(24 Giugno
1995) Viene arrestato Leoluca Bagarella, uno dei
maggiori esponenti della mafia siciliana, nello specifico conosciuta col
termine "Cosa Nostra." Killer spietato, si ritiene sia stato responsabile
direttamente o indirettamente di centinaia di omicidi durante la seconda guerra
di mafia, oltre che diretto responsabile di alcuni tra i più gravi fatti di
sangue di Cosa Nostra, tra cui la Strage di Capaci e l'uccisione di Boris
Giuliano.
Quarto figlio
del mafioso Salvatore Bagarella, fratello di Antonietta Bagarella, entrò a far
parte della cosca di Corleone dopo che suo fratello maggiore Calogero era
diventato uno dei fedelissimi del boss Luciano Liggio, e dei suoi compagni Totò
Riina e Bernardo Provenzano. Calogero fu ucciso dal boss Michele Cavataio nella
strage di Viale Lazio nel 1969 e Leoluca si diede alla latitanza. Nel 1974, sua sorella sposò in segreto Totò Riina, seguendolo
nella latitanza.
Bagarella
viene arrestato il 24 giugno 1995, mentre esce da un negozio di abbigliamento, dov’è
andato a ritirare un paio di jeans acquistati pochi giorni prima e che aveva
lasciato affinché gli stessi fossero accorciati. Ray-ban scuri sugli occhi, al
collo una catena con la fede della moglie, al controllo degli agenti in borghese
esibisce un documento falso dichiarando di essere Franco Amato, impiegato delle
poste. Una volta caricato nell’auto degli agenti in borghese, però si
complimenta con loro.
Nel
2002 viene condannato ad un nuovo ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Di Matteo,
figlio del pentito Santino Di Matteo, che fu strangolato e sciolto
nell’acido per volontà di colui che verrà definito come il "capo dei
capi": Totò Riina. Sempre nel 2002, durante un’udienza a Trapani alla
quale Bagarella partecipa tramite videoconferenza, legge un comunicato di
protesta verso il sistema del carcere duro, indirizzato al mondo politico.
Nel
capannone di via Messina Montagne, periferia est di Palermo, dove Bagarella
faceva portare i mafiosi da torturare e che poi strangolava, si trovavano, in
una cassapanca mimetizzata, gli attrezzi per la tortura,
vale a dire manette, corde, lacci, fil di ferro, guanti in lattice. Appese alle
pareti le immaginette di Santa Rosalia, Santa Rita, la Madonna e San
Cristoforo.
Gaetano
Buscemi, nipote di Giuseppe Li Peri (ucciso su ordine di don Luchino un mese
prima insieme al figlio, perché legato al boss Aglieri, e quindi a Provenzano),
fu torturato per otto ore prima di essere strangolato. Ammise che lo zio morto
stava con Aglieri e ottenne così che il suo cadavere non venisse sciolto
nell’acido ma più dignitosamente scaricato in una via del centro di Villabate
(Sabella).
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