Ci voleva uno
straordinario divulgatore scientifico come Mario Tozzi, in una trasmissione
della TV di Stato, a risvegliare i Sardi dall'autodileggio. Tozzi ci ha infatti ricordato che la Sardegna nel periodo
nuragico ha espresso la più alta civiltà in Italia (e, occorre
aggiungere, nell'intero Mediterraneo occidentale). Un Isola ricoperta di
foreste. Con moltissime risorse: ad iniziare da quelle minerali (argento, rame,
zinco). Con un clima mite. Con tre raccolti all'anno.
Peraltro
assolutamente in sintonia e in linea con gli studi dei paleoclimatologi secondo
cui nell'poca nuragica il clima era caldo umido con ampio sviluppo di flora
lussureggiante di tipo tropicale e habitat favorevole alle specie animali. Il nuraghe si sviluppò soprattutto in questo momento
climatico, forse anche a seguito di una maggiore spinta demografica derivata
dalle migliorate condizioni di vita e di alimentazione proprio per effetto del
clima e degli animali selvatici che fornivano cibo facile e abbondante per
tutti (Franco Serra).
La maggior
parte del clima del periodo nuragico era quello oggi classificabile come
atlantico caldo-umido, proprio delle attuali fasce intertropicali,
caratterizzato da temperature piuttosto elevate, moderata escursione termica,
piovosità abbondante. La temperatura atmosferica media
durante il mese più freddo dell’anno non era inferiore ai 18° centigradi per
cui l’inverno era praticamente inesistente. Il numero dei giorni piovosi
variava in rapporto alle diverse zone dell’Isola dai novanta ai centocinquanta l’anno.
Insomma c’erano ogni anno dai 3 ai 5 mesi di pioggia. Le medie annue delle
precipitazioni atmosferiche erano intorno ai millecinquecento-duemila
millimetri (oggi oscilla fra i 400/500 millimetri).
Un altro
studioso, Francesco Fedele, confermando le osservazioni del paleo climatologo
Franco Serra ribadisce che una vegetazione ricca
copriva il suolo dell’Isola e lo sviluppo delle specie selvatiche era
proporzionato a questa ricchezza. L’alimentazione degli abitanti della Sardegna
poteva dunque essere completa: frutti della terra, cereali, latte e derivati,
grassi uova, miele, pesci e molluschi.
Numerosi
prodotti spontanei forniscono sostanze per uso quotidiani: corna e palchi di
erbivori per gli arnesi; lana per le vesti; legna da ardere e ramaglie per la
costruzione delle pareti; legno scelto per ciotole e sughero per recipienti;
frutti del lentisco e dell’olivastro, pestati, per olio da illuminazione e da
condimento, orzo e frumento per farina. In ragione di
questo clima molti storici parlano perciò di un’economia della Sardegna come
economia dell’abbondanza: di carne, pesce, frutti naturali. Che produce,
formaggi, sale, stoffe, vini. Oltre che oro, argento, rame e anche la musica delle launeddas.
Francesco Casula
Saggista, storico della letteratura sarda
autore
del libro, tra gli altri, de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi
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