Il documento ha ricevuto l'ok dai ministeri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente e potrebbe essere reso pubblico nei prossimi giorni. Forse già oggi. A Roma nessuno conferma la data ma la preoccupazione con cui le associazioni ambientaliste stanno seguendo la vicenda fa capire che a cinque anni dalla stesura della prima "Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee" il mistero sul luogo destinato a diventare il "sarcofago" delle scorie nucleari italiane non durerà a lungo.
Indiscrezioni molto attendibili parlano di una rosa ristretta e sole sette regioni - Piemonte, Lazio, Toscana, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna - anche se a vantaggio della nostra regione gioca la difficoltà di trasferire le scorie via mare oltre alla consapevolezza di andare a incidere in un ambiente che di tutto ha bisogno tranne che si altre offese.
Ma che cosa cerca la Sogin e perchè ha pensato alla Sardegna? L'area su cui sorgerà il deposito, che avrà al suo interno anche un parco tecnologico e un centro di ricerca, deve rispettare alcune condizioni di sicurezza. Sono state così escluse le aree vulcaniche e sismiche, quelle sotto la soglia di 700 metri sul livello del mare o a una distanza inferiore ai 5 chilometri dalla costa, a rischio frane o inondazioni ma anche quelle dove c'è una pendenza maggiore del 10 per cento o un'alta densità abitativa. Per lo stesso motivo sono stati esclusi tutti i territori attraversati da autostrade, strade extraurbane e ferrovie. L'isola, da questo punto di vista, non avrebbe controindicazioni ma sull'altro piatto della bilancia c'è il problema del trasporto delle scorie e c'è da mettere in conto il no, secco e bipartisan, della Regione.
In proposito va detto che la "mappa" della Sogin non è vangelo e avrà un percorso lungo e complesso che prevede il consenso delle comunità interessate e delle istituzioni locali. La superficie interessata sarà tutto sommato modesta (circa 150 ettari) con una parte destinata al deposito delle scorie e un'altra a parto tecnologico. Il sito sarà schermato da tre barriere protettive, e sarà ricoperto da una collina artificiale, da una quarta barriera e da manto erboso. Le barriere dovranno garantire l'isolamento dei rifiuti radioattivi per più di 300 anni, ovvero fino al loro decadimento a livelli tali da non essere più nocivi per la salute dell'uomo e dell'ambiente.
La maxi "pattumiera" ospiterà 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media attività e 28mila provenienti dalla ricerca, dalla medicina nucleare e dell'industria. Finiranno davvero in Sardegna? A Ottana e nelle zone minerarie dismesse (considerati i siti più probabili) sono già pronte le barricate.
Articolo Unione Sarda del 05.01.2021
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Federico Marini
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