mercoledì 6 gennaio 2021

Ora basta. Basta con l’utilizzo della Sardegna come colonia interna dello Stato Italiano. Di Francesco Casula.


 

Per decenni la Sardegna è stata utilizzata come stazione per industrie nere e inquinanti. Con la crisi e la fine della industrializzazione si è chiuso un ciclo più che quarantennale, fatto di promesse ma anche di illusioni programmatorie e petrolchimiche, che ha lasciato in Sardegna, un cimitero di ruderi industriali ma soprattutto disoccupazione, malessere, inquinamento, spopolamento e nuova emigrazione: questa volta di qualità, non come negli anni ’60, dequalificata e generica.

 Ad abbandonare la Sardegna sono infatti viepiù giovani laureati: risorse preziosissime che potrebbero, qui in Sardegna, mettere a disposizione le loro professionalità e competenze per la ricerca e l’innovazione e che invece sono costretti a emigrare.

 Fin dagli anni ’50 – con accelerazioni negli anni ’70 – l’Isola è stata trasformata in una grande area di basi e servitù militari, servizi bellici essenziali in cui avvengono esercitazioni, addestramenti, sperimentazioni di nuove armi, depositi di carburanti, ecc.. L’onere militare che grava sulla Sardegna è enorme: la Sardegna contribuisce per oltre il 60% del totale nazional-statale, in termini di presenza militare e gravami, con una popolazione pari al 2%”.

 I numeri parlano chiaro: nell’Isola sono oltre 35.000 gli ettari di territorio sotto vincolo di servitù militare. In occasione delle esercitazioni viene interdetto alla navigazione, alla pesca e alla sosta, uno specchio di mare di oltre 20.000 chilometri quadrati, una superficie quasi pari all’estensione dell’intera Sardegna.

 Sull’isola ci sono poligoni missilistici (Perdasdefogu), per esercitazioni a fuoco (Capo Teulada), poligoni per esercitazioni aeree (Capo Frasca), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi di carburanti (nel cuore di Cagliari) alimentati da una condotta che attraversa la città, oltre a numerose caserme e sedi di comandi militari (di Esercito, Aeronautica e Marina). Si tratta di strutture e infrastrutture al servizio delle forze armate italiane o della Nato.

 Il poligono del Salto di Quirra-Perdasdefogu (nella Sardegna orientale) di 12.700 ettari e il poligono di Teulada di 7.200 ettari sono i primi due poligoni italiani per estensione, mentre il poligono Nato di Capo Frasca (costa occidentale) ne occupa oltre 1.400. Insomma in un’Isola militarizzata. Con enormi porzioni del suo territorio sottratte all’uso civile. Alla coltivazione. Inquinati delle esercitazioni militari con l’utilizzo dell’uranio impoverito, causa di morti per tumore e di malformazioni, per gli umani e gli animali. –

 Oggi si vorrebbe trasformare la Sardegna in un ricettacolo delle scorie radioattive: in un primo momento dovrà contenere 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media intensità e poi anche 17 mila metri cubi ad alta attività, questi ultimi per un massimo di 50 anni (per poi essere sistemati in un deposito geologico di profondità di cui al momento poco si sa).

 Spesa prevista? Per il Deposito e il Parco tecnologico è prevista una spesa di 900 milioni di euro, che saranno prelevati dalle componenti della bolletta elettrica pagata dai consumatori: ma son sicuro che quella spesa si dilaterà a dismisura. Se questa titulia, questo disegno infame e criminale passerà il brand della nostra Terra sarà quello infausto della scoria radioattiva e mortifera.

 Dobbiamo opporci con tutte le forze e i mezzi possibili e impossibili perché tale disegno non passi. Il nostro brand deve e può essere quello della Terra dei Nuraghi e del Sole; delle eccellenze agro-alimentari; del beni archeologici, storico-culturali-linguistici e ambientali. E le scorie? Sos bidones putzinosos a pudire in dom’issoro!

 

Francesco Casula

Saggista, storico della letteratura sarda

 autore del libro, tra gli altri, de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”

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