lunedì 16 novembre 2020

L’autodileggio dei sardi. Mario Tozzi. La civiltà nuragica. Di Francesco Casula.


 

 


 

Ci voleva uno straordinario divulgatore scientifico come Mario Tozzi, in una trasmissione della TV di Stato, a risvegliare i Sardi dall'autodileggio. Tozzi ci ha infatti ricordato che la Sardegna nel periodo nuragico ha espresso la più alta civiltà in Italia (e, occorre aggiungere, nell'intero Mediterraneo occidentale). Un Isola ricoperta di foreste. Con moltissime risorse: ad iniziare da quelle minerali (argento, rame, zinco). Con un clima mite. Con tre raccolti all'anno.

 

Peraltro assolutamente in sintonia e in linea con gli studi dei paleoclimatologi secondo cui nell'poca nuragica il clima era caldo umido con ampio sviluppo di flora lussureggiante di tipo tropicale e habitat favorevole alle specie animali. Il nuraghe si sviluppò soprattutto in questo momento climatico, forse anche a seguito di una maggiore spinta demografica derivata dalle migliorate condizioni di vita e di alimentazione proprio per effetto del clima e degli animali selvatici che fornivano cibo facile e abbondante per tutti (Franco Serra).

 

La maggior parte del clima del periodo nuragico era quello oggi classificabile come atlantico caldo-umido, proprio delle attuali fasce intertropicali, caratterizzato da temperature piuttosto elevate, moderata escursione termica, piovosità abbondante. La temperatura atmosferica media durante il mese più freddo dell’anno non era inferiore ai 18° centigradi per cui l’inverno era praticamente inesistente. Il numero dei giorni piovosi variava in rapporto alle diverse zone dell’Isola dai novanta ai centocinquanta l’anno. Insomma c’erano ogni anno dai 3 ai 5 mesi di pioggia. Le medie annue delle precipitazioni atmosferiche erano intorno ai millecinquecento-duemila millimetri (oggi oscilla fra i 400/500 millimetri).


Un altro studioso, Francesco Fedele, confermando le osservazioni del paleo climatologo Franco Serra ribadisce che una vegetazione ricca copriva il suolo dell’Isola e lo sviluppo delle specie selvatiche era proporzionato a questa ricchezza. L’alimentazione degli abitanti della Sardegna poteva dunque essere completa: frutti della terra, cereali, latte e derivati, grassi uova, miele, pesci e molluschi.

 

Numerosi prodotti spontanei forniscono sostanze per uso quotidiani: corna e palchi di erbivori per gli arnesi; lana per le vesti; legna da ardere e ramaglie per la costruzione delle pareti; legno scelto per ciotole e sughero per recipienti; frutti del lentisco e dell’olivastro, pestati, per olio da illuminazione e da condimento, orzo e frumento per farina. In ragione di questo clima molti storici parlano perciò di un’economia della Sardegna come economia dell’abbondanza: di carne, pesce, frutti naturali. Che produce, formaggi, sale, stoffe, vini. Oltre che oro, argento, rame  e anche la musica delle launeddas.

 

Francesco Casula

Saggista, storico della letteratura sarda

 autore del libro, tra gli altri, de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi

 

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