I fondi ai gruppi in Consiglio regionale
avevano «un vincolo specifico»:
servivano a sostenere solo le «spese» ben individuate «dalle normative regionali e anche dalla
legislazione nazionale». In Sardegna non c'era l'obbligo «di allegare al rendiconto» il dettaglio del singolo esborso: ma questo «non
implicava» non si dovesse «comunque
giustificare» l'uso di quel denaro pubblico, 2.500 euro al mese per 5 anni da destinare a finalità
istituzionali. Non c'era «la piena discrezionalità
nell'utilizzo dei contributi».
È uno dei passaggi con cui la Cassazione
spiega perché a ottobre ha rinviato in Corte d'appello la sentenza di condanna
per peculato inflitta all'ex europarlamentare del Pd Francesca Barracciu (3
anni, 3 mesi e 20 giorni) solo per il ricalcolo della pena (sono prescritte le spese
illecite sino a tutto il 2007) confermando
la colpevolezza dell'ex
consigliera regionale (alla quale la Procura di Cagliari contestava
spese illecite, perché non giustificate, per oltre 77 mila euro tra il 2004 e
il 2008).
Poi la Corte suprema nega si sia in
presenza della «non consentita inversione della prova» (non il pm che deve
dimostrare la responsabilità, come previsto, ma la difesa che non riesce a dimostrare
l'innocenza): l'accertamento del reato deriva «anche da elementi indiziari» e
in questo caso Barracciu ha avuto «l'erogazione periodica di mille euro» per oltre 77mila
«con bonifici privi di causale
sulle finalità istituzionali»; i soldi
entravano direttamente sul suo «conto corrente privato, dove si confondevano
con le risorse personali»; non è stato rispettato «l'esistente e specifico
obbligo di rendiconto», dunque mancano
«le giustificazioni».
Articolo Nuova Sardegna del 04.02.2021
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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