei più irruenti banchieri del mondo: secondo Giulio Andreotti, addirittura sarebbe "il salvatore della
Lira". La sua abilità? Legare in un nodo inestricabile di affari
quattro pilastri della società italiana (non solo dell'epoca): potere politico (democristiano), Vaticano, massoneria e mafia.
L'impero di
Sindona arriverà a controllare un numero incalcolabile di banche e società
finanziarie, ma comincerà a vacillare nel 1963, quando il pentito di mafia Joe Valachi aveva spiegato all’FBI come funzionava Cosa
nostra. Seguendo il flusso dei soldi l’FBI arrivò a Sindona e il primo
novembre 1967 aveva scritto alla Criminalpol di Roma segnalandolo per riciclaggio, ma l’Italia aveva risposto di “non avere riscontri”.
In base a
questa teoria (non vi sono riscontri giudiziari) nel 1969 l’arcivescovo Montini,
diventato papa Paolo VI, aveva convocato Sindona per sistemare i conti della
banca Vaticana. Sindona aveva fatto entrare lo Ior
(Istituto per le opere di religione) nella sua Banca Privata Finanziaria e
spostato somme mostruose in Svizzera; poi, convertendole in marchi,
franchi e dollari aveva iniziato a speculare. Due anni
dopo, nel 1971 il presidente dello Ior era diventato l’arcivescovo lituano Paul
Marcinkus – quello che disse che “
Omicidio o
suicidio? Sindona era stato visitato in carcere da Carlo Rocchi che lo aveva
rassicurato sull'aiuto degli americani. La sua morte è stata archiviata come suicidio poiché il cianuro di potassio ha un odore particolarmente
pregnante e, secondo il parere della scientifica, ne sarebbe stata impossibile
l'assunzione involontaria. Il comportamento e i movimenti di Sindona stesso lo
confermavano, facendo pensare a un tentativo di
auto-avvelenamento per essere estradato negli Stati Uniti, coi quali
l'Italia aveva un accordo sulla custodia di Sindona legato alla sua sicurezza e
incolumità. Quindi un tentativo di avvelenamento lo avrebbe riportato al sicuro
negli Stati Uniti.
Sindona fece
di tutto per ottenere l'estradizione negli USA e l'avvelenamento, secondo
l'ipotesi più accreditata, fu dunque l'ennesimo tentativo. Quella mattina andò
a zuccherare il caffè in bagno e quando ricomparve davanti alle guardie
carcerarie gridò: «Mi hanno avvelenato!». Resta comunque plausibile l'ipotesi
che qualcuno gli abbia fornito il veleno, manipolandolo in maniera tale che lo
portasse alla morte e non, come previsto, ad un semplice malore.
Il
giornalista e docente universitario Sergio Turone ipotizzò che fu Andreotti a
far pervenire la bustina di zucchero contenente il cianuro fatale, facendo
credere a quest'ultimo che il caffè avvelenato gli avrebbe causato solo un
lieve malore, consentendogli dunque di essere introdotto in una delle carceri
negli Stati Uniti, in ragione dell’accordo descritto sopra. Secondo Turone, il
movente del presunto omicidio sarebbe stato il timore
che Sindona rivelasse verità scottanti riguardanti i rapporti tra politici
italiani, Cosa Nostra, e la P2: «...fino alla sentenza del 18 marzo 1986
Sindona [aveva] sperato che il suo potente protettore [Andreotti] trovasse la
via per salvarlo dall'ergastolo. Nel processo d'appello, non avendo più nulla
da perdere, avrebbe detto cose che finora aveva taciuto».
Va tuttavia
sottolineato che tale ipotesi non è stata suffragata da alcuna prova concreta
che leghi Andreotti alla morte di Sindona. Ancora nel 2010, Giulio Andreotti riportava un giudizio positivo su Sindona:
«Io cercavo di vedere con obiettività. Non sono mai stato sindoniano, ma non ho
mai creduto che fosse il diavolo in persona. Il fatto che avesse interessi sul
piano internazionale dimostrava una competenza economico e finanziaria che gli
dava in mano una carta che altri non avevano. Se non c'erano motivi di
ostilità, non si poteva che parlarne bene». La tomba di Michele Sindona e
famiglia è al Cimitero Monumentale di Milano, la numero 430 del Circondante di
Levante.
Vincenzo Maria D’Ascanio
https://vincenzomariadascanio.blogspot.com/
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