Per decenni la Sardegna è stata utilizzata come stazione per
industrie nere e inquinanti. Con la crisi e la fine della
industrializzazione si è chiuso un ciclo più che quarantennale, fatto di
promesse ma anche di illusioni programmatorie e petrolchimiche, che ha lasciato
in Sardegna, un cimitero di ruderi industriali ma soprattutto disoccupazione, malessere, inquinamento, spopolamento e nuova emigrazione: questa
volta di qualità, non come negli anni ’60, dequalificata e generica.
Ad abbandonare la Sardegna sono infatti viepiù giovani laureati: risorse
preziosissime che potrebbero, qui in Sardegna, mettere a disposizione le loro
professionalità e competenze per la ricerca e l’innovazione e che invece sono
costretti a emigrare.
Fin
dagli anni ’50 – con accelerazioni negli anni ’70 – l’Isola è stata trasformata
in una grande area di basi e servitù militari,
servizi bellici essenziali in cui avvengono esercitazioni, addestramenti,
sperimentazioni di nuove armi, depositi di carburanti, ecc.. L’onere militare
che grava sulla Sardegna è enorme: la Sardegna
contribuisce per oltre il 60% del totale nazional-statale, in termini di
presenza militare e gravami, con una popolazione pari al 2%”.
I
numeri parlano chiaro: nell’Isola sono oltre 35.000
gli ettari di territorio sotto vincolo di servitù militare. In occasione delle
esercitazioni viene interdetto alla navigazione, alla pesca e alla sosta, uno
specchio di mare di oltre 20.000 chilometri quadrati, una superficie quasi pari
all’estensione dell’intera Sardegna.
Sull’isola
ci sono poligoni missilistici (Perdasdefogu), per esercitazioni a fuoco (Capo
Teulada), poligoni per esercitazioni aeree (Capo Frasca), aeroporti militari
(Decimomannu) e depositi di carburanti (nel cuore di Cagliari) alimentati da
una condotta che attraversa la città, oltre a numerose caserme e sedi di
comandi militari (di Esercito, Aeronautica e Marina). Si
tratta di strutture e infrastrutture al servizio delle forze armate italiane o
della Nato.
Il poligono del Salto di Quirra-Perdasdefogu (nella Sardegna
orientale) di 12.700 ettari e il poligono di Teulada di 7.200 ettari sono i
primi due poligoni italiani per estensione, mentre il poligono Nato di Capo
Frasca (costa occidentale) ne occupa oltre 1.400. Insomma in un’Isola
militarizzata. Con enormi porzioni del suo territorio sottratte all’uso civile.
Alla coltivazione. Inquinati delle esercitazioni militari con l’utilizzo dell’uranio impoverito, causa di morti per
tumore e di malformazioni, per gli umani e gli animali. –
Oggi si vorrebbe trasformare la Sardegna in un ricettacolo delle
scorie radioattive:
in un primo momento dovrà contenere 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e
media intensità e poi anche 17 mila metri cubi ad alta attività, questi ultimi
per un massimo di 50 anni (per poi essere sistemati in un deposito geologico di
profondità di cui al momento poco si sa).
Spesa prevista? Per il Deposito e il Parco tecnologico è
prevista una spesa di 900 milioni di euro, che saranno prelevati dalle
componenti della bolletta elettrica pagata dai consumatori: ma son sicuro che
quella spesa si dilaterà a dismisura. Se questa
titulia, questo disegno infame e criminale passerà il brand della nostra Terra
sarà quello infausto della scoria radioattiva e mortifera.
Dobbiamo
opporci con tutte le forze e i mezzi possibili e impossibili perché tale
disegno non passi. Il nostro brand deve e può essere quello della Terra dei
Nuraghi e del Sole; delle eccellenze agro-alimentari; del beni archeologici,
storico-culturali-linguistici e ambientali. E le scorie? Sos bidones putzinosos
a pudire in dom’issoro!
Francesco Casula
Saggista, storico della letteratura sarda
autore
del libro, tra gli altri, de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”
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