mercoledì 3 marzo 2021

Lotti: non è facile governare con la Lega


 


La nuova identità del Pd, la sua strana infatuazione per Conte, le alleanze: c'è molto da ragionare, secondo Luca Lotti, ed è per questo che al partito serve un congresso appena possibile. L'ex ministro ultrarenziano, ora leader della componente interna Base riformista, arriva oggi in Sardegna per alcuni incontri destinati proprio a consolidare la corrente a livello locale. E pur difendendo la scelta dei Democratici di sostenere Draghi, malgrado la coabitazione con la Lega, Lotti insiste sulla necessità di non rinviare troppo in là la riflessione: «È urgente - conferma - che il Pd si interroghi sul proprio futuro».

Dal governo col M5S a quello con M5S, Lega e FI: quanto sta stretto, il Pd, nella nuova maggioranza?

«Il governo Draghi è nato in una fase di grande difficoltà. È stato chiesto ai partiti di assumersi la responsabilità di assicurare al Paese una guida sicura per il piano vaccinale e per sfruttare al meglio il Recovery Fund. Il Pd ha accettato questa sfida. Certo, per me governare con la Lega non è facile. Ricordo le loro promesse sul prezzo del latte: nulla si è fatto. E non possiamo essere noi uguali alla Lega che promette e non mantiene. Glielo dico con una battuta: ora stiamo un po' stretti, vero, ma quando torneremo a votare riavremo sane e democratiche distanze».

Come premier, meglio Conte o meglio Draghi?

«Non mi piace fare politica sui nomi, contro o a favore di quella persona, ma sulle idee e sulle proposte politiche. Il precedente governo ha avuto il merito di riportare l'Italia al centro del dibattito europeo. E i 209 miliardi del Recovery lo dimostrano. Ora c'è un nuovo esecutivo, sono convinto che farà bene».

Cosa deve fare, per fare meglio del precedente?

«Il punto non è se farà meglio del precedente. Il governo Conte non c'è più, inutile continuare a discuterne. Ora occorre mettere il governo in condizione di agire bene e in fretta, accantonando gli interessi di parte e pensando solo al bene comune».

Covid: lei è più in sintonia con Salvini e Bonaccini, che chiedono diriaprire, o con la linea prudente di Speranza?

«Penso che decisioni simili debbano sì essere prese dalla politica ma basandosi sulla forza scientifica del parere dei tecnici. Non ridurrei il tema alla simpatia per questo o quel politico». 

Si è discusso molto sul ruolo del suo amico Renzi nella crisi. Secondo lei ha fatto bene a far cadere Conte? Ha vinto lui, forzando il cambio di premier, o ha la colpa di aver riportato al governo Salvini e Berlusconi?

È la politica, nulla di nuovo. Ripeto, contro qualcuno o con il risentimento non si fa politica ma solo polemica. 

Caso Renzi-Arabia: secondo lei è stato opportuno l'incontro con Bin Salman?

«Non spetta a me giudicare. Per quanto mi riguarda, quando fu deciso di giocare a Riad la finale di Supercoppa nonostante le giuste polemiche seguite all'omicidio Khashoggi, dissi pubblicamente che era un errore. Era il 2018 e oggi, nel 2021, non ho cambiato idea».

Nessuna ministra del Pd: ma le sembra accettabile? Perché faticate a esprimere donne nei ruoli di vertice?

«È un tema serio, in questi giorni al centro di un importante dibattito che però vorrei non lasciasse fuori il merito e le scelte in contesti emergenziali. Non direi poi che il Pd fatichi a esprimere donne nei ruoli apicali: non è così oggi e non lo è stato negli anni scorsi. Se mi chiede se possiamo fare di più, le dico assolutamente sì».

Nominare ora una vicesegretaria non è un rimedio tardivo e poco efficace?

«Non penso che si risolva con una nomina un problema che ha radici lontane e in tutti i settori della società. Semmai vorrei che si parlasse di più di parità salariale, diritti delle donne e si sensibilizzasse di più l'opinione pubblica, a partire dalle scuole, sulla violenza contro le donne per esempio. E poi vorrei svelare un segreto che molti non sanno: nello Statuto del Pd è già previsto che uno dei due vicesegretari sia donna».

Nel Pd è ripartita la lotta tra le correnti. Guarirete mai da questa malattia?

«“Malattia” mi sembra eccessivo. La presenza di varie idee e anime in un partito è qualcosa di positivo che stimola crescita e discussione, non è affatto qualcosa che fa male o del quale avere paura. Mi lasci fare un'altra riflessione: giusto criticare il correntismo esasperato per “posizionamento”, ma non è che chi critica le correnti non ha idee? O peggio ancora, le sfrutta quando servono per occupare posti e poi spara quando non servono più?»

Che ruolo esercita, in questo quadro, Base riformista? Quali valori esprime?

«Base riformista è una realtà consolidata nel Pd, un'area che insieme a Lorenzo Guerini e tanti altri parlamentari, sindaci, consiglieri regionali e iscritti abbiamo fatto nascere e che porta avanti quelle idee riformiste che hanno caratterizzato una vera stagione di riforme. Vede, le idee camminano sulle gambe delle persone, ma non sono una proprietà privata. Senza Base riformista, che ha assicurato una unità nel partito che mai si era vista, oggi il Pd non avrebbe il ruolo che ha nell'arco parlamentare».

Ora chiedete un nuovo congresso. Non siete soddisfatti della gestione Zingaretti?

«Noi abbiamo detto che una volta superata la pandemia occorrerà aprire una fase congressuale. Perché non possiamo fare finta che in questi tre anni non siano cambiate le condizioni politiche. Dove si colloca? Qual è oggi la sua identità? Pensiamo che serva un'idea autonoma e vada ritrovato lo spirito che ci ha portati a fondare il Pd, oppure crediamo che elogiare Conte che sta diventando segretario di un altro partito sia la strada giusta? Vogliamo proseguire con la logica dei bonus a pioggia o parlare di tutele del lavoro e di chi produce reddito?»

Sarà anche l'occasione per confrontare i rapporti di forza interni...

«Ma il congresso non può diventare una resa dei conti. Ecco perché invito il mio amico Orlando a evitare di impostare la discussione su “ex renziani sì o no”: questo racconto macchiettistico è fuori dalla realtà. Quando subimmo la prima scissione nessuno etichettò lui o Cuperlo come spie bersaniane rimaste nel Pd, anzi…»

Sembra che il vostro destino sia un'alleanza con M5S e Leu. Lei è d'accordo?

«Ritengo che prima della scelta degli alleati sia necessario che il Pd ritrovi la sua identità originaria. Solo così avremo la forza di discutere di alleanze senza nessuna subalternità».

La Sardegna si aspetta molto dal Recovery Plan. Cosa deve fare e cosa no, per sfruttarlo al meglio?

«Mettere al primo posto gli interessi dei cittadini sardi e non dimenticare però che questa battaglia si vince tutti insieme. La Sardegna vince se l'Italia vince, l'Italia perde se la Sardegna perde».

 

 

Giuseppe Meloni

 

Articolo “Unione Sarda” del 03.03.2021

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Federico Marini

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