Nobile
francese, nacque a Nizza nel 1836 e muore nella stessa città nel 1918.
Proprietario terriero e banchiere, fu anche uomo politico e deputato, come
risulta dalla stessa copertina del suo libro sulla Sardegna, La Sardaigne a vol d’oiseau, “Le
baron Roissard De Bellet, ancien député”. Compie gli studi di Diritto
all’Università di Torino.
In
Sardegna venne nel 1882,
sbarcando nel golfo di Cagliari a bordo dello yacht Velox, dove però si
trattenne qualche settimana appena, ospite di una famiglia di Iglesias legata
alle miniere. La pur breve permanenza nell’Isola gli offre comunque la
possibilità di scrivere nello stesso anno, il suo libro, – come lui stesso
confessa – con il sussidio della memoria e con gli appunti raccolti. Pubblicato a Parigi nel 1884, inserirà in esso numerose foto
che risultano essere fra i primi documenti fotografici sull’Isola di fine
Ottocento. E con le foto inserisce prospetti, carte geografiche,
incisioni, tavole a colori che sono di notevole qualità e costituiscono senza
dubbio la parte più importante dell’intero volume.
Il libro
specifica e riassume i suoi contenuti, fin dal sottotitolo che recita così: Son
histoire, ses meurs, sa geologie, ses richerches metalliferes set ses
productions de toute sorte. Molto risalto viene dato
dunque alla storia della Sardegna e, segnatamente, alla storia dei nuraghi,
ai costumi e alle tradizioni dei Sardi ma soprattutto alle miniere, il vero
interesse del barone francese, settore peraltro in cui mostra grandi
conoscenze. La Sardegna – secondo De Bellet – è ricca di molti minerali fra cui la galena, la blenda, la pirite, le
cerusite, l’ematite, il nickel, il cobalto. Ma anche di piombo, zinco argento.
Sono inoltre
presenti sorgenti minerali di acque alcaline,
iodate, sulfuree, acidule. Insomma l’Isola secondo il barone francese – scrive
Alessandra Menesini nell’Almanacco di Cagliari del 2010 – è un luogo attrattivo
e curioso, pieno di risorse. Il futuro potrebbe essere
roseo se si provvedesse a rimboschire i terreni bruciati, a favorire
l’agricoltura e a incrementare i trasporti. Tre punti incontestabili.
Tre punti, aggiungiamo noi, che potrebbero e dovrebbero essere al centro un
programma e progetto politico ed economico quanto mai attuale oggi.
Il
suo racconto comincia con la descrizione di Cagliari e i suoi due quartieri
storici:
Marina, con le sue vie dritte, le sue abitazioni con i balconi in ferro
ingombri di panni stesi e Castello, con i palazzi del Potere (palazzo regio,
Prefettura, Arcivescovado etc.). Ampio spazio lo scrittore e pittore francese
dedica alla Lingua e alle tradizioni con il capitolo V, di cui si riportano
ampi stralci nella Lettura che seguirà.
Sulla Lingua sarda – che il barone francese si ostina a
etichettare come dialetto – scrive cose giuste ma spesso scontate e comunque
già conosciute. Con qualche imprecisione e strafalcione, per esempio nel
riportare il Padre Nostro in Sardo, quando scrive facta sias voluntade tua:
indubitabilmente si tratta di facta siat perché si riferisce alla terza persona
siat e non alla seconda sias. Ma si tratta di piccolezze che non inficiano
l’insieme. Di rilievo invece l’affermazione che si è
diffusa una letteratura sarda, esattamente come è avvenuto in Francia del
provenzale che si è conservato con una propria tradizione linguistica,
indipendentemente dall' evoluzione della lingua francese.
De Bellet
coglie nel segno: contrariamente a ciò che comunemente si dice e si pensa da
parte degli stessi sardi, l’Isola nei secoli ha espresso una letteratura sarda,
– che aggiungiamo noi – oltreché variegata nei diversi generi, è ricca di opere
e di autori anche quando superata la fase esaltante del medioevo, all'indomani
della sconfitta del regno di Arborea, mancando un centro politico indipendente,
le lingue dominanti (catalano, castigliano e infine italiano) assunsero via via
il ruolo di lingue ufficiali accolte in toto dal ceto dirigente isolano. La lingua sarda restò praticata dai cantori che diedero vita
a una lunga tradizione poetica orale, ma anche da scrittori con riflessi di
tipo colto.
Nei secoli
si succedettero tentativi, da parte degli intellettuali sardi più vicini al
popolo (in particolare uomini di Chiesa), persino di normalizzare l'uso scritto
della lingua. Uno sforzo ancora oggi attuale, nel momento in cui, per effetto di una nuova coscienza linguistica, si è
assistito alla nascita della prosa narrativa in lingua sarda. Occorre
comunque sottolineare che è soprattutto a partire dall’ultima metà del
Novecento che i poeti e gli scrittori in lingua sarda hanno offerto risultati
non solo quantitativamente ma anche qualitativamente risultati di grande
rilievo. E nelle loro opere la Sardegna, finalmente, – come scrive Nicola Tanda
– da «non luogo», diventa «luogo», non di un esclusivo recupero memoriale ma
luogo dell’immaginario che produce il progetto di una identità dinamica, dal
quale deriva l’energia vitale e morale di un nuovo modello di sviluppo
economico e civile.
Di
estremo interesse anche l’osservazione di de Bellet sul carattere dei Sardi: ”I
Sardi sono costanti nelle loro passioni: essi spingono all'estremo l'affetto e
il senso di solidarietà familiare. Così immaginiamo la vita
patriarcale dei secoli primitivi, ma queste qualità affettive hanno per funesto
contrapposto la pratica della vendetta. Perché
essi prendono partito per le cause dei loro parenti in un modo totale che li
impegna tutti per l'offesa fatta ad uno solo. Ma,
quando vendicano un affronto, non si mescolano mai all'odio che arma il loro
braccio sentimenti di bassa cupidigia. Colpito nell' onore personale o
in quello dei familiari, derubato o calunniato, il Sardo non ricorre ai
tribunali ma alla propria arma, mettendosi volontariamente fuori dalla legge”.
Osservazione
ripresa da Michelangelo Pira in La Rivolta dell’oggetto (Ed. Giuffrè, Milano
1978, Nota pagina 90) insieme a quella riguardante la descrizione dei riti
funebri (Nota a pagina 92): “D’improvviso, una delle donne comincia, in
tono lagrimoso, l’elogio che celebra le virtù del defunto, le sue doti e il suo
coraggio, accompagnando questo tributo con lacrime e grida, cui si uniscono in
coro le altre donne che accompagnano le «prefiche», e si arriva così, a poco a
poco, a un diapason di chiasso. Soprattutto quando il
defunto che si piange è stato vittima di un atto di «vendetta», la scena
raggiunge un grado di estrema violenza.
Con ogni
forma di promesse e di imprecazioni si spinge l’erede a giurare che farà delle
rappresaglie, e per riuscirvi non ci si perita, durante queste lamentazioni, di
cantare i delitti di cui ciascuna delle due famiglie si è resa colpevole,
citandoli come un motivo di merito e una gloria di cui hanno diritto anche di
andar fieri. E’ un fanatismo che spinge al delitto. È facile comprendere quale effetto debbano avere
tante sovreccitazioni nell’immaginazione di persone nervose e soprattutto la
profonda impressione che deve suscitare al capezzale di un morto un simile
patto di vendetta e di sangue. Perciò la legge si oppone alla
celebrazione di simili orazioni funebri e le autorità fanno del loro meglio per
applicare la legge. Ma si elude facilmente e l’usanza si conserva e si
tramanda”.
Francesco
Casula
"Tratto dal libro Viaggiatori italiani e stranieri in Sardegna,
di Francesco Casula, Alfa Editrice. Quartu Sant'Elena, 2015)
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