(05 gennaio 1948) nasceva Peppino Impastato,
da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato. La sua famiglia era imparentata
e faceva parte del sistema mafioso che lo stesso Peppino tenterà di scardinare
nell’arco di tutta della sua breve vita, mediante una temeraria lotta condotta
pubblicamente, tramite iniziative politiche e sociali a sostegno della
legalità. Questo suo attivismo contro la mafia lo porta
a scontrarsi spesso col padre, fino all’inevitabile allontanamento da
casa già da giovanissimo.
Nel
1965 fonda “L’idea socialista”, un giornale di
denuncia che dopo poco verrà sequestrato, in quanto ritenuto “scomodo” per
qualche personaggio dell’onorata società (anche se di onorevole, quel genere di
società, non aveva e non ha nulla). In quegli anni Impastato
partecipa alle manifestazioni di protesta accanto ai disoccupati e ai contadini,
che si vedono espropriati dei loro terreni per interessi mafiosi nel settore
edile, compresi quelli riguardanti la costruzione di un aeroporto a Cinisi,
proprio accanto alla montagna e dunque in una posizione quantomeno pericolosa.
In seguito lo stesso aeroporto verrà intitolato a Falcone e Bosellino.
Nel 1976 promuove la formazione di un’associazione culturale
denominata “Musica e cultura” e un anno dopo fonda “Radio Aut”, una
piccola emittente radiofonica indipendente, dai cui microfoni Peppino opera
un’audace azione di denuncia nei confronti dei boss locali, in particolare del
capomafia Gaetano Badalamenti, e dei traffici di
droga gestiti da questi ultimi grazie proprio al controllo dell’aeroporto di
Palermo.
Nel 1978 Giuseppe “Peppino” Impastato si candida alle elezioni
comunali di Cinisi nella lista di Democrazia Proletaria, ma nella
notte tra l’8 e il 9 maggio di quello stesso anno viene barbaramente ucciso,
legato ai binari ferroviari con una carica di tritolo sotto il suo corpo.
Inizialmente, ed incredibilmente, la stampa e la magistratura lo dipingono come
un possibile attentatore rimasto vittima del suo stesso atto terroristico o
ipotizzano al massimo un suicidio. Intorno furono trovati numerosi elementi che
escludevano questa pista, come la pietra insanguinata con cui Peppino era stato
ferito. In sostanza, in base alle congetture degli inquirenti, Impastato si
sarebbe prima spaccato la testa con un sasso, poi si sarebbe legato ai binari e
poi si sarebbe fatto esplodere. La realtà era un’altra,
ma purtroppo le indagini sul palese omicidio furono fatte in colpevole ritardo.
Due
procedimenti giudiziari nei confronti del boss Gaetano Badalamenti, accusato di
essere il mandante dell’agguato a Peppino, si concludono con altrettante
archiviazioni, nel 1984 e nel 1992. Soltanto nel 2002
la Corte di giustizia italiana condanna Gaetano Badalamenti, detto “Don Tano”,
all’ergastolo per l’omicidio di Peppino Impastato.
Impastato
indagò anche sugli omicidi di Alcamo Marina, in
cui furono assassinati due carabinieri e in cui furono incompati cinque ragazzi
anarchici. In seguito a successive indagini si scoprì che le loro confessioni
furono coartate attraverso la tortura, dunque erano palesemente false. La
strage era probabilmente legata alla mafia ma mai in concreto si scoprì cosa
Impastato era riuscito a scoprire. Sulla morte dei due carabinieri si parlò
anche dell’intervento di Gladio: i poveri malcapitati avevano saputo troppo su
alcune attività “gladiatorie” nella provincia di Trapani, tuttavia tutto questo
non fu accertato e possono essere classificate come piste giornalistiche.
Per certo si sa che i documenti su Alcamo Marina fu sequestrata dai
Carabinieri nella casa della madre Felicia, poco dopo la morte di Peppino, e
non fu più restituita, a differenza degli altri documenti (come riferito dal
fratello Giovanni).
Nei
giorni successivi all’assassinio di Giuseppe Impastato i suoi concittadini votano
il suo nome e lo eleggono simbolicamente nel consiglio comunale. Oggi centri e associazioni continuano a combattere la mafia
in suo nome e ci sono istituti e luoghi pubblici intitolati a lui, sono
stati girati film (“I cento passi”, di Marco Tullio Giordana) scritte canzoni,
poesie, testi teatrali. La parte buona dell’Italia lo ricorderà sempre con
onore, come simbolo della lotta alla mafia.
(05 Gennaio 1984) La mafia uccide Giuseppe Fava. Ore
22.00, lo scrittore, giornalista e sceneggiatore Giuseppe Fava viene ucciso da
5 proiettili, che andranno a perforargli la nuca. A volerlo morto è la mafia.
Nato il 15 settembre del 1925 in provincia di Siracusa, Fava affianca al
giornalismo una brillante carriera di drammaturgo: il film “Palermo or
Wolfsburg”, tratto dal suo romanzo “Passione di Michele”, vince l’Orso d’oro al
Festival di Berlino nel 1980.
Nello stesso anno, gli viene affidata la direzione del “Giornale del
Sud” e ne fa un quotidiano coraggioso, in prima fila nel denunciare le attività
mafiose a Catania.
Licenziato dal “Giornale del Sud”, continua la sua campagna antimafiosa sulla
rivista “I Siciliani” , in cui pubblica un’importante
e imponente inchiesta-denuncia (“I quattro cavalieri
dell'apocalisse mafiosa”) sui collegamenti fra quattro importanti
imprenditori catanesi e il clan di Nitto Santapaola.
Inizialmente,
viene attribuito all’omicidio un movente passionale o economico (per le
difficoltà in cui versava la rivista); solo successivamente la magistratura
valuta meglio il ruolo di Fava nella denuncia dell’attività dei clan e nel
1998, istruendo il processo “Orsa maggiore”, che si
conclude con la condanna di Nitto Santapaola all’ergastolo come mandante
dell’omicidio.
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