È il tormentone di questo inizio d'estate,
ma ha radici molto più datate. La difficoltà di reperire personale per la
stagione turistica aveva già bussato alle porte degli imprenditori quando la
pandemia poteva al massimo essere immaginata da qualche cineasta particolarmente
fantasioso. Le incertezze dell'epoca Covid sommate alle ruggini della
cortissima stagione passata hanno solo evidenziato un problema già noto, che
rischia di paralizzare un intero settore. In più ci sono i sussidi e la
proverbiale scusa del "chi me lo fa fare?" affibbiata ai lavoratori
che ricevono il reddito di cittadinanza. Eppure,
non sarebbe il sussidio governativo l'unica causa della penuria di stagionali
del turismo in questo inizio d'estate. E su questo
sono d'accordo sia i datori di lavoro sia i lavoratori. I motivi
dell'estinzione degli stagionali del turismo sono altri.
Gli imprenditori. Il primo punto è chiaro: «Basta con questa storia degli stipendi da fame, è una generalizzazione -
attacca Paolo Manca, presidente
di Federalberghi -. Non si possono equiparare le figure professionali
a chi ha lavorato tre mesi in chiosco e pretende di essere un barman. In questo momento facciamo fatica a trovare personale, è vero, ma proprio per questo motivo le persone qualificate non hanno problemi a trovare stipendi
adeguati. Anzi, è probabile che siano loro a fare il
prezzo. Ad esempio, è molto complicato trovare
un Capo
partita (lo chef che si occupa di dirigere precisi settori della cucina, ndr) libero, figuriamoci se poi
gli si presentasse un contratto
ridicolo. Sarebbe un suicidio. Ci sono
persone che propongono stipendi da fame, questo non lo nego, ma di certo non assumono
lavoratori qualificati».
Secondo Manca il problema è molto più
radicato: «La verità è che manca un piano strategico di formazione in grado di
avvicinare, ad esempio, la scuole alberghiere alle università o al mondo del
lavoro. Non parliamo di lavoretti estivi, mancano i professionisti, quelli che sanno
lavorare, e mancano perché sono sempre meno quelli che scelgono questo lavoro come professione. La pandemia ha solo aumentato un disordine che esiste da anni».
I lavoratori. Sulla
questione degli stipendi, i lavoratori stagionali la pensano diversamente: «È
complicatissimo trovare personale, lo sappiamo, ma tante aziende hanno proposto
stipendi ridotti o dimezzati - spiega Valerio Garau, responsabile dell'Anls, l'associazione
nazionale dei lavoratori stagionali - e molti hanno preferito fare le valigie e
andare altrove, dove venivano proposte paghe dignitose. Parlo di 500, anche 600
euro in meno ogni mese. Un calo che ci ha fatto perdere lo zoccolo duro degli
stagionali che, dopo le incertezze della scorsa stagione, hanno fatto scelte
diverse. Anche perché molti di noi non hanno visto un euro di ristori e
certo non potevano permettersi
una stagione da sottopagati».
Ma gli stipendi ridotti sono solo una delle
cause della penuria di personale:
«Lavorare in sicurezza
in un momento come questo non significa che non si rischi, soprattutto per chi è a contatto con il
pubblico - continua Garau - eppure non è mai stata prevista un'indennità di rischio nella busta paga. Le tutele
sono poche e sono anche fatte male. Ecco perché molti hanno preferito fare
altro. Ma ci sono anche le persone che scelgono
i sussidi,
non lo nego. Forse pensano che arrivino bonus a bizzeffe ma in questo caso hanno fatto male i conti
perché dopo i 2600 assegnati per il trimestre gennaio-marzo e i 1400 per il bimestre aprile/maggio, i soldi sono finiti non arriverà altro».
Poi ci sono i lavoratori qualificati che,
secondo Garau, sono finiti nello stesso calderone di chi fa lo stagionale per
arrotondare: «Si dovrebbe partire da un presupposto facile facile: le persone
qualificate devono essere pagate.
Le aziende se lo devono mettere in testa perché anche se c'è il Covid noi le nostre ore ce le sbucciamo
lo stesso. Non è passato molto
tempo da quando un cameriere qualificato riusciva a guadagnare molti soldi, ora quando va bene vengono offerti contratti omnicompresivi da 1200 euro al
mese. Sono cifre ridicole perché un professionista è un lavoratore che si
aggiorna, che segue corsi di formazione e che impara le lingue. Lo dice la parola, è un professionista e come tale deve esser
trattato. Anche con la pandemia».
di Claudio Zoccheddu
Articolo “La Nuova Sardegna” del 07.06.2021
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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