(04
Gennaio1947) 74 anni fa il segretario della Camera del lavoro di Sciacca,
Accursio Miraglia, viene assassinato dalla mafia poco distante dalla porta
della sua abitazione. Il sindacalista entra nel mirino
del braccio armato dei grandi latifondisti, perché lottava per assegnare
ai poveri contadini le terre incolte, e scorporare così le grandi proprietà
terriere.
Miraglia fu un forte sostenitore del Comitato di Liberazione di
Sciacca
assieme ad un grande uomo saccense, il futuro senatore della Repubblica Pippo
Molinari, creando con lui i comitati d'intesa democratica. È in questo periodo
che Miraglia cominciava a diventare parte attiva della vita politica sia
provinciale che locale, infatti partecipò alla costruzione del Pci e ne fu
dirigente.
Egli riuscì a creare e a dirigere la prima Camera del Lavoro
siciliana, nata appunto a Sciacca. Organizzata affinché potesse
esprimere al massimo lo spirito comunitario e i diritti dei lavoratori, la
Camera del Lavoro saccense fu un esempio, così come lo era stato il Comitato
Antifascista di Sambuca di Sicilia, per i nascenti sindacati e sindacalisti che
purtroppo avranno un futuro pieno di lacrime e ingiustizie. Uomini come Miraglia e Domenico Cuffaro (presidente
del Comitato Antifascista di Sambuca e futuro dirigente della Camera del Lavoro
saccense) crearono i presupposti del risveglio del
popolo siciliano, e le loro lotte ebbero eco in tutta la provincia se non oltre.
Non
approfittò mai della sua posizione, il suo ultimo incarico fu quello di
presidente dell'ospedale di Sciacca e anche lì seppe agire in maniera insindacabile,
diventando un esempio di diligenza ed onestà. I medici, le suore e gli
infermieri, la sera del suo assassinio, ricambiarono l'affetto permettendo alle
sue spoglie di rimanere intatte per quattro giorni. Le veglie funebri furono
due, una organizzata presso l'ospedale, l'altra presso la sede della Camera del
lavoro.
Alla
base del monumento dedicatogli dal popolo di Sciacca, ideato dal noto pittore e
scultore Filippo Prestia, vi è una scritta di Miraglia che richiama il valore
della fratellanza che tanti nella società odierna non considerano attuabile, poiché
non rappresenta più un ideale raggiungibile in una società dominata
dall'individualismo. La frase, riportata in un lavoro del nipote di Miraglia,
dice: «Io non impreco e non chiedo alcuna punizione. Io
che ho tanto amato la vita, chiedo ad essa di vedere pentiti coloro che ci
hanno fatto del male».
Ecco
anche il suo ultimo importante monito che diede all'ultimo comizio che tenne a
Sciacca:
«La
forza dell'uomo civile è la legge, la forza del bruto e del mafioso è la
violenza fisica e morale. Noi, malgrado quello che si
sente dire di alcuni magistrati, abbiamo ancora fiducia nella sola legge degli
uomini civili, che alla fine trionfa nello spirito dell'uomo che è capace di
sentirne il “Bene”. Temiamo, invece la violenza
perché offende la nostra maniera di vedere e concepire le cose. Lungi dalla
perfezione e dall'infallibilità, siamo però in buona fede, e non cerchiamo
altro che la possibilità di ripresa della nostra gente e in altre parole di
dare il nostro piccolo contributo all'emancipazione e alla dignità dell'uomo.
È solo questo il filo conduttore che ci ispira e ci porta nel rischio. Non è colpa nostra se qualcuno non lo arriva a capire: non
arrivi a capire, cioè, che ci sia, ogni tanto, qualcuno disposto anche a
morire per gli altri, per la verità per
la giustizia.
Attento però a questo qualcuno che da sprovveduto e morto non diventi
un simbolo molto
ma molto più grande e pericoloso.»

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