Lo so, ci
sono cose più importanti e poi di questi tempi, sento forte il privilegio di
avere un lavoro e di averlo sempre avuto, da subito, all’indomani dalla laurea,
quasi 40 anni fa. Oggi il lavoro per una generazione
intera, e forse quasi due, è un sogno, un privilegio tale da far
apparire accettabile qualsiasi condizione, un miraggio, un traguardo
irraggiungibile e questo viene prima di ogni altra considerazione. Perché il
lavoro, la possibilità di provvedere a sé stessi e di realizzare il progetto
della propria vita è il presupposto di ogni libertà, di ogni dignità, di ogni
serenità. Io non dimentico, come molti hanno fatto, che
il lavoro è un diritto e che, di conseguenza, la disoccupazione è una
drammatica sottrazione di diritto.
E così è
successo che, davanti all’ingiustizia immensa della disoccupazione, a molti sia
sembrato che rivendicare condizioni di lavoro dignitose fosse un di più non
necessario, addirittura un atto di irriconoscenza egoistica, ma non è così. Che
capolavoro è stato, per la razza padrona e per i suoi molti interpreti
politici, contrapporre come fossero in antitesi il diritto ad avere un lavoro
con il diritto a condizioni dignitose di lavoro. Che
capolavoro è stato innescare la guerra tra presunti “dipendenti fannulloni”
(anche quando precari), e le partite iva e le piccole imprese individuali
esposte e senza garanzie.
Io, a 60
anni, sono diventata, senza alcuna tutela, un’insegnante da didattica a
distanza. Come chiedere, da un giorno all’altro, ad un cane caccia di diventare
un cane pastore e viceversa; oppure come chiedere ad un cavallo da corsa di
diventare una bestia da tira o viceversa, come chiedere ad una mela di
trasformarsi in una pera e viceversa. Mi è stato chiesto di imparare da sola ad
usare piattaforme e classi virtuali, a creare spazi-lezione attorcigliandomi
ogni giorno su ogni clik sopra la mia tastiera. Ci è stato chiesto e lo abbiamo
fatto sputando sangue.
Nel corso
di quest’anno, tra riunioni online, studio, lezione, correzione di compiti,
colloqui, consigli di classe, ho trascorso ore ed ore ed ore del giorno (e
spesso anche della notte) davanti al computer. Seduta con gli occhi dritti
sullo schermo. Fratzicata come si dice al mio paese. Nonostante ciò, lo dico
per gli estimatori di Conte e della Azzolina e di tutti i giallo rosa che hanno
governato il lavoro durante la pandemia, non è stato
riconosciuto agli insegnanti lo status di lavoratore al terminale che in
Italia è quello che trascorre al computer 20 ore settimanali.
Se
sei un lavoratore al terminale, in Italia, hai alcuni diritti:
sorveglianza sanitaria per lo stress a cui sottoponi i per esempio i tuoi
occhi, oppure pausa di 15 minuti ogni due ore di lavoro, se non vuoi
compromettere la tua capacità visiva, ma agli insegnanti no. Anzi. Per gli
insegnanti la didattica a distanza, in aggiunta alle difficoltà di una
profonda, faticosa e solitaria riconversione strumentale e metodologica del
proprio lavoro, ha comportato nuovi adempimenti di recupero, di
rendicontazione, di compilazione di format, di questo e di quello perché per gli insegnanti non è mai abbastanza quello che fai
perché in fondo la leggenda delle 18 ore e dei 3 mesi di ferie è il
presupposto su cui poggiare un continuo attacco formale e sostanziale. Il lavoro va difeso, il lavoro dignitoso va difeso, la
certezza del lavoro va difesa, la dignità del lavoro va difesa. Mentre
litigate su poltrone e vi spartite tutto quello che si può spartire, io credo
che qui sia tutto da ricostruire in una dimensione di giustizia ed equità.
Buongiorno, che devo andare a scuola.
Di Lucia Chessa
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