giovedì 25 marzo 2021

(1969) Quando Genova disse NO alla riunione fascista.



(25 Marzo1960) Nasce il primo governo Tambroni, monocolore DC, sostenuto dai voti determinanti del Movimento Sociale Italiano. L’MSI intanto rendeva noto d'aver deciso di celebrare il proprio congresso a Genova, ma anche di far giungere a Genova "almeno un centinaio di attivisti romani, scelti tra i più pronti a menar le mani": decisione quest'ultima che venne resa pubblica tramite stampa, e sottoposta a forti critiche nei giorni successivi agli scontri. E’ chiaramente una provocazione: Genova è una città "rossa”, insignita della medaglia d’oro della Resistenza.

 

A rendere ancora più incandescente la situazione intervenne la notizia, riportata dal quotidiano "Il Giorno", della partecipazione ai lavori del congresso di Carlo Emanuele Basile, sottosegretario all'Esercito e prefetto della città ai tempi della Repubblica Sociale Italiana. Basile era conosciuto a Genova per gli editti del marzo 1944 contro lo sciopero bianco e le proteste indette dagli operai, con conseguente deportazione di alcune centinaia di lavoratori nei campi di concentramento della Germania nazista. Per le sue azioni Basile venne prima assolto, poi condannato a morte, per nuovamente assolto dopo ulteriori ricorsi, grazie anche a una serie di amnistie e condoni, continuando nel dopoguerra la sua attività politica nel partito neofascista di Giorgio Almirante.

 

Il 28 giugno fu indetta una manifestazione di protesta, nel corso della quale Sandro Pertini, disse: «La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori.»

 

Nella descrizione di un giornalista del Corriere della Sera gli scontri vengono raccontati in questo modo: «Giovanotti muscolosi si applicavano a divellere cassette d’immondizie, a staccare dalle pareti di un portico riquadri con i programmi dei cinematografi, a spaccare i cavalletti che recingevano un piccolo cantiere di lavori in piazza De Ferrari. Nelle mani dei manifestanti comparvero, stranamente bombe lacrimogene. La sassaiola contro la polizia era incessante. Un agente fu buttato nella vasca della fontana di piazza De Ferrari, altri vennero colpiti dalle pietre e andarono sanguinanti a medicarsi »

 

Gli scontri si spostarono anche nei vicini "caruggi", gli stretti vicoli tipici del centro storico genovese, dove la popolazione residente "bombarda" con vasi e pietre lasciati cadere dalle finestre le forze dell'ordine che inseguono i manifestanti. Gli scontri proseguono e gli organizzatori della manifestazione temono che, per porvi fine, venga ordinato alle forze dell'ordine di aprire il fuoco sulla folla, azione che avrebbe causato numerosi morti. Il presidente dell'ANPI, Giorgio Gimelli, si accorda quindi con alcuni ex partigiani, tra cui un funzionario di polizia, per porre fine agli scontri, avendo in cambio l'assicurazione che le forze dell'ordine si sarebbero ritirate senza effettuare nessun arresto. Al termine dei disordini si registrano 162 feriti tra gli agenti e circa 40 feriti tra i manifestanti.

 

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