venerdì 21 maggio 2021

Come ci vedono gli “Altri.” Viaggiatori Francesi in Sardegna: Eugenio Roissard de Bellet (1836 – 1918). Di Francesco Casula.


 

Nobile francese, nacque a Nizza nel 1836 e muore nella stessa città nel 1918. Proprietario terriero e banchiere, fu anche uomo politico e deputato, come risulta dalla stessa copertina del suo libro sulla Sardegna, La Sardaigne a vol d’oiseau, “Le baron Roissard De Bellet, ancien député”. Compie gli studi di Diritto all’Università di Torino.

 

In Sardegna venne nel 1882, sbarcando nel golfo di Cagliari a bordo dello yacht Velox, dove però si trattenne qualche settimana appena, ospite di una famiglia di Iglesias legata alle miniere. La pur breve permanenza nell’Isola gli offre comunque la possibilità di scrivere nello stesso anno, il suo libro, – come lui stesso confessa – con il sussidio della memoria e con gli appunti raccolti. Pubblicato a Parigi nel 1884, inserirà in esso numerose foto che risultano essere fra i primi documenti fotografici sull’Isola di fine Ottocento. E con le foto inserisce prospetti, carte geografiche, incisioni, tavole a colori che sono di notevole qualità e costituiscono senza dubbio la parte più importante dell’intero volume.

 

Il libro specifica e riassume i suoi contenuti, fin dal sottotitolo che recita così: Son histoire, ses meurs, sa geologie, ses richerches metalliferes set ses productions de toute sorte. Molto risalto viene dato dunque alla storia della Sardegna e, segnatamente, alla storia dei nuraghi, ai costumi e alle tradizioni dei Sardi ma soprattutto alle miniere, il vero interesse del barone francese, settore peraltro in cui mostra grandi conoscenze. La Sardegna – secondo De Bellet – è ricca di molti minerali fra cui la galena, la blenda, la pirite, le cerusite, l’ematite, il nickel, il cobalto. Ma anche di piombo, zinco argento.

 

Sono inoltre presenti sorgenti minerali di acque alcaline, iodate, sulfuree, acidule. Insomma l’Isola secondo il barone francese – scrive Alessandra Menesini nell’Almanacco di Cagliari del 2010 – è un luogo attrattivo e curioso, pieno di risorse. Il futuro potrebbe essere roseo se si provvedesse a rimboschire i terreni bruciati, a favorire l’agricoltura e a incrementare i trasporti. Tre punti incontestabili. Tre punti, aggiungiamo noi, che potrebbero e dovrebbero essere al centro un programma e progetto politico ed economico quanto mai attuale oggi.

 

Il suo racconto comincia con la descrizione di Cagliari e i suoi due quartieri storici: Marina, con le sue vie dritte, le sue abitazioni con i balconi in ferro ingombri di panni stesi e Castello, con i palazzi del Potere (palazzo regio, Prefettura, Arcivescovado etc.). Ampio spazio lo scrittore e pittore francese dedica alla Lingua e alle tradizioni con il capitolo V, di cui si riportano ampi stralci nella Lettura che seguirà.

 

Sulla Lingua sarda – che il barone francese si ostina a etichettare come dialetto – scrive cose giuste ma spesso scontate e comunque già conosciute. Con qualche imprecisione e strafalcione, per esempio nel riportare il Padre Nostro in Sardo, quando scrive facta sias voluntade tua: indubitabilmente si tratta di facta siat perché si riferisce alla terza persona siat e non alla seconda sias. Ma si tratta di piccolezze che non inficiano l’insieme. Di rilievo invece l’affermazione che si è diffusa una letteratura sarda, esattamente come è avvenuto in Francia del provenzale che si è conservato con una propria tradizione linguistica, indipendentemente dall' evoluzione della lingua francese.

 

De Bellet coglie nel segno: contrariamente a ciò che comunemente si dice e si pensa da parte degli stessi sardi, l’Isola nei secoli ha espresso una letteratura sarda, – che aggiungiamo noi – oltreché variegata nei diversi generi, è ricca di opere e di autori anche quando superata la fase esaltante del medioevo, all'indomani della sconfitta del regno di Arborea, mancando un centro politico indipendente, le lingue dominanti (catalano, castigliano e infine italiano) assunsero via via il ruolo di lingue ufficiali accolte in toto dal ceto dirigente isolano. La lingua sarda restò praticata dai cantori che diedero vita a una lunga tradizione poetica orale, ma anche da scrittori con riflessi di tipo colto.

 

Nei secoli si succedettero tentativi, da parte degli intellettuali sardi più vicini al popolo (in particolare uomini di Chiesa), persino di normalizzare l'uso scritto della lingua. Uno sforzo ancora oggi attuale, nel momento in cui, per effetto di una nuova coscienza linguistica, si è assistito alla nascita della prosa narrativa in lingua sarda. Occorre comunque sottolineare che è soprattutto a partire dall’ultima metà del Novecento che i poeti e gli scrittori in lingua sarda hanno offerto risultati non solo quantitativamente ma anche qualitativamente risultati di grande rilievo. E nelle loro opere la Sardegna, finalmente, – come scrive Nicola Tanda – da «non luogo», diventa «luogo», non di un esclusivo recupero memoriale ma luogo dell’immaginario che produce il progetto di una identità dinamica, dal quale deriva l’energia vitale e morale di un nuovo modello di sviluppo economico e civile.

 

Di estremo interesse anche l’osservazione di de Bellet sul carattere dei Sardi: ”I Sardi sono costanti nelle loro passioni: essi spingono all'estremo l'affetto e il senso di solidarietà familiare. Così immaginiamo la vita patriarcale dei secoli primitivi, ma queste qualità affettive hanno per funesto contrapposto la pratica della vendetta. Perché essi prendono partito per le cause dei loro parenti in un modo totale che li impegna tutti per l'offesa fatta ad uno solo. Ma, quando vendicano un affronto, non si mescolano mai all'odio che arma il loro braccio sentimenti di bassa cupidigia. Colpito nell' onore personale o in quello dei familiari, derubato o calunniato, il Sardo non ricorre ai tribunali ma alla propria arma, mettendosi volontariamente fuori dalla legge”.

 

Osservazione ripresa da Michelangelo Pira in La Rivolta dell’oggetto (Ed. Giuffrè, Milano 1978, Nota pagina 90) insieme a quella riguardante la descrizione dei riti funebri (Nota a pagina 92): “D’improvviso, una delle donne comincia, in tono lagrimoso, l’elogio che celebra le virtù del defunto, le sue doti e il suo coraggio, accompagnando questo tributo con lacrime e grida, cui si uniscono in coro le altre donne che accompagnano le «prefiche», e si arriva così, a poco a poco, a un diapason di chiasso. Soprattutto quando il defunto che si piange è stato vittima di un atto di «vendetta», la scena raggiunge un grado di estrema violenza.

 

Con ogni forma di promesse e di imprecazioni si spinge l’erede a giurare che farà delle rappresaglie, e per riuscirvi non ci si perita, durante queste lamentazioni, di cantare i delitti di cui ciascuna delle due famiglie si è resa colpevole, citandoli come un motivo di merito e una gloria di cui hanno diritto anche di andar fieri. E’ un fanatismo che spinge al delitto. È  facile comprendere quale effetto debbano avere tante sovreccitazioni nell’immaginazione di persone nervose e soprattutto la profonda impressione che deve suscitare al capezzale di un morto un simile patto di vendetta e di sangue. Perciò la legge si oppone alla celebrazione di simili orazioni funebri e le autorità fanno del loro meglio per applicare la legge. Ma si elude facilmente e l’usanza si conserva e si tramanda”.

 

Francesco Casula

"Tratto dal libro Viaggiatori italiani e stranieri in Sardegna, di Francesco Casula, Alfa Editrice. Quartu Sant'Elena, 2015)

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