Sono le Regioni a fornire i dati su cui
poggia il monitoraggio relativo all'andamento della situazione epidemiologica.
E nella cabina di regia che elabora quei parametri ci sono tre rappresentanti indicati
dalle stesse Regioni. Dunque «è
surreale che alcuni governatori, anziché assumersi la loro parte di
responsabilità, facciano finta di ignorare la gravità dei dati che riguardano i
loro territori».
Il ministro della Salute Roberto Speranza,
dopo aver firmato l'ordinanza che inserisce le Regioni nelle zone rossa e
arancione, stoppa la rivolta dei presidenti e passa al contrattacco. Sostenuto
da tutto il governo e dagli scienziati. Lo scontro non è destinato a spegnersi
nell'immediato: i governatori insistono chiedendo una verifica o minacciando,
lo fa il presidente facente funzioni della Calabria Nino Spirlì, di impugnare
il provvedimento.
Non solo: nelle prossime ore arriveranno i
nuovi dati - domani - relativi alla settimana 26 ottobre-1 novembre e non è
affatto escluso che chi oggi si trova nella zona gialla possa finire in quelle
dove sono previste maggiori restrizioni: a
rischio ci sono almeno la Campania, la Liguria, il Veneto, la Toscana.
Il nodo su cui si sta consumando lo scontro
è formalmente tecnico ma in realtà è politico: la maggior parte delle Regioni
continua a chiedere misure nazionali e il governo insiste sulla necessità di intervenire
a livello locale. Per mettere in campo interventi che servano
davvero a contenere il contagio laddove è più diffuso, ha detto ieri il premier
Giuseppe Conte, e che non penalizzino e ulteriormente chi è in una situazione
migliore di altri. Le misure graduate per ogni regione, conferma il Commissario
per l'emergenza Domenico Arcuri, «anticipano il rischio ed evitano fin quando possibile
il lockdown generalizzato».
L'attacco delle Regioni, partito subito
dopo la conferenza stampa del premier, è andato avanti a testa bassa tutto il
giorno, in un clima teso anche in Conferenza Stato-Regioni e spalleggiato da
tutta l'opposizione: non a caso Matteo Salvini è stato il primo a parlare. Attilio
Fontana ha saputo del lockdown della Lombardia, dice, «con un messaggino mentre
Conte era in televisione. E poi parlano di collaborazione».
Uno dopo l'altro, i governatori hanno
invocato «chiarezza», criticato la mancanza di un criterio di
«valutazione oggettivo», accusato l'esecutivo di aver fatto scelte su dati
vecchi. «Non ho ancora capito come e perché il governo abbia deciso di usare misure
così diverse per situazioni in fondo molto simili», attacca il presidente del
Piemonte Alberto Cirio, chiedendo una verifica. «Chiarezza» chiede anche
l'altro governatore "rosso", il valdostano Erik Lavevaz mentre Spirlì
annuncia di voler impugnare l'ordinanza: «non meritiamo l'isolamento». Anche le
Regioni arancioni non ci stanno. «Siamo su "Scherzi a parte"»,
denuncia Musumeci.
Accuse contro le quali il governo fa
quadrato, con Conte che ripete l'invito a «non
perdere il senso di unità nazionale».
Dalle regioni arriva uno «spettacolo indecoroso», sono invece le parole del ministro
degli Esteri Luigi di Maio che porta alla luce quello che in molti, anche tra i
tecnici, cominciano a pensare sia il vero problema, il titolo V della Costituzione.
«A fine pandemia questo scontro
inaccettabile imporrà di semplificare e riorganizzare lo Stato». Dal blog 5S ricordano invece ai governatori che «non si sono voluti
assumere le responsabilità e ora si lamentano delle chiusure». Ma sono gli scienziati
a replicare nel dettaglio alla critiche. È vero che i dati risalgono a dieci
giorni fa, conferma il presidente dell'Iss Silvio Brusaferro. Ma questo è
«inevitabile» perché c'è un «tempo necessario per stabilizzare» i dati. Che, in
ogni caso, «sono condivisi e validati da 24 settimane con le Regioni». Come dire,
erano buoni prima, sono buoni anche adesso.
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Federico Marini
marini.federico70@gmail.com
skype: federico1970ca
Articolo tratto dall’Unione
Sarda 06.11.2020
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