(16 novembre
1940) Nella Polonia occupata i nazisti isolano il
Ghetto di Varsavia dal mondo esterno, con un muro che lo circonda per tutti i
quattro lati del suo perimetro. Il ghetto è un episodio della storia del
popolo ebraico durato più di cinquecento anni. Tuttavia è anche qualcosa di
più: è la parola che partendo da questa vicenda del passato ebraico (e di tutta
l'Europa) definisce ogni forma di segregazione. Il
ghetto è il simbolo di chi crede che gli uomini non siano tutti uguali,
non vadano considerati fratelli e non abbiano tutti diritto alla stessa
libertà.
"Ghetto"
è una parola dalle incerte origini. Fra le possibili ne esiste una che
appare più convincente. Nella Venezia di età moderna, "geto" (o getto)
era il nome con il quale s’indicava la fonderia dei metalli. E fu proprio in
una zona di Venezia presso cui esisteva un'antica fonderia in disuso che venne
istituito il primo ghetto ‒ o geto ‒ della storia. Siamo nel 1516.
Il
ghetto ebraico di Varsavia fu istituito dal regime nazista nella città vecchia
di Varsavia e fu il più grande ghetto europeo. Il quartiere Nalewki, ricco
di condomini e privo di spazi verdi, era la zona tradizionalmente abitata dalla
comunità ebraica di Varsavia, allora la più numerosa al mondo dopo quella di
New York. Oltre al polacco, vi si parlavano l'yiddish, l'ebraico ed il russo
(dagli ebrei che erano fuggiti dalla Russia in seguito ai pogrom).
Prima
dell’invasione tedesca della Polonia nel settembre 1939, nella zona abitavano
anche non-ebrei e gli ebrei avevano piena libertà di spostarsi e stabilirsi
anche negli altri quartieri della città. Sotto il Governatorato Generale
Tedesco, l’istituzione del ghetto come luogo esclusivo di residenza coatta
della popolazione ebraica fu il primo passo nel processo che avrebbe determinato,
nel giro di pochi anni, l’applicazione della “soluzione
finale”, ovvero allo sterminio organizzato della quasi totalità dei suoi
abitanti.
All'inizio
del 1943 i progressivi "trasferimenti" della popolazione del ghetto
nei nuovi campi di sterminio ne avevano ridotto il numero di abitanti (persone
in maggioranza ancora abili al lavoro), ma quando il 18 gennaio le SS vollero
deportare ad est circa 8.000 operai, un gruppo di questi era in possesso di
armi precedentemente contrabbandate nel ghetto e fece fuoco contro gli
aguzzini, i quali, subite alcune perdite, si ritirarono velocemente.
L'improvvisa reazione dei prigionieri non consentì nei due mesi successivi
altri trasferimenti.
Il
17 aprile giunse a Varsavia il Brigadeführered SS- und Polizeiführer Jürgen
Stroop, con l'incarico di reprimere qualsiasi fenomeno di ribellione che si
fosse verificato nel ghetto ed il giorno successivo, su ordine diretto di
Himmler, il suo compito fu specificato in "annientare gli ebrei ed i
banditi del quartiere ebraico." Le operazioni di sterminio cominciarono il
19 Aprile.
I tedeschi
entrarono nel ghetto dall'ingresso di via Snocza con due autoblindo, un carro
armato francese preda bellica, due cannoni antiaerei e un cannone leggero,
seguiti da una colonna composta da alcune decine di fanti dei 2090 uomini di
cui Stroop disponeva. Questi, una volta giunti sulla via Zamenhof, vennero
accolti dal tiro incrociato dei membri
dell'organizzazione ebraica di combattimento, i quali decisero di combattere
non con l'intento di sconfiggere gli invasori ma esclusivamente "come
mezzo per morire con dignità, senza la minima speranza di vittoria".
Il
16 maggio Stroop comunicò a Berlino che il quartiere ebreo di Varsavia
"non esisteva più" e fu fatta saltare anche la sinagoga grande di
Varsavia, sita al di fuori delle mura del ghetto; l'operazione che avrebbe
dovuto svolgersi in soli tre giorni durò quattro settimane e i tedeschi
dichiararono la perdita di 16 soldati e di 90 feriti, contro l'uccisione di
56.000 ebrei e la deportazione dei superstiti. Dei 750 ebrei che parteciparono
materialmente alla rivolta meno di 100 riuscirono a sopravvivere.
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