Professore, cosa pensa della Sardegna in
zona arancione?
«Potrei sbagliarmi ma mi pare che il Governo abbia messo la Sardegna in zona arancione perché, tra le altre cose, i posti di terapia intensiva erano occupati al 31% anziché al 30%. Ovvero 2 letti di differenza. Se fosse così sarebbe grave, perché significa non capire niente delle dinamiche di occupazione delle Rianimazioni per cui esistono dati storici di mesi, che vanno consultati per capire se si tratta di un picco isolato o di una tendenza stabile. Ma il problema è un altro».
Quale?
«Questo è solo un parametro, un altro è il
famigerato indice di trasmissione Rt. Qualunque calcolo si voglia fare bisogna
tener conto anche della condizione di insularità della Sardegna e correggere i risultati
degli algoritmi. Mi spiego: se abbiamo un indice Rt di circa 0,95 come in altre
regioni, ma in Sardegna la densità di popolazione è di 67 abitanti per
chilometro quadrato mentre in Emilia Romagna è di 199 e in Lazio di 340, si
capisce che le trasmissioni infettive saranno completamente diverse. Non ci
vuole uno scienziato per capirlo», dice Luca Pani, ordinario di Farmacologia e
Farmacologia clinica all'Università di Modena e Reggio Emilia e di Psichiatria Clinica
all'Università di Miami, ex direttore generale dell'Aifa dal 2011 al 2016 .
Come sarà il 2021?
«Sarà ancora completamente “pandemico”,
perché questa è un'epidemia globale e quindi si muove e va giudicata su scala
planetaria. Non dobbiamo commettere il solito errore di pensare che il mondo
sia solo quello cosiddetto occidentale. C'è molta preoccupazione per l'Africa, buona
parte dell'Asia e per il Sud America».
Lei vive a Miami, com'è lì la situazione?
«Nonostante la situazione in tutta la
Florida - che non è praticamente mai andata in lockdown - sia grave, con 1,6
milioni di casi e quasi 25.000 decessi, nella nostra Università la situazione è
sotto controllo. Negli ultimi mesi del 2020 abbiamo testato quasi 70mila studenti,
e dall'inizio dell'anno altri 6mila e trovato 127 positivi (il 2,4%).
Ottantotto di questi giovani sono al momento in isolamento o in quarantena
attiva ma non abbiamo avuto bisogno di ricoverare nessuno. Questi dati sono a
disposizione di tutti, abbiamo un cruscotto on line pubblico».
In Italia ci sono esperti che sostengono che
ora è il momento di chiudere tutto almeno per un mese: è d'accordo?
«No. A me pare che i lockdown in Italia
siano stati usati come ultima risorsa, sacrosanta, per carità, per evitare il
tracollo delle rianimazioni. Ma allora, se era così, bisognava dirlo
chiaramente ai cittadini. È vero che se cade il bastione delle rianimazioni
viene giù tutto, ma se nel frattempo, come è successo in estate, non si mettono
in atto misure per preparasi alle ondate successive, peraltro perfettamente
prevedibili con un virus del genere, è inutile fare dei lockdown di
contenimento».
Dilemma scuole: aperte o chiuse?
«Le scuole vanno tenute sempre aperte
altrimenti i danni per un'intera generazione saranno molto più gravi del Covid
e lo stiamo già vedendo. Peraltro i bambini sotto i 10 anni praticamente non si
ammalano quasi mai e i ragazzi, a meno che non abbiano altre patologie, hanno
tassi di infezione e contagiosità molto bassi. Oltretutto i nostri adolescenti
non sono certo stupidi, e capiscono che non sono loro il problema».
Pensa che per la Sardegna essere Covid free
in estate sia possibile?
«Credo che si possano ottenere grandi
risultati, perché l'insularità ha dei chiari vantaggi dal punto di vista
dell'organizzazione sanitaria, ma questa organizzazione deve essere precisa al
millimetro, ed eseguita in modo praticamente militare se si vuole centrare un obiettivo
ambiziosissimo come essere Covid free in 5 mesi».
Lo screening di massa in corso nell'Isola
con test antigenici è utile ora?
«Assolutamente sì, il controllo di questa
pandemia si basa su test massivi, possibilmente automatizzati, tracciamento e
identificazione biometrica digitale e isolamento degli individui positivi con trattamenti
domiciliari, da quelli più semplici fino agli anticorpi monoclonali
neutralizzanti, senza farli arrivare in ospedale se non clinicamente
necessario. Il fatto che l'Italia non stia usando questi anticorpi è
inconcepibile».
Vaccini, dobbiamo essere ottimisti?
«Mai visto sviluppare vaccini con questa
efficacia in 10 mesi, quello che ha fatto la Scienza non ha precedenti.
Possiamo e dobbiamo essere ottimisti. Le produzioni andranno a regime a breve e
tutti potranno essere vaccinati. Io ho appena fatto il richiamo, e i fastidi
sono praticamente inesistenti».
È normale che le case farmaceutiche decidano
quello che vogliono sulle quantità da consegnare?
«No, ma generalmente hanno motivi validi,
per esempio un controllo di qualità che non ha superato gli standard
rigorosissimi a cui sono sottoposte le produzioni, oppure perché nella catena
di produzione è mancato un principio attivo essenziale. Quando le produzioni
sono spinte a centinaia di milioni di dosi come in questo periodo può capitare,
ma a me pare che il problema non sia tanto la fornitura, per ora, quanto la
distribuzione e la somministrazione».
È corretta una campagna che dà la precedenza
agli anziani? O bisognerebbe vaccinare prima i giovani, come fa l'Indonesia? «Sarebbe scientificamente più logico proteggere le categorie produttive e coloro che possono diffondere
il virus senza avere sintomi,
ma dobbiamo tener conto di altri fattori, compreso il fatto che la mortalità è altissima nelle fasce
anziane. Negli Stati Uniti, che contano oltre 400mila morti da Covid, quasi la metà avevano oltre 75 anni e solo 600 meno di 24 anni».
Come vede il certificato vaccinale e il
passaporto sanitario?
«Sarebbe un'ottima idea come, in generale,
qualunque iniziativa che tenga una traccia possibilmente digitale e organizzata
per consentirci di studiare e analizzare quanto stiamo facendo per combattere
questa guerra senza quartiere che, vorrei ribadirlo, non è ancora minimamente finita».
Cristina Cossu
Articolo Nuova Sardegna del 21.01.2021
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Federico Marini
marini.federico70@gmail.com
skype: federico1970ca
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